Federsupporter, Coronavirus: i calciatori non possono essere obbligati a partecipare alle sedute di allenamento

L'avvocato Rossetti: «Il Decreto del Governo rende il rifiuto dei giocatori di partecipare a sedute di allenamento del tutto legittimo»


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Si è appreso che alcune società intenderebbero obbligare i calciatori a partecipare a sedute di allenamento. Tale obbligo non sussiste ed è incoercibile per le ragioni che seguono.

Nel DPCM del 9 marzo scorso era consentito lo sviluppo di eventi e competizioni in impianti sportivi utilizzati a porte chiuse.

Nell’ambito e nel contesto di questa possibilità era, altresì, consentito lo svolgimento delle sedute di allenamento degli atleti agonisti.

Con successivo DPCM la possibilità di svolgere eventi e competizioni, sia pure a porte chiuse, è stata, come noto, esclusa.

Ne consegue che, venuti meno l’ambito ed il contesto in cui era consentito lo svolgimento delle sedi di allenamento, non può non ritenersi venuta meno la possibilità di svolgere tali sedute.

Queste ultime altrettanto funzionali e propedeutiche alla disputa di eventi e competizioni sportive.

Ma ammesso pure, e non concesso, che la possibilità di svolgere sedute di allenamento fosse rimasta in vita, il permanere, anzi l’aggravarsi, del rischio di contagio da coronavirus dopo il 9 marzo scorso, dimostrato dal fatto che successivamente a tale data non pochi calciatori sono risultati contagiati e non pochi in stato di quarantena, rende il rifiuto dei calciatori di partecipare a sedute di allenamento del tutto legittimo.

Senza, poi, voler considerare che i medici sportivi hanno pubblicamente raccomandato di non svolgere sedute di allenamento.

La tutela della salute, riconosciuta dalla Costituzione (art. 32) come diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività è, in sede civile causa giustificatrice dell’inadempimento di un obbligo contrattuale e, in sede penale, scriminante da reato.

Si tenga, inoltre, presente che, ove la società di calcio avesse imposto ai propri calciatori di partecipare a sedute di allenamento e ove qualcuno di quei calciatori risultasse poi contagiato, il rappresentante legale di quella società sarebbe passibile di incriminazione per il reato di lesione personale colposa (art. 590 CP).

Reato che, per essere commesso, non richiede che la condotta debba essere necessariamente violenta e che prevede, qualora dalla lesione derivi una malattia gravissima, la pena della reclusione da 3 mesi a 2 anni o della multa da € 309,00 a € 1.239,00.

Aggiungo che obbligare da parte delle società i calciatori a partecipare alle sedute di allenamento non giova alle predette neppure economicamente.

Quanto sopra, perché in questo caso, esigendo la prestazione di attività lavorativa da parte di calciatori ed essendo tale attività svolta, verrebbe meno il presupposto giuridico per non dover corrispondere loro la relativa retribuzione dovuta.

Né è da tralasciare che comportamenti del genere risultano. In questo momento, altamente diseducativi, disdicevoli, contrari ai principi cardine dell’ordinamento sportivo di correttezza, lealtà e probità.

Concludo, precisando che tutte le considerazioni che precedono coercenti i calciatori vanno estese anche agli allenatori, ai dirigenti tecnico-sportivi, ai preparatori atletici, nonché a tutti coloro i quali, a vario e diverso titolo, prendono parte alle sedute di allenamento.

Avv.Massimo Rossetti

Responsabile area legale Federsupporter

www.federsupporter.it

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