La consapevolezza è la vera forza di Thiago Motta

Il tecnico sa perfettamente cosa sia il Genoa. Non si sta parlando di un gruppo che guarda in alto, ma solo di una squadra che vuole crescere, uscire dal tunnel della retrocessione e magari compiere qualche bella impresa

Thiago Motta Genoa
Thiago Motta (foto di Genoa CFC Tanopress)

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E allora? Dopo la “quasi – vittoria” del Genoa sul Napoli (gol fatto, ma mancato da Pinamonti) che ne facciamo del nostro amico Thiago? Continuiamo a metterlo sotto accusa per certi “cambi”? O chiamiamo subito, dopo due sole giornate, Ballardini? O lo eliminiamo dal contratto di Preziosi e lo releghiamo a Coverciano perché impari a fare l’allenatore?

Calma, calma, dicevamo la scorsa settimana, dopo la débâcle con l’Udinese: Thiago, checché se ne dicesse in giro dai cosiddetti “soloni del calcio”, aveva capito tutto. Sia i suoi errori, anche se giustamente e orgogliosamente diceva: «Vado avanti per la mia strada», sia l’idea che questi errori sarebbero stati corretti perché la sua idea di “giocar di calcio” rimane la stessa: possesso della palla, cuore, senso di squadra, compattezza, voglia di vincere, serenità e non tensione pericolosa, ma forte emozionalità psicologica.

E così è stato, o comincia ad essere stato a Napoli, dove si è giocato con la massima serenità, convinti che si doveva giocare la “propria” partita. Possesso palla maggiore di quello dei napoletani, gol quasi fatto tanto da aver potuto portar via uno dei grandi indimenticabili risultati. Ma va bene così.

Thiago sa perfettamente cosa ha fra le mani. Per carità, nulla di eccezionale, sia chiaro, non si sta parlando di un gruppo che guarda in alto, ma solo di una squadra che vuole crescere, uscire dal tunnel della retrocessione e magari compiere qualche bella impresa. Soprattutto scoprendo e valorizzando giocatori che sembravano nascosti, imballati nella naftalina, di cui nessuno sapeva niente. Mentre l’amico Thiago li ha tirati fuori, uno ad uno: Agudelo per primo (e che lo toglierà più di squadra?) poi Gumus (dal nome sembra un personaggio delle fiabe), e ancora Ankersen che con Andreazzoli aveva giocato solo 118 minuti. Per non parlare di Pandev, lui certo non sconosciuto, ma considerato ormai “fuori uso”. E quel ragazzino di 17 anni che si chiama Cleonise? Arrivato lo scorso anno dall’ Ajax e messo fra i Primavera: i ragazzi di questa squadra hanno un amaro destino, non finiscono mai in prima squadra, come avveniva in tempi più antichi (leggi anni Settanta/Ottanta).

Insomma: nulla di straordinario, ma cose semplici, fatte solo con un po’ di buon senso: ora la difesa a quattro del Genoa è un bel biglietto da visita di Thiago che ha rafforzato, nel cuore e nella pancia, con Zapata e con Romero, due colonne mai viste così forti e sicure come a Napoli.

E mancava Kouamé, uno niente male davvero. Insomma, si vuol dire che Thiago non è quello sprovveduto che doveva essere cacciato via quasi subito: uno che sa, che pensa, che sbaglierà, per carità, ma ha “in mano” la squadra, la stimola, la valorizza, le dà fiducia e consapevolezza. Poi le battaglie non mancheranno di certo, purtroppo anche le sconfitte, i dolori, le lacrime, ma anche le gioie, le belle giornate, i bei risultati. Per Thiago vale la qualità, cioè il “giocar bene”, alla faccia dei moduli e delle tattiche.

La pausa servirà a far recuperare Criscito, Favilli, forse Sturaro (mica roba da poco), intanto il Grifo andrà a Monaco a fare una sgambata. E ci piace ricordare che là ci sarà un bravissimo giovane di nome Pellegri, che incontrerà il suo caro papà, Marco, oggi uno dei team manager più efficienti, professionalmente preparati che abbia la struttura rossoblù. Ci sarà l’abbraccio di due personaggi che amano intensamente il gioco del calcio, ma quel calcio bello, solare, pulito che oggi spesso viene dimenticato.

L’abbraccio di un figlio al papà servirà anche per ritornare a credere che il calcio è anche cuore. Quel “cuore” che piace tanto anche al nostro amico Thiago.

Vittorio Sirianni

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