Federsupporter: riconoscimento biometrico, l’ordine e la sicurezza pubblica prevalgono sulla dignità della persona?

L'associazione di tutela dei diritti dei tifosi cita in una sua nota le argomentazioni del professore Stefano Rodotà, Presidente emerito dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali


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L’eccezionalità del provvedimento recentemente assunto dal Prefetto di Roma, d’accordo con il Coni e le società sportive di Roma e Lazio, di applicare il riconoscimento biometrico per tutti gli spettatori di ogni settore dello Stadio Olimpico di Roma, ha portato Federsupporter ad approfondire l’argomento.

La disamina che l’Avv. Massimo Rossetti ha effettuato (leggi allegato) si è fondata sul richiamo alle argomentazioni formulate nel 2015 dal Prof. Stefano Rodotà, Presidente emerito dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali. Guarda caso la stessa Autorità che ha, ora, legittimato l’applicazione del riconoscimento biometrico per lo Stadio Olimpico.

Il fondamento dell’anormalità di tale misura si ritrova proprio nella palese violazione della dignità umana, il cui rispetto deve evitare, in uno Stato che si definisce democratico e liberale, che la persona possa essere considerata una” miniera a cielo aperto” dalla quale chiunque può estrarre informazioni e “ costruire profili individuali, familiari, di gruppo..” .

L’allegato Studio ed il continuo richiamo alle considerazioni del Prof Rodotà permetterà ad ognuno di riflettere sulle conseguenze, attuali e future, dell’abnorme misura la cui portata continua ad essere minimizzata dai media e dalle stesse Società interessate, come si può leggere nelle recenti dichiarazioni del Direttore Generale della AS Roma, Mauro Baldissoni, a “La Gazzetta dello Sport” del 19 agosto scorso: “ Sicurezza ? non cambierà niente”.

Alfredo Parisi – Presidente Federupporter

 

Il riconoscimento biometrico: l’ordine e la sicurezza pubblica prevalgono sulla dignità della persona?

La recente introduzione, in aggiunta alle barriere nelle Curve, del cosi detto “riconoscimento biometrico” per tutti gli spettatori di ogni settore dello Stadio Olimpico di Roma costituisce, a mio avviso, un fatto che va ben oltre ed è di portata ben più generale della cosa in sé e per sé considerata.

Anche perché misure specifiche, di prevenzione e repressione, adottate nel mondo del calcio e nei confronti dei tifosi si possono prestare ad un uso sperimentale, suscettibile di estensione ad altri settori della vita quotidiana.

Occorre, quindi, evitare approcci superficiali e riduttivi, abbastanza frequenti quando si parla e ci si occupa di “ cose calcistiche” e che, per l’appunto, riguardano i tifosi: quasi che le une e gli altri non fossero una componente rilevante del vivere e della società civile.

Ciò premesso, con riferimento al tema in oggetto, ritengo opportuno e interessante richiamare l’attenzione e sollecitare la riflessione su alcune, importanti questioni, utilizzando, a questo scopo, ampi brani, di seguito trascritti, tratti dal libro “ Il diritto di avere diritti”, Editori Laterza, 2015, di Stefano Rodotà, uno dei più autorevoli ed insigni giuristi del nostro tempo ( Professore emerito di Diritto Civile dell’Università di Roma “La Sapienza”, coautore della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché Presidente emerito dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali).

La dignità diviene il forte tramite per ricostituire l’integrità della persona ( Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 3), per evitare che la persona venga considerata una sorta di miniera a cielo aperto dove chiunque può attingere qualsiasi informazione e in tal modo costruire profili individuali, familiari, di gruppo, facendo quindi divenire la persona l’oggetto di poteri esterni, che possono falsificarla, costruirla in forme coerenti ai bisogni di una società della sorveglianza, della selezione sociale, del calcolo economico” ( pag. 197).

La dignità non è un diritto fondamentale tra gli altri, né una supernorma. Seguendo la storia della sua vicenda giuridica, ci avvediamo che essa è venuta ad integrare principi fondamentali già consolidati- libertà, eguaglianza, solidarietà-, facendo corpo con essi e imponendone una reinterpretazione in una logica di indivisibilità…. L’homo dignus non si affida ad un principio che sovrasta libertà, eguaglianza, fraternità e così, in qualche modo, le ridimensiona. Dall’intrecciarsi continuo di questi principi tutti fondativi, dal loro reciproco illuminarsi, questo homo riceve maggiore pienezza di vita e, quindi, più intensa dignità umana”(pag. 199).

L’altra via dell’indegnità, quella che drammaticamente continua ad accompagnarci, muove invece da un ribaltamento, da un radicale rifiuto dell’altro che prescinde da qualsiasi suo comportamento e conduce ad una morte civile, ad una progressiva espropriazione di ogni diritto che costruisce categorie di indegni nei cui confronti ogni aggressione diviene legittima. Indegne le vittime o i persecutori ? “ ( pag. 207).”

Si torna così a dare rilevanza, in modo nuovo, al corpo, che diventa fonte di nuove informazioni, oggetto di un continuo data mining , davvero una miniera a cielo aperto dalla quale attingere dati ininterrottamente. Il corpo in sé sta diventando una password: la fisicità prende il posto delle astratte parole chiave : Impronte digitali, geometria della mano o delle dita o dell’orecchio, iride, retina, tratti del volto, odori, voce, firma, modalità d’uso di una tastiera, andatura, DNA. Si ricorre sempre più frequentemente a questi dati biometrici non solo per finalità di identificazione o come chiave per l’accesso a diversi servizi, ma anche come elementi per classificazioni permanenti, per controlli ulteriori rispetto al momento dell’identificazione o dell’autenticazione/verifica, cioè della conferma di una identità….E qui nascono nuovi, più drammatici interrogativi, derivanti dal fatto che alcuni dati biometrici racchiudono una molteplicità di informazioni, anche molto sensibili, eccedenti la finalità di identificazione o di verifica e riferibili ad una molteplicità di soggetti, non solo a quello immediatamente preso in considerazione….Muovendo dall’identificazione, si instaura così un rapporto, complesso e sempre più intenso, tra la persona ed una serie di altri soggetti, che possono variamente incidere sulle modalità di determinazione dell’identità e, attraverso ciò, sulla costruzione stessa della personalità” ( pagg. 301,302).

La nostra identità, dunque, è sempre più il frutto di una operazione nella quale sono gli altri a giocare un ruolo decisivo, con una presenza continua di elaborazione e controllo. E non si tratta soltanto della costruzione fondata sul modo in cui l’altro ci vede e ci definisce, ora con occhio disinteressato e partecipe, ora sotto la spinta di bisogni indotti da logiche di mercato o di sicurezza pubblica. La rappresentazione collettiva può determinare il modo in cui siamo considerati, pur senza apprestare essa stessa i materiali costitutivi dell’identità, come accade quando si utilizzano direttamente i nostri dati personali. Vero è, peraltro, che nell’uno e nell’altro caso si è di fronte ad una identità instabile, alla mercè, di volta in volta, di umori e pregiudizi degli interessi concreti di chi raccoglie, conserva, diffonde i dati personali. Si crea così una situazione di dipendenza, che determina la costruzione di una identità esterna, e qualifica l’identità in forme che ne riducono il potere di governo da parte dell’interessato “ ( pag. 319).

L’originaria definizione della privacy come diritto ad essere lasciato solo non è stata cancellata, ma fa parte di un contesto via via arricchito da diversi punti di vista. La prima vera innovazione arriva con Alan Westin, che definisce la privacy come il diritto di controllare l’uso che altri fanno delle informazioni che mi riguardano. Successivamente la privacy viene anche considerata come tutela delle scelte di vita contro ogni forma di controllo pubblico e di stigmatizzazione sociale, rivendicazione delle limitazioni che impediscono a ciascuno di essere semplificato, oggettivato e valutato fuori contesto e, più direttamente, proprio come libertà da vincoli irragionevoli alla costruzione della propria identità….La privacy viene inoltre definita come diritto di mantenere il controllo sulle proprie informazioni e di determinare le modalità di costruzione della propria sfera privata e, in definitiva, come il diritto di scegliere liberamente il proprio modo di vivere”(pagg. 320,321).

Un Rapporto di Statewatch,” The Shape of Things to Come,” sottolinea come l’Unione europea abbia in questo modo ( ndr. Documento della Presidenza della UE) dato una indicazione che spinge verso la sostituzione del principio secondo il quale i dati riguardanti i cittadini dovrebbero essere in via generale al riparo dall’intervento di soggetti pubblici con l’opposto principio che legittima la pretesa pubblica di avere accesso ad ogni dettaglio delle nostre vite private. In questo scenario, la protezione dei dati ed il controllo giudiziario sulle forme di sorveglianza esercitate dalla polizia vengono percepiti come ostacoli ad una efficiente cooperazione in materia di applicazione del diritto. Questo implica che governi europei e uomini politici dell’Unione si pongono l’obiettivo di ottenere poteri illimitati nell’accedere e nel raccogliere masse di dati personali sulla vita quotidiana di tutti, con l’argomento che così saremo sicuri ed al riparo dai rischi percepiti. Le critiche di Statewatch analizzano un solo aspetto del digital tsunami, quello dell’uso crescente dell’argomento della sicurezza pubblica per ridurre libertà e diritti, per trasformare le nostre organizzazioni sociali da società di persone libere in nazioni di sospetti. Questione certamente fondamentale,perché modifica il rapporto tra il cittadino e lo Stato e, più specificamente, viola l’impegno preso dallo Stato nei confronti di ogni persona di utilizzare i suoi dati in maniera selettiva, rispettando principi come quelli di necessità, finalità, proporzionalità, pertinenza. In questo modo, alcuni di questi principi che sono alla base della protezione dei dati, vengono lentamente erosi. E questo accade soprattutto per il principio riguardante le finalità della raccolta e per quello che riguarda la separazione tra i dati trattati da soggetti pubblici e quelli trattati da soggetti privati. Il solo principio di riferimento diventa quello di disponibilità, per favorire lo scambio e l’utilizzazione delle informazioni da parte di tutti gli organi che hanno compiti di polizia e di sicurezza. Il criterio della multifunzionalità viene sempre più largamente adottato a seguito delle pressioni di soggetti istituzionali. I dati raccolti per una determinata finalità vengono resi disponibili per finalità diverse, considerate altrettanto importanti di quelle per le quali erano stati originariamente raccolti. I dati trattati da un determinato organismo diventano disponibili per altri. Questo significa che le persone diventano sempre più trasparenti e che gli organismi pubblici sono sempre più sottratti al controllo politico e giuridico. E questo porta con sé una nuova distribuzione di poteri politici e sociali “ (pagg.325.326).

Si accentua il trasferimento del potere di definizione della persona e della sua identità dall’ambito della valutazione umana a quello della decisione automatica. La riflessione su questo punto fa nascere numerosi problemi. Il primo riguarda norme come l’art. 15 della Direttiva europea 95/46 sulla protezione delle persone e per quanto riguarda il trattamento dei dati personali e la loro libera circolazione. Qui si dà una indicazione di particolare importanza, stabilendo che “ gli Stati membri riconoscono ad ogni persona il diritto a non essere sottoposta ad una decisione che produca effetti giuridici o abbia affetti significativi nei suoi confronti fondata esclusivamente su un trattamento automatizzato di dati destinati a valutare taluni aspetti della sua personalità, quali il rendimento professionale, il credito, l’affidabilità, il comportamento ecc” . Semplificando assai, si può dire che questa è una norma generale sulla distribuzione del potere di decisione nel mondo digitale” ( pag 328).

L’annunciato digital tsunami, dunque, è il frutto non soltanto delle opportunità offerte dalla tecnologia, ma del fatto che i dati personali, come già si è sottolineato, vengono attratti nell’orbita onnivora del sistema delle imprese e degli organismi di sicurezza. Una strategia di contrasto passa sicuramente attraverso una riflessione che metta al centro una vera e propria reinvenzione della privacy, alle cui modalità si è già accennato, e che saranno riprese più avanti. Ma deve affrontare esplicitamente anche il tema dei poteri che in vario modo vogliono sovrapporsi a quello della persona, riducendolo, o addirittura cercando di cancellarlo del tutto in nome del mercato, dell’ordine pubblico, dell’efficienza tecnologica” ( pagg. 337,338).

Anche se è eccessivo, e persino pericoloso, dire che noi siamo i nostri dati, è tuttavia vero che la nostra rappresentazione sociale è sempre più affidata a informazioni sparse in una molteplicità di banche dati e dai profili che su questa base vengono costruiti, alle simulazioni che permettono. Siamo sempre più conosciuti da soggetti pubblici e privati attraverso i dati che ci riguardano in forme che possono incidere sull’eguaglianza, sulla libertà di comunicazione, di espressione o di circolazione, sul diritto alla salute, sulla condizione di lavoratore, sull’accesso al credito ed alle assicurazioni, e via elencando. Divenute entità disincarnate, le persone hanno sempre più bisogno di una tutela del loro corpo elettronico….Proprio l’intensità e la pervasività dei fenomeni obbligano a considerare gli altri strumenti disponibili, per evitare, appunto, che la sorveglianza si svolga fuori da ogni controllo istituzionale. In questo momento storico, il termine privacy sintetizza appunto un insieme di poteri che, originati dall’antico nucleo del diritto ad essere lasciato in pace, si sono via via evoluti e diffusi nella società proprio per consentire forme di controllo sui diversi soggetti che esercitano la sorveglianza. L’esistenza di questo contropotere diffuso contribuisce ad escludere la piena legittimazione sociale ed istituzionale dei sorveglianti.”( pagg. 396,397).

Per concludere, si tenga presente che dovrebbe essere imminente una riforma del processo penale nel cui ambito sarebbe prevista la disciplina dell’utilizzo di virus che permettono di intercettare ogni cosa contenuta nel dispositivo e usarlo come telecamera o registratore in computer e cellulari.

Tale disciplina vieterebbe l’utilizzazione come prova delle intercettazioni attuata con questi virus, ad eccezione dei reati oggetto di provvedimento giudiziario autorizzativo.

Come si può, dunque, constatare “ Come sempre accade, la narrazione dei diritti descrive, attraverso i loro riconoscimenti e le loro negazioni, le condizioni della libertà delle persone e della democraticità delle istituzioni” ( op. cit. pag. 413).

Pertanto, non è assurdo e irrealistico che, a cominciare dai tifosi di calcio, si vogliano sperimentare soluzioni autoritarie e totalitaristiche, queste ultime consistenti nel controllo di ogni aspetto della vita di tutti, mediante forme di quello che alcuni definiscono “ fascismo digitale”.

D’altronde, che il timore di cui sopra non sia affatto peregrino è dimostrato anche dalla circostanza che, così come rilevato in miei precedenti scritti, la Cassazione, Sezione III Penale, con sentenza n. 22266, depositata il 27 maggio scorso, con riferimento alla misura del così detto “daspo collettivo”, ha definito, usando un linguaggio , invero, inusuale e inusitato per la Suprema Corte, “ compulsiva” la legislazione che ha sinora caratterizzato la disciplina diretta a prevenire violenze in occasione di manifestazioni sportive.

Disciplina fondata, secondo la Cassazione, su una responsabilità collettiva “retaggio di trascorse, e non illuminate, epoche storiche e giuridiche “, secondo la logica del “ tipo normativo d’autore (il Tatertyp elaborato dalla dottrina nazionalsocialista tedesca) ”.

Logica che, sempre secondo la Cassazione, prescinde “ dall’individuazione- e dunque nella sua proiezione probatoria, dalla prova- di un fatto integrante la partecipazione attiva, anche nella dimensione psichica (intesa come determinazione, istigazione o, comunque, adesione e rafforzamento dell’altrui proposito), alle condotte violente, minacciose o intimidatorie”.

Logica alla quale, viceversa, sembrano ispirarsi, oltreché il “daspo collettivo”, le barriere e, ora, il riconoscimento biometrico.

Avvocato Massimo Rossetti

Responsabile dell’Area Giuridico-Legale Federsupporter

Ricevuto da Federsupporter e pubblicato

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