Genoa 7 Settembre 1893 – 7 settembre 2020: Frammenti di un viaggio nel calcio italiano (seconda parte)

Massimo Prati descrive le date salienti per la storia rossoblù dagli anni '70 fino al vittorioso derby del 2000


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1970-1979

Finora, in questa mia narrazione, mi sono basato sui racconti di mio nonno, di mio zio o di mio padre e sulle pagine dei libri del Genoa che ho letto.

Io, ho iniziato ad andare a vedere le partite del Grifo nella seconda metà degli anni Sessanta. Ma ero bambino e ne ho vaghi ricordi. I primi momenti del Genoa che sono invece impressi nella memoria sono proprio quelli della stagione 1970-1971. Perciò, da qui in poi, le pagine della storia del Genoa sono anche le pagine della mia vita.

Ricordo appunto Genoa-Rimini, del 13 giugno 1971, in un Ferraris gremito. Era il giorno del ritorno in serie B, dopo l’inferno della C. Nella partita della promozione andammo presto in vantaggio con Speggiorin, fummo raggiunti dal Rimini nel giro di pochi minuti e ottenemmo il definitivo vantaggio con gol su rigore tirato da Ramon Turone.

E poi, due anni dopo, il Genoa-Lecco che ci portò in serie A. Le mie sono reminiscenze infantili e sono possibili non poche imprecisioni da parte mia. Ma quella marcia trionfale vide il suo apogeo proprio in Genoa-Lecco, ultima partita del campionato di serie B, giocata allo Stadio Luigi Ferraris davanti a 55.000 genoani, che salutarono appunto il ritorno del Grifo in serie A. E per chi, come me, era presente alla suddetta partita, quella fu una giornata indimenticabile. È uno di quegli eventi, nella Storia del Genoa, il cui ricordo è stato tramandato di generazione in generazione. Infatti, anche a me è capitato spesso di parlarne ai miei nipotini.

Sin dalle prime ore del mattino, si iniziarono a vedere caroselli di tifosi nella parte a levante di Genova, con carovane di auto e moto bardate di rossoblù. Il flusso di tifosi del Genoa iniziava, infatti, ad incolonnarsi in Corso Europa, la lunga arteria della città che per una decina di chilometri si snoda da Nervi in direzione del centro. Nella Val Bisagno, dalle parti del Luigi Ferraris le scene furono più o meno le stesse.

La gente dei “caruggi”, i vicoli della vecchia Genova, prima di avviarsi verso lo stadio aveva pavesato di rossoblù ogni stradina e piazzetta del centro storico, senza ovviamente trascurare finestre e balconi.

Anche dalle aree popolari e industriali della Val Polcevera e del ponente iniziavano a partire carovane di tifosi, incluso Sampierdarena che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ai tempi aveva una serie di Genoa Club molto attivi in diverse zone di quel quartiere: al Fossato, alle Mura degli Angeli, all’Ospedale di Villa Scassi, e nel rione San Martino-Campasso, dove c’era la sede del Genoa Club Felice Levratto, che, in occasione di quella partita, posizionò il proprio striscione nella curvetta della Gradinata Nord, lato tribuna.

I “Camalli”, invece, cioè gli scaricatori del Porto di Genova (quelli della Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie), si erano autotassati da diverse settimane, al momento dell’assegnazione dei turni, nella storica Sala della Chiamata a San Benigno e, alla fine, quella domenica si presentarono allo Stadio Luigi Ferraris con un grande striscione su cui c’era scritto: “I Portuali Genoani per un Grande Genoa”.

Intanto il tempo passava e lo stadio continuava a riempirsi. A due ore dal calcio d’inizio, il Ferraris era già gremito in ogni ordine di settore e di posto. Si stava stretti, ma proprio tanto stretti. Il programma prevedeva che la partita ufficiale di campionato fosse preceduta da una partitella della squadra giovanile, e in quella partitella si mise subito in luce un giovane Roberto Pruzzo, che allora era un diciottenne di grandi promesse. Finita la partita delle giovanili, fu la volta della liberazione di centinaia di colombi che dalla gradinata sud presero il volo verso il cielo in segno di speranza, seguiti da centinaia di palloncini rossi e blu che seguirono lo stesso percorso.

Prima dell’inizio della partita restava ancora tempo per un’esibizione di paracadutisti. Si lanciarono in cinque o sei da un aereo che sorvolava lo stadio. L’obiettivo era di atterrare nel cerchio di centrocampo e consegnare alla terna arbitrale il pallone della partita, ed effettivamente così fu, almeno per la maggior parte di loro. In effetti, ce ne fu uno che, forse tradito da una corrente maligna, non solo non riuscì ad atterrare nel centro del campo, ma, con la sua traiettoria mal controllata, passò al di sopra del tetto della tribuna e finì nel greto del Bisagno, il torrente adiacente allo stadio.

Terminata la parentesi dei paracadutisti, si potè finalmente dare il fischio d’inizio, davanti ad una Gradinata Nord che era un’apoteosi di bandiere rossoblù. I cori erano in sintonia con i tempi. Si cantava, ad esempio, “Noi vogliamo il Genoa in serie A, il Genoa in serie A, il Genoa in serie A”, sulle note di Yellow Submarine dei Beatles.

Mi sembra di ricordare anche una cartolina celebrativa, di partecipazione all’evento, che veniva distribuita dalla tifoseria organizzata a tutti gli spettatori, al momento di varcare i cancelli. Chissà, magari c’è qualche tifoso del Genoa che quel ricordo l’ha conservato. Ormai sono passati quasi cinquant’anni e quella cartolina potrebbe essere considerata un pezzo da collezione.

La partita fu solo un dettaglio. In effetti, eravamo già in A da un paio di giornate, avendo pareggiato a Monza alla terzultima, e vinto la penultima a Catania per due reti a uno, con gol di Bordon e Corradi. Comunque, quel giorno Genoa-Lecco terminò 1 a 0, con marcatura di Sidio Corradi, a metà del secondo tempo.

E al triplice fischio finale, il serpentone umano di 55.000 spettatori, uscendo dal vecchio Ferraris, iniziò il suo cammino. Lungo il percorso si aggiunsero le migliaia di persone che non avevano trovato posto allo stadio: una marea umana, fatta di persone che procedevano a piedi, in auto o in motorino (e nei filmati dell’epoca si vedono anche tifosi a cavallo nelle strade del centro). La moltitudine rossoblù iniziò a percorrere la decina di chilometri che separa lo stadio, nel quartiere di Marassi, da Piazza de Ferrari, luogo simbolo della città, dove si celebrano le manifestazioni di lotta, ma anche quelle di festa. E quel giorno naturalmente si trattò di una grande manifestazione di gioia.

E dopo ci fu la festa al Palasport e i fuochi d’artificio alla Foce, quartiere, tra l’altro, dove aveva sede la Trattoria Mentana, che, come ho già avuto modo di ricordare, nei primi anni Settanta era un luogo di ritrovo abituale dei cantautori genovesi e dei calciatori del Genoa. Passando di lì, nella stessa giornata, come ho già avuto modo di dire, poteva capitare di incontrare Fabrizio de Andrè e Gigi Simoni, intenti a fare due chiacchiere col titolare.

Furono giorni felici. Si celebrava il ritorno in serie A che mancava da quasi una decina d’anni. Alla prima con l’Inter, tre o quattro mesi dopo, ci saremmo presentati in 25.000 a San Siro. Ma per il momento, si rendeva onore ai giocatori che avevano regalato la promozione al vecchio grifo. Era il Genoa di Arturo “Sandokan” Silvestri:

Spalazzi, il kamikaze; Manera, “cavallo pazzo”; Ferrari, cresciuto nel vivaio, che parlava in dialetto; Maselli, il mediano romano che sapeva impostare; Rossetti, il vecchio attaccante trasformato terzino; Garbarini, detto anche “Garben” o “Custer”, condottiero di mille battaglie; Perotti, l’ala destra dal gran senso tattico; Bittolo, l’uomo che marcò il grande Eusebio in Genoa-Benfica, del 1971; Bordon, centravanti di sfondamento; Corradi, l’ala sinistra col vizio del gol, il biondo capellone da tutti chiamato Sidio, che ancora oggi frequenta la nostra gradinata. E, soprattutto, si rendeva onore al Capitano di quello squadrone: Gigi Simoni, che da allora è entrato nel cuore dei tifosi genoani. Un grande centrocampista, autore, tra l’altro, di alcune reti decisive in quella stagione. Reti che portarono punti pesanti e che contribuirono in modo decisivo alla promozione.

La prima stagione che ricordo nel suo complesso è invece quella del 1973/74. L’anno non fu dei più felici ma accaddero eventi particolari, che non potevano non rimanere impressi nella mente di un ragazzino. Di quella stagione ricordo anche un derby di andata perso per due a zero, (gol di Salvi su passaggio di Rossinelli, mi sembra, ed autorete di Claudio Maselli), ma, rispetto a quella partita, preferisco non entrare nei dettagli.

Alcuni dettagli vorrei invece darli per ciò che riguarda il mio primo ingresso in gradinata sud, che, per una serie di circostanze, ricordo molto bene. Con papà, si andava allo stadio sempre con largo anticipo, per prendere posto in Gradinata Nord. In occasione di Genoa-Torino, facemmo tutto come al solito. Arrivammo allo stadio un’ora prima e ci avviammo verso la gradinata. Ma il Genoa quell’anno stava andando davvero male ed i tifosi avevano organizzato dei picchetti e delle contestazioni: in segno di protesta, bisognava “disertare” la Nord. Così ci convinsero ad andare alla sud. Entrammo nello stadio di Marassi e lo spettacolo fu impressionante.

Il Genoa giocava in casa e, pur non essendo un match di cartello, ad un’ora dal fischio d’inizio nello stadio c’era già un sacco di gente; sebbene solo gradinata la sud fosse veramente affollata, mentre nelle tribune e nei distinti si potevano notare alcuni spazi vuoti. Ma ciò che impressionava era invece la Nord, dove non si vedeva un’anima viva. Qualsiasi tifoso italiano comprenderà facilmente la stranezza di quella situazione: la tua squadra gioca in casa ed il luogo che rappresenta il cuore del tifo più caldo è un posto completamente deserto. Ma, ad un certo punto, la situazione cambiò. Il problema era che i genoani continuavano a venire allo stadio e, non essendoci più posti disponibili alla sud, la gente si dirigeva verso la Nord, che lentamente stava cominciando a riempirsi. E al momento del calcio di inizio, tutto era tornato alla normalità: quando la squadra entrò in campo, la Gradinata Nord era stracolma come suo solito.

Per la cronaca: al Genoa furono fischiati due rigori contro, di cui -mi sembra di ricordare- uno molto contestato e perse due a zero. L’arbitraggio di Casarin ovviamente non fu molto apprezzato dal pubblico rossoblù. Infatti l’arbitro restò sotto assedio negli spogliatoi per molto tempo. Si narra che riuscì a lasciare lo stadio, in taxi, solo molte ore dopo la fine della partita, grazie al fatto di avere camuffato le proprie sembianze con un travestimento. Un po’ di tempo fa, mi è capitato di sentire in TV Casarin rievocare quegli avvenimenti. Evidentemente, a più di quarant’anni di distanza, se ne ricordava ancora molto bene.

Di quell’anno ricordo anche Genoa-Juventus, che in realtà si era giocata un mesetto prima di Genoa-Torino. Io e mio padre continuavamo ad andare in Gradinata Nord. Ma in quel periodo dell’anno ci eravamo spostati nella curvetta lato tribuna. Era il settore dove per tanti anni c’è stato un bellissimo striscione carioca che recitava: “Genoa, bailando o ritmo do samba”. Lì mio padre si dava appuntamento con i suoi colleghi portuali (più mogli e figli al seguito). Era un angolo di stadio dal tifo caldo, e nelle rare volte in cui la Nord tirava il fiato, in quel settore ci si alzava tutti in piedi per lanciare l’immancabile grido di “Genoa Genoa Genoa”. Quella partita fu molto sfortunata. La Juve, con Cuccureddu, sfruttò l’unica occasione da rete; per il Genoa, invece, solo cattiva sorte: gol di Corradi annullato, palo di Bittolo, poi altra clamorosa occasione mancata da Sidio Corradi, che dopo aver scartato Zoff ed essersi trovato solo, inciampa davanti alla porta. Infine un rigore fallito sotto la Nord. In effetti ricordo che, da quella curvetta lato tribuna, purtroppo vedemmo molto bene Mario Corso sbagliare il rigore. Si diceva che prima di allora non ne avesse mai sbagliato uno.

Ma, per quanto possa sembrare strano, una delle partite di quella stagione che ricordo meglio è una partita che non ho visto. Quell’anno, speravo di poter andare a vedere il derby di ritorno insieme a mio padre. Ma mio padre quella domenica era di turno, così non potemmo andare a vedere quella partita.

Il giorno del derby, ricordo che presi la radiolina portatile che mia madre aveva comprato da poco: amava ascoltare la Hit Parade di Lelio Luttazzi all’ora di pranzo e, mentre preparava da mangiare o lavava i piatti, la radiolina era sempre appesa alla credenza, sopra il lavabo. Ma quella domenica la trasmissione di Lelio Luttazzi non c’era. In compenso c’era “Tutto il Calcio Minuto per Minuto”, condotto, tra gli altri, anche da un radiocronista genoano: Enrico Ameri. Presi dunque la radiolina e scesi in cortile (ero troppo agitato per restare a casa), mi sintonizzai sulla Rai e incominciai a seguire la radiocronaca. Dopo pochi minuti avevo un capannello di compagni genoani intorno a me (sì, eravamo a Sampierdarena, ma in tutti i casi i figli dei portuali che abitavano nei caseggiati dell’isolato stavano solo col Genoa, ed eravamo almeno una decina ad abitare da quelle parti). La partita prese una buona piega verso la fine del secondo tempo: passammo in vantaggio con gol di Derlin a circa un quarto d’ora dalla fine del match. Dovevamo resistere ancora pochi minuti. Ed era quasi fatta, ci avviavamo verso il recupero, quando la radio ci annuncia il pareggio della Sampdoria: gol al 90′, in rovesciata, di Mario Maraschi. Fu una delusione indescrivibile. Anni dopo, mi capitò di parlare di quella rete con Marco, un amico genoano dei vicoli che era stato presente a quella stracittadina. Ricordo ancora il suo commento: “Quel derby mi ha tolto cinque anni di vita”.

Della seconda metà degli anni Settanta mi piace ricordare la partita del 1976 dell’ennesima promozione in A (perché purtroppo, nel frattempo, il Genoa non si era fatto mancare una triste retrocessione in serie B, proprio alla fine della stagione 1973-1974 di cui ho appena parlato).

Fu un Genoa-Modena giocato il 20 giugno e finito tre a zero a nostro favore. Ma fu anche il giorno, di cui si è già parlato, del ritorno di Verdeal a Genova : “arriva Verdeal e la città s’infiamma”, per usare le parole di Edilio Pesce, scritte in un suo libro sulla storia del Genoa.

E ora, possiamo passare alla stagione seguente. La “chicca delle chicche” di quell’anno è certamente il derby vinto per due a uno. Le cose non iniziarono bene. Luciano Zecchini, lo stopper capellone della Sampdoria, in teoria avrebbe dovuto avere il suo da fare a marcare il nostro uomo migliore, o Rey di Crocefieschi; invece, dopo pochi minuti, guadagnò una palla apparentemente innocua a centrocampo, avanzò indisturbato di una ventina di metri, verso la porta del Genoa ed indovinò il tiro dell’anno, facendoci un gol da una distanza notevole. La Sampdoria era in vantaggio uno a zero. Le cose si rimisero a posto quando, verso la fine del primo tempo pareggiammo con Oscar “Flipper” Damiani. Il secondo tempo fu invece una girandola di emozioni; con Pruzzo che prima si fa parare un rigore e poi ci fa vincere con uno splendido colpo di testa.

Del 1978 vorrei ricordare una specie di cameo: il gol di Oscar Damiani nel derby di quell’anno. E, anche in questo caso, ricorro ad un frase di Edilio Pesce. Questa volta non nella sua veste di storico (come nel caso precedente) ma in quella di cronista sportivo e autore di un articolo il cui titolo nella Gazzetta del Lunedì del 23 ottobre è: “Damiani due goals (uno da antologia)”.

In effetti, la seconda marcatura di quella partita fu un gol di rara bellezza: una delle più belle reti in dribbling che io abbia mai visto in un derby: Damiani che, dalla fascia sinistra sotto i distinti, scarta tre o quattro doriani, poi si accentra, mette a sedere anche Garella e fa gol.

Nell’accingermi a parlare di un episodio del 1979, mi viene da dire che, nell’universo genoano, tutto si tiene e tutto torna, in un susseguirsi di corsi e ricorsi. E così, un fatto o una personalità ne richiamano un’altra alla memoria: questo lunga serie di frammenti di genoanità ci ha portato alla fine degli anni Settanta. Ma, come in un giro dell’oca, in cui si può passare da un casella ad un’altra (avanzando verso il traguardo oppure tornando all’inizio), il 1979 ci riporta indietro agli anni Venti, ed in particolare ad una bandiera del Genoa, rimasta per sempre nel cuore dei tifosi del Grifo.

Il 15 giugno del 1979 moriva il leggendario portiere del Genoa, Giovanni De Prà. Nelle sue ultime volontà, aveva espresso il desiderio che la sua medaglia olimpica, vinta ai giochi di Amsterdam, un bronzo per il terzo posto della nazionale italiana, nel 1928, fosse interrata sotto la Gradinata Nord, presso la porta che per tanti anni aveva difeso.

Le sue ultime volontà furono realizzate il 16 settembre del 1979, in occasione della prima partita di andata del campionato di serie B, Genoa-Matera, finita 1a 1.

Alla cerimonia d’Interramento, della medaglia olimpica del grande portiere, parteciparono la vedova con il nipotino, Renzo Fossati e Fulvio Cerofolini che, allora, erano rispettivamente Presidente del Genoa e Sindaco della nostra città.

1980-1989

Recentemente ho letto un’intervista di Sebino Nela in cui racconta la sua lotta contro un tumore. Lotta che, mi sembra di capire, fortunatamente ha avuto buon esito.

Sebino Nela, di un paio d’anni più vecchio di me, da ragazzo aveva fatto i suoi studi all’Istituto per il Turismo di Genova, “Edoardo Firpo”. Lo stesso istituto in cui mi sono diplomato. A quei tempi, il Firpo era una scuola, suddivisa in una sede e due succursali, frequentata da oltre un migliaio di studenti e studentesse. Una scuola in cui una grandissima parte dei ragazzi e delle ragazze che la frequentavano (e le ragazze erano la maggioranza) stavano col Grifo. Ed era bello nelle partite del Genoa dei primi anni Ottanta andare tutti insieme al Ferraris e vedere in campo un compagno di scuola. Non ho mai conosciuto personalmente Sebino Nela, ma ovviamente gli faccio i miei auguri di cuore. Di lui avevo parlato nei miei racconti:

“Il Genoa è il ricordo dei compagni di scuola del Firpo, l’Istituto Turistico, a quei tempi frequentato anche da uno dei migliori terzini del Grifo: Sebino Nela. È il ricordo degli appuntamenti alla domenica (niente anticipi, niente posticipi) per andare tutti insieme alla partita. Ci si vede in piazza, a De Ferrari; lì quelli dei Caruggi, di Ravecca, le Erbe e San Bernardo -che stanno a due passi- aspettano gli altri che arrivano dall’entroterra, dai quartieri alti o dal ponente della città: da Sestri, da Sampe, da Ronco o da Oregina e poi, in gradinata, ci si unisce a quelli di Prato e Molassana che, abitando vicino allo stadio, arrivano sempre per primi. Il Genoa è il rapporto di amicizia che hai costruito con quei vecchi compagni di scuola con i quali continui ad andare allo stadio da più di quarant’anni”.

Parlare degli anni Ottanta mi riporta ad un fatto di Monza, del 15 marzo 1981. Uno dei gol più astrusi nella storia universale del calcio. Genoa in trasferta in Brianza. La partita si trascina per circa cinquanta minuti. Ad un certo punto, dagli spalti qualcuno con un fischietto lancia un fischio deciso. Sul terreno di gioco, tutti si fermano pensando ad un intervento arbitrale. Invece Roberto Russo, che aveva capito tutto, non si ferma e segna la prima marcatura. In realtà, forse lo stesso Roberto Russo non aveva proprio capito tutto, perché per un momento anche lui sembrò non continuare l’azione, ma alla fine decise comunque d’indirizzare il pallone verso la porta avversaria, e fu uno a zero. Poi, verso la fine, ci sarà anche il raddoppio di Caneo: Monza-Genoa due a zero per noi.

E poi, Atalanta-Genoa: penultima di campionato della stessa stagione di Monza-Genoa. Lotta per il terzo posto tra aquile laziali e grifoni rossoblù. Il Genoa, davanti a 15.000 genoani vince contro i nerazzurri atalantini nella penultima di campionato. A Bergamo la partita è finita, ma a Roma giocano ancora e la Lazio, che sta pareggiando in casa contro il Vicenza, usufruisce di un rigore in pieno recupero. I genoani, che stavano cominciando a defluire dallo stadio di Bergamo, si fermano in religioso silenzio. Si sentono solo le radioline: “Qui Roma: Chiodi ha appena sbagliato un rigore”. E il Genoa, vincendo in casa col Rimini la domenica dopo, sarà promosso: bello ricordare questo capitolo della storia del Genoa ma, ancora più bello farselo raccontare a 40 anni di distanza da chi quel giorno era in campo. Mi è capitato otto mesi fa ad una cena con Claudio Onofri ed altri amici.

E ora passiamo alla seconda metà di questo decennio. Modena-Genoa: stagione 87-88 del campionato di serie B, partita spareggio per non retrocedere. Dodicimila genoani in Emilia e la più appassionante lettera d’amore per una squadra di calcio. Una lettera lunga decine di metri, quanto lo striscione che copre l’intera curva del settore ospiti: “Solo chi soffre impara ad amare. Noi soffriamo, ti amiamo e con te torneremo grandi”. Alla fine vinciamo e ci salviamo.

E poi arriva Franco Scoglio che conia il termine di “Popolo Rossoblù”. Di lui mi piace ricordare una frase famosa: “Noi siamo il Genoa e chi non è convinto posi la borsa e si tolga le scarpe”. Questo decennio si conclude dunque con la festa, in Piazza della Vittoria a Genova, per la promozione in serie A, e con la scalinata delle tre caravelle che si trasforma in una Gradinata Nord.

1990-1999

Era il 25 novembre del 1990, Alla fine di quella stagione i doriani avrebbero vinto il loro primo ed unico scudetto e si sentivano un’invincibile armata, una specie di corazzata che ci avrebbe spazzato via senza troppa fatica. Insomma per loro quella partita sarebbe stato un po’ come il gioco del gatto col topo. E loro, presuntuosamente, ci avevano già attribuito il ruolo del topo. I genoani un po’ “datati” ricorderanno sicuramente una nostra canzone dell’epoca in cui, a posteriori, ci beffavamo di quella loro arroganza. Arroganza per cui erano arrivati a sbilanciarsi sul numero incredibile di gol che ci avrebbero rifilato: “Quattro a zero, cinque a zero, scommettevano sui gol. Ma finita la partita si sentiva dalla Nord…”.

Io uscii di casa per andare a quel derby e incontrai un ex-compagno di scuola doriano: aveva il sorriso tronfio e arrogante di chi sa di essere favorito. “Guarda, che oggi vinciamo”, gli dissi. E ricordo che lui mi rispose: “Ma come fate a vincere? Noi abbiamo Vialli e Mancini. Voi avete Eranio e Torrente: dei giocatori che sarebbero la rovina di qualunque squadra”. Mi ricordai del suo particolare riferimento ad Eranio, proprio in tribuna, quando vidi il nostro Stefano fare un numero in mezzo a tre avversari ed infilare la loro porta, proprio sotto la gradinata dei blucerchiati. Allora mi ritornò in mente il mio ex compagno di scuola e pensai: Eranio è sì la rovina, ma della tua squadra e non di una qualunque. Poi, nel secondo tempo, ancora sotto la sud, rigore per la Sampdoria. Tanto per confermare la strofa immediatamente successiva della canzone che ho appena citato: “Luca Vialli e Bobby gol segnan solo su rigor”.

Ed infatti quel giorno Vialli segnò al quarantanovesimo, ma solo su rigore. E arriviamo al 74′ e alla mitica punizione del brasiliano che tirava bombe da lontano. Punizione a nostro favore, leggero colpo di tacco all’indietro di non ricordo chi (Carlos Aguilera? Mario Bortolazzi?) e Claudio Ibrahim Branco che scarica, sotto la Nord, un tiro che sarà immortalato e riprodotto in migliaie di cartoline per gli auguri di Natale da inviare ad amici e parenti, e soprattutto ai “cugini”. Iniziando così una tradizione che sarà ripresa in anni recenti nel derby “prenatalizio” di Milito vinto uno a zero con memorabile colpo di testa sotto la Nord e nel derby dell’anno dopo, con marcatori diversi ma con un bel tris di gol.

E quindi, come ci ricorda il coro appena citato, nel frattempo siamo passati da Franco Scoglio alla “banda di Bagnoli: non solo Branco, tra gli stranieri, ma anche Tomas Skuhravy, il gigante che faceva le capriole il bomber dei campionati mondiali di calcio, l’autore di cinque reti ad Italia ’90 e del gol all’ultimo minuto contro l’Oviedo, nel miglior Genoa europeo che la storia ricordi ma, ovviamente, pure Carlos Aguilera detto “Il Pato” che, tra le altre cose, si sarebbe rivelato determinante nel battere il Liverpool all’Anfield Stadium.

E poi, a metà degli anni ’90, due gol memorabili. Stagione 1994-95 Genoa-Reggiana 3-1. Secondo gol su un’azione che nasce sulla fascia destra, sotto la tribuna: Ruotolo passa a Skuhravy, il ceco fa un retropassaggio per Bortolazzi che fa partire un traversone verso la trequarti opposta, sotto i distinti. Lì, Onorati, con un tiro al volo da fuori area, segna un gol da cineteca. Si dice che ci siano gol che da soli valgono il prezzo del biglietto. Quello è un gol che da solo vale per un abbonamento ad un’intera stagione.

A volte, di certi gruppi musicali si ricorda un solo brano. Dei “The Knack”, per esempio, ricordo solo “My Sharona”. Con i giocatori, talvolta, può capitare lo stesso. Non vorrei fare un torto a Marciano Vink e, se è questo il caso me ne scuso in anticipo. Forse ha fatto altri gol, altre giocate e altre partite, nel Genoa, per cui merita di essere ricordato. Ma il mio eterno ricordo di lui sarà per il gol nel derby del ’94: parte da centrocampo lato tribuna, scarta sei o sette doriani, entra in area e batte Pagliuca. Solo Maradona in Messico con l’Inghilterra è riuscito a fare di meglio.

1995

A volte il Genoa è un amore letale. E, di amore per il Genoa, ci sono genoani che sono morti davvero; nello spareggio salvezza col Padova, al Franchi di Firenze, per esempio morirono due nostri tifosi per problemi di cuore, ed un terzo tifoso del Genoa morì a Genova mentre stava seguendo la partita in TV.

Invece, tornando a ricordi più “lievi” e gioiosi, mi viene in mente come ai rivali gli si rimproveri spesso di essere gli ultimi arrivati in ordine cronologico, non solo rispetto al Genoa, ma anche nei confronti delle squadre minori della città.

Per questo motivo, in un derby di molti anni fa, nella stagione 1999-2000, a mo’ di monito e promemoria, la Gradinata Nord decise di esporre i nomi, e i relativi anni di fondazione, di tutte le società calcistiche genovesi che militano nei campionati minori. Quel giorno, prima del calcio di inizio, il Ferraris si riempì di stendardi e di scritte del tipo: Pontedecimo 1907, Unione Sportiva Rivarolese 1919, Multedo Calcio 1930, e via di seguito. Poi, nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo, comparve uno striscione in cui si poteva leggere: “Noi primi in Italia. Voi ultimi a Genova” (per la cronaca: se la memoria non mi inganna, quel derby fu vinto 1 a 0 dal Genoa, con gol di Carparelli).

Fine seconda parte

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