Massimo Prati: Xeneizes

I tanti punti di contatto tra Genova e l'Argentina, raccontati nel volume "I Racconti del Grifo" che uscirà entro la fine dell'anno in terza edizione

River-Boca

XENEIZES…ovvero genovesi. È così che si chiamano i genovesi e, più in generale, i liguri di Argentina, in particolare quelli di Buenos Aires.
Dell’argomento, ho già parlato nelle mie due precedenti edizioni de “I Racconti del Grifo”. E siccome queste due edizioni hanno venduto più di 2.000 copie, ne sto preparando una terza, che uscirà entro la fine dell’anno, in cui ho aggiunto qualche altra informazione a riguardo.
“[…] Parli del Genoa e dell’Argentina, e allora viene alla mente la tournée sudamericana del 1923 e la sfida dei nostri contro la nazionale a Buenos Aires. Buenos Aires, la città dove ci sono altri genovesi, o come dicono loro: xeneizes; cioè quelli del Boca Juniors, la squadra in cui ha militato, tra gli altri, Diego Armando Maradona, “El Pibe de Oro”. Ma anche la squadra i cui nomi dei fondatori e dei primi giocatori sono già di per sé indicativi del loro luogo di origine: Pedemonte, Moltedo, Bricchetto, Baglietto, Carrega e altri ancora. D’altra parte, la squadra rivale del Boca, il River Plate, non è che abbia origini meno genovesi. Anzi, ad essere precisi i sopraccitati Moltedo e Carrega prima di giocare nel Boca giocarono proprio nel River, sotto la guida del presidente Salvarezza e del tesoriere Ratto, anch’essi originari della nostra città.
E poi, a Buenos Aires, ci sono anche i liguri e i genovesi del Barracas Central e del Club Atlético Huracán. Secondo i siti ufficiali di questi due club, il Barracas Central fu fondato da Silvero Angel Gardella, figlio di Miguel Gardella e di Maria Folaga, entrambi genovesi stabilitisi a Barracas (tra l’altro, proprio in quel quartiere il Genoa giocò contro la nazionale argentina nel 1923) mentre tra i fondatori dell’Huracán troviamo un Cambiasso (tipico cognome di Genova, ma con una sola S) e un Dellisola, cognome originario del savonese e in particolare di Loano. Forse, è anche in ragione di queste origini che, all’inizio degli anni Trenta, dall’Huracán arrivarono quattro giocatori al Genoa: Stabile, Pratto, Giglio ed Sposito (chiamato anche Esposito o Esposto) […] Ma, evidentemente, se si pensa alla presenza genovese in America Latina, più che i Conquistadores, il Cinquecento o il Seicento, vengono in mente gli spostamenti o le ondate di emigrazioni verso il Rio della Plata, già a partire dal Settecento e, ancora di più, nell’Ottocento e nel Novecento. Della Boca si è ampiamente parlato nel racconto dedicato alla tournée del Genoa nel ’23 e, parlando di tournée genovesi in Argentina, impossibile non pensare anche a quella teatrale, di qualche anno dopo, del famoso attore comico Gilberto Govi. Ma, a prescindere da questi due eventi d’importanza storica indiscutibile, almeno per chi ama Genova, in questo ambito vorrei fare anche qualche divagazione linguistica.
Numerose testimonianze dell’epoca attestano che la presenza dei liguri a Buenos Aires fosse talmente forte da costringere anche gli altri emigrati italiani ad imparare il genovese. Il genovese era dunque una specie di lingua franca, dell’emigrazione italiana, in questa parte del continente. In occasione del centenario del Genoa, nel 1993, ricordo di avere visto una mostra a Palazzo San Giorgio, o forse nella vicina Loggia di Banchi, che proponeva una rassegna di giornali argentini editi in genovese.
Ma il legame tra il genovese e la Boca è riuscito a percorrere i secoli, e a varcare il nuovo millennio, per giungere nell’era di internet. A riprova di questo, fino a poco tempo fa, bastava dare un’occhiata al sito ufficiale del Boca Juniors, dove all’opzione in spagnolo, e a quella in inglese, per la navigazione delle pagine web si poteva anche scegliere la lingua della nostra città. Ed è per questo, per esempio, che a proposito della maglia del Boca, nel sito della squadra argentina si poteva leggere il seguente passaggio: “O mariolo do Boca o l’è ciù che ‘n sempliçe abito sportivo. O l’è o o tezöo d’ogni tifozo ch’o ghe demanda a-i zugoei de sualo fin a in fondo. O l’è o mantello sacro lödòu da çentenae de cansoin. O simbolo ch’o l’unisce i xeneizes spantegae in gio a-o mundo”.
Traduzione per i non genovesi: “La maglia del Boca è qualcosa di più di un semplice abito sportivo. È il tesoro di ogni tifoso, il quale pretende che i giocatori l’impregnino di sudore. È il mantello sacro lodato in centinaia di canzoni. Il simbolo che unisce i genovesi della Boca in giro per il mondo”.
Il genovese, quindi, non solo è forse l’unica lingua di una città italiana ad essere presente, come abbiamo già visto, nell’inno nazionale di un altro Stato (il Principato di Monaco) ma probabilmente è anche l’unica lingua di una città italiana ad essere utilizzata nel sito ufficiale di una squadra straniera.
Comunque, l’influenza della presenza ligure nella capitale argentina ha riguardato anche altre parlate dell’area di Buenos Aires. Mi riferisco in particolare al cocoliche e al lunfardo. Il cocoliche era un misto di spagnolo e italiano parlato dagli emigrati. Il nome di questa lingua deriverebbe da un personaggio di fantasia che si rifaceva ad una persona reale: un operaio chiamato Coccoliccio, tipico emigrato meridionale che aveva poca padronanza del castigliano. Il legame di questa vicenda con Genova dipende dal fatto che il personaggio di fantasia sarebbe stato rappresentato per la prima volta da un attore comico in un circo gestito da due genovesi. Si trattava quindi di un linguaggio che si prestava ad un uso parodistico e caricaturale, rispondente ai meccanismi a cui a volte si rifanno, per esempio, i comici del nord d’Italia quando vogliono ironizzare sulla figura dell’immigrato meridionale trasferitosi in una grande città dell’Italia settentrionale. Si pensi a Diego Abatantuono o ad Aldo, Giovanni e Giacomo. Un secondo legame deriva dal fatto che, come abbiamo già visto, il genovese a Buenos Aires funzionava come lingua franca degli emigrati. Per questo motivo, il cocoliche, pur essendo un linguaggio legato ad una figura di emigrato meridionale, aveva anche espressioni che derivavano dal genovese. Un esempio emblematico di questo fenomeno è dato dalla parola “ciantapuffi” che, in cocoliche, stava ad indicare una persona inaffidabile. In genovese, “ciantapuffi” è un individuo che lascia regolarmente debiti in giro, ed è per questo che non lo si considera degno di affidamento. Il lunfardo invece è un gergo legato a bassifondi e malavita, il cui lessico prende parole a prestito dal lombardo e dal piemontese, dal napoletano e dal genovese; parlata gergale, tra l’altro, che ha anche una sua dignità letteraria, testimoniata dal suo frequente utilizzo in poesie, testi, canzoni e racconti. Ricordo che, molti anni fa, sfogliando un glossario di parole in lunfardo, casualmente trovai la definizione di “mina”, parola usata per indicare la fidanzata. Per completezza d’informazione, devo anche dire che a volte quella parola ha anche un’accezione più stupidamente volgare. Ma, quel termine significa anche ‘donna’, ‘fidanzata’, ‘ragazza’.
Probabilmente oggi, nella nostra città, quel sostantivo non si usa più, ma nei quartieri popolari della Genova della mia adolescenza, se uno voleva sapere se avevi la fidanzata, ti chiedeva se avevi “la mina” oppure se eri “minato”, usando quindi proprio la stessa parola che si era soliti usare nei barrios della capitale argentina. Del resto, in Lunfardo per dire “Non ti do un bel niente” si dice: “No te doy un belin” e lo stupido “es un belinon”, così come uno che è povero è un “mishio” (dal genovese “miscio”: senza soldi), mentre uno ricco è un “bacan”, che in genovese vuol dire “padrone” […]
[…] attraversiamo idealmente l’Oceano Atlantico per approdare a Buenos Aires. Nel quartiere Montserrat, a 4 km dalla Boca, troviamo la più importante pizzeria della capitale, fondata nel 1932 da emigrati genovesi e genoani. Il ristorante pizzeria si chiama “Guerrin” e ha gli scudi di Genova e del Genoa ai lati della sua grande insegna, sopra l’entrata del proprio locale”.
Massimo Prati, “I Racconti del Grifo. Quando Parlare del Genoa è come Parlare di Genova”, Urbone Publishing. Terza edizione non illustrata. Uscita prevista entro la fine dell’anno.
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