Sullo schermo del cellulare, Ricardo, lo si vedeva tranquillo e immerso in una calda e accogliente serata trascorsa in famiglia, sul divano della sua casa genovese. Nella sua Instagram story sorseggiava tranquillamente un po’ di yerba mate, che per molti è quasi una droga ma di fatto è una semplice tisana. In Portogallo la chiamano chimarrão, ma è in Sudamerica che nutre di maggior popolarità: viene utilizzata come antidoto al mal di montagna, il soroche, per via pure della caffeina contenuta nel porongo. Cebar mate è una tradizione, un rituale: la mateada rappresenta una pausa tè ma dal sapore più latino rispetto a quella tipicamente british. L’Argentina del resto è il principale produttore di mate, ed è proprio nel paese albiceleste che se ne registra la maggioranza del consumo. Ricardo è nato nel 1993 ad Avellaneda. Ha soli quattro anni in più di chi vi scrive.
Ma Ricardo non è solo questo. E’ una persona e un atleta sensibile, un autore di meravigliose giocate prese singolarmente, un esteta che oltre alcune vicende particolari (risse, pistole, musica ad alto volume, bravate, foto a luci rosse) riesce a dare il massimo su un campo da calcio. Leggiadro, volteggiante, libero dagli schemi eccetto uno: mostrare la propria qualità. Le praterie che percorre col contachilometri a manetta, piuttosto che difensori avversari che si trovano esterrefatti dinanzi al suo dribbling e non riescono a far altro che prendergli il numero di targa, parlano per sé. E poi Ricardo ama la cumbia, ma non quella colombiana. Semmai la cumbia villera, quella argentina, nata nei quartieri poveri di Buenos Aires. A differenza della cumbia, quella villera è caratterizzata da tematiche differenti: le canzoni parlano spesso di droga, di crimine, tanto che una variante più recente sta assumendo i contorni rap. Ecco perché lo chiamano El Wachiturro, tra parentesi. Lontano da Barranquilla, lontano da Baires, questo ragazzo è partito per l’Europa (due volte, una nel 2013 e l’altra nel 2017) portando con sé valigie, una carta d’identità importante e un apporto rilevante di nostalgia. Saudade è un termine presente nella cultura portoghese, ma pure in quelle galiziana e brasiliana: si indica così uno stato di malinconia, nostalgia, spesso assume una dimensione mistica. Probabilmente, Genova, non è un posto per Ricardo.
Ricardo, che di cognome fa Centurión e qualche sera fa era su Instagram mentre i compagni si preparavano ad affrontare il Cagliari, ora è triste. Tanto triste, visto che lo spazio per lui è ormai sensibilmente ridotto e già si vocifera di un suo prematuro ritorno a casa. In Argentina, laddove lo apprezzano e dove sarebbero ben felici di vederlo scendere in campo. E allora, a meno che alla yerba mate non si aggiunga un po’ di pesto, El Wachiturro dovrà presto tornarsene in patria.
(1 – Continua)
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