Genoa-Torino, cronaca della domenica perfetta

Cronaca di un Genoa-Torino visto, per la prima volta nella mia carriera, da tribuna stampa e mixed zone


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[tps_title]Al Tempio[/tps_title]

Dopo un giro di perlustrazione in cui vidi varie emittenti tv, radio, gruppi di tifosi cantare, di entrambe le fazioni, tifosi torinisti chiedere offerte per il Filadelfia, mi decisi a varcare le soglie preliminari dei cancelli. Esitai e non poco, un po’ come un fedele quando si reca a Messa per la prima volta. Un forte timore reverenziale mi stava prendendo tutt’insieme, ma niente poteva ledere la felicità di quel momento. “Stadio comunale Luigi Ferraris”. Chiedo informazioni per raggiungere la tribuna stampa, una steward molto cordiale si prodiga per darmi tutte le indicazioni del caso. Finalmente arrivo lì, l’ambiente è pazzesco. I primi posti in cui mi imbatto sono quelli sulla sessantina, allora sbircio dietro al pass e vedo il numero 102. C’era praticamente il vuoto, sia intorno a me che negli altri settori. Erano le 13:42 e io ero dentro. Raggiungo il mio posto, mi siedo, controllo la connessione internet. Tiro fuori il mio fido bloc notes, una penna, la powerbank per il telefono, comincio a scattare foto e panoramiche all’impazzata. E’ così bello, quell’ammasso di cemento visto da dentro. Quel color rosso sbiadito dei pilastri ben si intonava col blu acceso dei seggiolini, restituendo un’atmosfera unica e da pelle d’oca. E non erano manco le due. La cabina dello speaker era sopra di me, accompagnata dall’hashtag #WelcomeHome. Già, benvenuti a casa. Entrano in campo dei bambini di medie ed elementari, vengono premiate le scuole, cominciano ad entrare i primi irriducibili così come qualche collega alla mia destra. Alle 13:51 partono gli Imagine Dragons con Believer, e dal loro alternative rock arriva al mio cuore un invito affinchè pompi più sangue. Capisco ben presto che sarebbe stata una festa per famiglie: genitori con figli, nonni con nipoti, una domenica bellissima in cui far assaporare l’aria del Ferraris alle prossime generazioni di genoani. Brividi.

Vi garantisco che vedere la Nord riempirsi progressivamente non ha prezzo. Prima il cuore, poi così via per il fenomeno della capillarità fino alle parti più periferiche. Ore 14:03, sventola già qualche bandiera in Gradinata, mentre tutt’intorno il sottoscritto la scena è dominata da un religioso silenzio. Lo speaker annuncia il divieto di introdurre strumenti atti ad offendere, esplosivi, ecc, solite raccomandazioni. Un rapido elenco delle maglie da me notate: Izzo, Marco Rossi, la Diez di Perotti, il 44 di Veloso, addirittura Cissokho (complimenti per il coraggio!), la 22 del Principe, Gilardino, “Kuco”, Hiljemark, Pavoletti, l’88 di Rincon, un bimbo tenerissimo con il 6 di Signorini e, udite udite, un Milito con la 9. Era il 2004/05, mi dice Transfermarkt. “Il Genoa veste ****, per un calcio elegante, giocato con stile”. Non so se ridere per la battuta o piangere perché rappresenta la realtà. Si lotta per non retrocedere. Come richiesto, il Tempio è un bellissimo concentrato di genoanità allo stato puro, compressa in più di 26mila anime. E quei colori, quei magici colori: rosso come la passione, fuoco inestinguibile che spinge ad interrompere la contestazione a Preziosi pur di star vicini al Grifone che in campo soffre e non poco. E quel blu, che riprende così perfettamente le onde del mare increspato che si abbatte sugli scogli ispiratrici, tra gli altri, di De Andrè. E Paolo Conte ci aveva visto lungo: con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, che abbiamo noi prima di andare a Genova. Il rosso e il blu, così favolosamente uniti insieme da quell’aplomb molto british che dal 7 settembre 1893 ci contraddistingue. Noi siamo la storia, noi siamo i pionieri, noi siamo il Genoa: la Union Jack è un po’ la nostra seconda bandiera, “You’ll Never Walk Alone” è il mantra perfetto per indicare il cuore della Nord.

All 14:11 le mie elucubrazioni vengono interrotte dal Torino che entra in campo. Tre minuti dopo, sono le 14:14, mi salgono i brividi perchè dalle casse esce la voce melodica di Jack Savoretti mischiata al sound probabilmente più emozionante da sentire prima di una gara del Grifone. “Home“. Penso ad Antonini, a quel Genoa-Juve, al video musicale della canzone, mi sale la nostalgia perchè oggi Iago gioca con gli avversari e di quel Genoa è rimasto ben poco. Vedo che qualche fila più sopra di me è seduto Marco (Liguori, il direttore di PianetaGenoa, ndr), vado a salutarlo. Due parole veloci, il tempo di conoscere di persona il collega Crisciuolo e di conoscere in anteprima come Iturbe sarebbe stato preferito a Falqué, non al meglio. Sospiro di sollievo, l’ex Verona era stato promesso al Genoa ma alla fine Sabatini rinunciò. “Basta un punto ed è fatta” mi tranquillizza ulteriormente Marco prima che il mio cuore subisca uno degli scossoni più desiderati in quasi 20 anni di vita (il 2 giugno saranno quattro lustri).

“Signore e signori, il Genoa!”. Tuona Marassi, e non dico il Ferraris perchè il boato è stato imputabile all’intero quartiere per le dimensioni dell’onda sonora prodotta. Se c’è una musica che carica, secondo me è “The Final Coutdown”. Mi piace pensare che lo si sapesse, e che dalla cabina sopra di me abbiano voluto metterla a rendere ancor più bello il mio esordio al Ferraris da giornalista. Comunque, con gli Europe in sottofondo , qualche petardo, un casino allucinante, il Grifone scende in campo per la rifinitura. E’ tutto così bello, alle 14:27 arrivano le formazioni ufficiali che una gentile hostess (manco fossimo in volo) mi consegna sottoforma di foglio A4: 3-4-2-1, confermato. No news, good news. Dalla Nord spunta un lungo striscione bianco: “Noi siamo il Genoa e chi non ne è convinto / posi la borsa e si tolga le scarpe”. Lo slash non indica l’andare accapo, bensì la distinzione tra una prima parte colorata di rosso e una seconda di blu. E ancora brividi lungo la mia, ignara, schiena. Via Armenia 5R e Brigata Speloncia attirano la mia attenzione: fino a qualche secondo prima, certe cose le avevo viste solo in tv, in foto, o comunque su uno schermo. Sulla fila soprastante la mia, due colleghi discutono e parlano di come dopo Genoa-Palermo si sia creata una spaccatura tra chi voleva la permanenza di Juric e chi no. Alle 14:45 parte “Ma se ghe pensu” in versione rivisitata, ma ormai i miei occhi e la mia attenzione non potevano distogliersi dalla Nord. Vuoi perchè era la prima volta in cui la vedevo dal vivo, vuoi perchè era strapiena, vuoi perchè non si fermava un secondo, ero come intontito dinanzi a quello spettacolo. Stavo per ringraziare tutti e uscire, poi mi resi conto che la partita doveva ancora cominciare.

In campo, oltre le squadre, uno striscione sul quale è impresso il numero 45514: è la giornata in cui la Lega Serie A supporta la Lega Italiana Fibrosi Cistica. Alle 14:52, boato di nuovo. Prima il Toro, poi il delirio e lo scoppio di un fragoroso petardo. “Col numero 23, Eugenio, Lamanna!”. “Col numero 14, Davide, Biraschi!”. “Col numero 8, Nicolás Burdisso!”. “Numero 3, Santiago, Gentiletti!”. “Numero 22, Darko, Lazovic!”. “Numero 44, Miguel, Veloso!”. “Numero 4, Isaac, Cofie!”. “Numero 93, Diego, Laxalt!”. “Numero 30, Luca, Rigoni!”. “Numero 11, Raffaele, Palladino!”. “Numero 9, Giovanni, Simeone!”. “E il numero 12 siete voi, il popolo, rossoblù!”. In sintesi: olé, tanti olé, qualche fischio per il capitano. Ore 14:58 secondo il mio orologio, squadre in campo. Uno striscione ha catturato in particolar modo la mia attenzione: “Pronti per la battAglia”.

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