Federsupporter sullo stadio di Roma: ITALIA, Stato di diritto o Paese dei cachi?

Ecco perché la soluzione migliore per tutti sarebbe quella di azzerare e resettare tutto


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Ho sempre pensato, almeno finora, che, nonostante tutto, l’Italia fosse uno Stato di diritto; vale a dire uno Stato in cui i pubblici poteri sono soggetti alla supremazia della legge.

Comincio, però, a credere che, invece, l’Italia si stia progressivamente, ma inesorabilmente, trasformando, per parafrasare una nota canzone, in un “Paese dei cachi”.

Alcuni fatti ed alcune vicende, passate e recenti, pur diverse tra loro, mi inducono a tale sconsolata conclusione.

Fra tutte e la più recente, la vicenda dello Stadio per la Roma a Tor di Valle.

Una vicenda, questa, che si è trasformata in una sorta di “fiction”, in un film che, in altri tempi, sarebbe stato pubblicizzato nelle sale cinematografiche con espressioni del tipo “ passioni, inseguimenti, duelli”; il tutto, ormai, pressoché al di fuori di qualsiasi rispetto di norme, procedimentali e sostanziali, pur esistenti.

Una vicenda in cui alla supremazia della legge si vorrebbe sostituire la supremazia del denaro e del tifo sportivo, peraltro, quest’ultimo cinicamente e spregiudicatamente strumentalizzato al servizio di fini economici e speculativi privati, con il supporto di organi di informazione e di opinion maker anch’essi al servizio di detti fini.

Più volte ho avuto modo di soffermarmi su cruciali aspetti tecnico-giuridici delle questioni che, via via,si sono presentate e, tuttora, si pongono.

Temo, però, che si sia trattato e si tratti di uno sforzo inutile e destinato a soccombere.

Comunque, tenterò ugualmente di offrire un contributo, spero utile, in tal senso, secondo coscienza e conoscenza, sebbene, quest’ultima, nei limiti delle mie modeste capacità.

Si torna a parlare in queste ore di una nuova sospensione dei termini del procedimento, in aggiunta alla sospensione già chiesta alla Conferenza di Servizi ed ottenuta dal Comune di Roma ai sensi dell’art.2, comma 7, della Legge n. 241/1990 sul procedimento amministrativo.

Norma secondo cui i termini del procedimento possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a 30 giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione procedente o non direttamente acquisibili presso altra amministrazione.

In virtù di tale proroga, il termine di conclusione dei lavori della Conferenza di servizi decisoria è il 3 marzo prossimo.

Già al momento della richiesta e dell’ottenimento della sospensione avevo espresso le mie perplessità circa la sospensione stessa, poiché la norma di cui sopra recita che “ Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2” : cioè, si applicano le disposizioni che disciplinano la Conferenza di servizi.

Disposizioni che, così come sostituite dal Decreto Lgs. N. 127/2016 che ha riordinato la disciplina della Conferenza di servizi, relativamente alla Conferenza in forma simultanea e in modalità sincrona, quale quella in corso concernente lo Stadio per la Roma a Tor di Valle, prevede ( art. 14 ter, comma 2) che i lavori della Conferenza, qualora, come nel caso di specie, siano coinvolte amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, si debbano concludere non oltre 90 giorni dalla prima riunione della Conferenza e che “ Resta fermo l’obbligo di rispettare il termine finale di conclusione del procedimento”.

Ma, ammesso pure e non concesso che la sospensione dei termini accordata sia stata legittima, essendo, come visto, la sospensione ammessa per una sola volta e per non più di 30 giorni, mi sfugge come possa ipotizzarsi e concedersi una nuova sospensione, prolungando ulteriormente i tempi di conclusione dei lavori della Conferenza di servizi.

Rilevo, altresì, che, parallelamente alla Conferenza di servizi ufficiale, se ne sta svolgendo un’altra, per così dire “privata”, che sfugge all’osservanza di qualsiasi principio e regola di pubblicità e trasparenza, rappresentata da una serie di incontri non ufficiali e quasi “carbonari “ che vedono protagonisti, da un lato, componenti della Giunta comunale e, dall’altro, esponenti della AS Roma spa.

Quest’ultima, è bene ribadirlo, che non è il soggetto proponente ( Eurnova srl) né quello che sarà proprietario dello Stadio ( la proprietaria sarà una società di scopo costituita tra Eurnova e una Holding che controlla la AS Roma spa, a propria volta controllata da una srl del Delaware, noto paradiso fiscale statunitense), bensì l’utilizzatore dello Stadio stesso, così come, oggi, la AS Roma spa è utilizzatrice dello Stadio Olimpico.

Preciso, ancora una volta, che la Conferenza di servizi in atto non può che unicamente pronunciarsi sul Progetto ad essa pervenuto in esito alla Conferenza di servizi preliminare di cui alla Deliberazione n.132 del 22 dicembre 2014, con cui la precedente Amministrazione capitolina ha determinato il pubblico interesse dello Studio di fattibilità da essa esaminato, corredato da tutte le necessarie condizioni contenute nella Deliberazione, il cui venir meno, anche di una sola di esse, provocherebbe la caducazione ex tunc del suddetto pubblico interesse.

Non si vede, pertanto, almeno io non lo vedo, come legittimamente quel Progetto possa essere sostanzialmente modificato e cambiato, come pure è stato e si sta ipotizzando, a seguito di negoziazioni intervenute tra Comune di Roma e AS Roma spa, al di fuori della Conferenza di servizi decisoria.

Senza dimenticare che il 1° febbraio scorso il Comune di Roma si è già formalmente pronunciato, depositando, così come prevede il Decr.Lgs. n. 127/2016, la propria Determinazione di dissenso relativa al Progetto con l’elencazione di una serie di condizioni affinchè tale dissenso possa mutarsi in assenso ( così detto “dissenso costruttivo”). Condizioni tra le quali non figura la riduzione della cubatura del “Business Park” ( 86% della cubatura totale rispetto al 14% della cubatura dell’impianto sportivo).

E’ evidente, almeno al sottoscritto, che il Comune, se vuole, per davvero, modificare e cambiare sostanzialmente il Progetto, non ha altra legittima via se non quella, pure da me più volte prospettata, dell’annullamento d’ufficio per vizi di legittimità della Deliberazione n. 132, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 nonies della Legge n.241/1990, oppure della sua revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, ovvero per mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 quinquies della citata legge.

Solo una volta annullata o revocata la Deliberazione n. 132, il Comune potrà negoziare con il proponente un nuovo, diverso Progetto, anche, una eventuale localizzazione diversa da Tor di Valle, più consona a quello che si intende realizzare: nuovo Progetto che potrebbe essere, poi, rapidamente approvato in sede di Conferenza di servizi preliminare e decisoria.

Quanto alla recente iniziativa della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Roma che ha suscitato le ire della AS Roma spa e di chi per essa che, oltre a contestarla, l’ha addirittura definita una “ iniziativa ostile” e che qualcuno, con grave sprezzo del ridicolo, ha voluto attribuire ad un “ complotto” della Soprintendente in combutta con il di lei fratello ed altri “ congiurati” laziali, evidentemente in odio tifoideo alla Roma ed ai suoi sostenitori, bene ha fatto, a mio avviso, il Ministro dei Beni Culturali a specificare che le Soprintendenze sono autonome in ordine a pareri e vincoli di loro competenza.

Il Ministro, inoltre, ha voluto specificare che la decisione finale, per la parte di competenza statale, potrà essere portata alla decisione del Consiglio dei Ministri.

Sul punto, occorre chiarire alcuni aspetti.

Nella Conferenza di servizi decisoria tutte le amministrazioni statali fanno capo ad un rappresentante unico, nominato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, così come la Regione ed il Comune nominano i propri, rispettivi, rappresentanti unici, abilitato ad esprimere definitivamente, in modo univoco e vincolante, le posizioni di tutte le amministrazioni rappresentate.

Le singole amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei Ministri avverso la Determinazione motivata di conclusione della Conferenza,qualora abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della Conferenza stessa.

L’opposizione sospende l’efficacia della Determinazione conclusiva e, ove in una riunione indetta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri tutte le amministrazioni partecipanti alla Conferenza non raggiungano una soluzione condivisa sostitutiva della Determinazione opposta, la decisione viene rimessa al Consiglio dei Ministri che può respingere l’opposizione, accoglierla parzialmente, modificando di conseguenza la Determinazione, oppure accoglierla in toto.

Probabilmente il Ministro dei Beni Culturali ha inteso fare riferimento alla sopradescritta procedura quando ha specificato che la decisione finale spetta al Consiglio dei Ministri.

Nel caso si tratti di vincoli paesaggistico-ambientali, idrogeologici, di salvaguardia delle risorse idriche, dei vincoli derivanti da piani di bacino, essendo tali vincoli così detti “ ob rem”, cioè connaturali e intrinseci al bene vincolato, la giurisprudenza costituzionale, civile e amministrativa insegna che essi non sono oggetto di discrezionalità politico-amministrativa, bensì esclusivamente di valutazioni tecnico-scientifiche delle Autorità a ciò preposte.

Ne discende che la decisione del Consiglio dei Ministri nelle materie di cui sopra, così come dei rappresentanti unici delle amministrazioni coinvolte nella Conferenza di servizi, deve rigorosamente attenersi alle suddette valutazioni tecnico-scientifiche.

Si è detto in precedenza che, entro il termine perentorio di scadenza dei lavori della Conferenza di servizi decisoria, i rappresentanti unici delle amministrazioni partecipanti devono esprimere le loro rispettive decisioni, operando diversamente il principio del silenzio-assenso.

L’accennata iniziativa della Soprintendenza comporta l’apertura di una speciale procedura che deve concludersi entro 120 giorni da tale apertura avvenuta il 17 febbraio scorso.

A quest’ultima comporta da subito l’applicazione della misura di salvaguardia del bene interessato dalla procedura in attesa dell’esito finale di quest’ultima.

Conseguentemente è come se il vincolo sul bene già esistesse.

Tuttavia, i tempi di conclusione della procedura non collimano con quelli di conclusione ( 3 marzo prossimo) dei lavori della Conferenza di servizi.

Un” ingorgo” giuridico, quindi, di non facile soluzione.

Al riguardo, sottolineo che l’art. 6 del Decr.Lgs.n 127/2016, stabilisce che, nel caso, come nella specie, di Conferenza di servizi indetta per interventi che richiedano l’autorizzazione paesaggistica, il Soprintendente deve esprimere il parere di cui all’art. 146 del Decr.Lgs. n. 42/2004 ( Codice dei beni culturali e del paesaggio).

In particolare, il parere del Soprintendente, ai sensi del comma 5 del suddetto art. 146, è vincolante ai fini dell’autorizzazione paesaggistica che, ai sensi del precedente comma 4, costituisce il presupposto rispetto al permesso di costruzione o agli atti legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio.

L’autorizzazione paesaggistica è impugnabile (comma 12) con ricorso al TAR o con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica dalle, tra gli altri, associazioni portatrici di interessi diffusi in materia di ambiente,nonché da qualsiasi altro soggetto, pubblico o privato, che ne abbia interesse.

Le sentenze e le ordinanze del TAR possono essere appellate dai medesimi soggetti, anche se non abbiano proposto ricorso di primo grado.

Senza autorizzazione i proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi tiolo, di immobili ed aree di interesse paesaggistico non possono distruggerli o apportarvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione ( comma 1).

La violazione delle suesposte prescrizioni comporta l’obbligo di rimessione in pristino, a proprie spese, dell’immobile o dell’area da parte del soggetto autore della violazione stessa e sanzioni penali che possono comportare la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno e, in taluni casi, anche della reclusione da uno a quattro anni.

A mio parere, pertanto, i rappresentanti unici delle amministrazioni partecipanti alla Conferenza di servizi non possono ignorare l’apertura della procedura ad opera della Soprintendenza e le sue conseguenze e, perciò, allo stato, dovrebbero esprimere un dissenso motivato, indicando le modifiche al Progetto ritenute necessarie ai fini dell’assenso.

Modifiche che, però, nella fattispecie, potrebbero unicamente consistere nella condizione che il Progetto non implichi aree sottoposte alla procedura di vincolo.

Ma se, all’esito della Procedura il vincolo non fosse apposto ?

L’unico modo per ovviare a questa eventualità sarebbe, a mio avviso, quello di esprimere un dissenso motivato condizionato: sottoposto, cioè, alla condizione risolutiva dell’eventuale mancata apposizione del vincolo.

E’ molto dubbio, tuttavia, che la vigente disciplina della Conferenza di servizi consenta l’espressione di dissensi o assensi motivati risolutivamente condizionati al verificarsi di un evento futuro ed incerto.

Senza considerare che la Determinazione conclusiva della Conferenza di servizi si basa sul principio delle posizioni prevalenti, non in senso numerico, bensì nel senso della prevalenza delle posizioni espresse da quelle amministrazioni che rappresentano e tutelano diritti costituzionalmente previsti e garantiti, tra i quali, secondo la giurisprudenza costituzionale, i diritti ambientali, paesaggistico-culturali, artistici prevalgono sul diritto di iniziativa economica privata che, se confliggente con i primi, deve recedere.

Al punto in cui si è giunti ed alla luce di tutto quanto precede, è, quindi, sempre più difficile ipotizzare come la vicenda andrà a finire e, soprattutto, se come andrà a finire potrà essere considerato legittimo e se, come , invece, prevedo, non darà luogo ad un lungo, defatigante ed aleatorio contenzioso giudiziario.

Insisto, perciò, nel ritenere che la soluzione migliore per tutti sarebbe quella di azzerare e resettare tutto e ripartire su basi più conformi e consone ad uno Stato di diritto anziché ad un “ Paese dei cachi”.

Avv. Massimo Rossetti

Responsabile dell’Area Giuridico-Legale di Federsupporter

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