Tagliente, mai banale. Maurizio Sarri è fatto così. Anche quando parla di ciò che diventata la Coppa Italia: «È un evento clandestino cucito su misura per l’audience televisiva degli ultimi turni. Ma il calcio non è questo, è il Bayern Monaco che perde con il Saarbrücken, squadra di C». Nel prossimo turno di Coppa Italia, la Lazio ospiterà il Genoa allo stadio Olimpico: «La riporterei ad agosto anche per le grandi, facendole giocare sui campi delle squadre di Serie C che farebbero incassi per campare tutto l’anno. Ma di sicuro ci direbbero che c’è un problema di ordine pubblico per cui la Juventus non può andare a Campobasso».
Intervistato da La Repubblica, mister Sarri prosegue parlando del vertiginoso incremento degli infortuni a causa dei calendari intasati: «Ne parlo da cinque anni, eppure mi accusano di cercare alibi. In questi giorni, in Spagna, sta venendo giù il mondo per l’infortunio di Gavi (rottura del legamento crociato durante Spagna-Georgia, ndr), lo chiamano “Uefa Virus”: spero che qualcuno abbia l’onestà intellettuale per riconoscermi che certe cose io le dico da una vita. Un calciatore dovrebbe giocare al massimo 50 partite l’anno. L’unico calcio sostenibile è quello inglese, il più tradizionalista, dove il sabato pomeriggio non c’è nessuna partita in tv perché la gente affolla gli stadi delle categorie minori. La finale di FA Cup è il match più visto al mondo dopo quella di Champions, eppure da cent’anni ha sempre gli stessi riti e si gioca a Wembley, mica in Arabia».
E ancora: «In Inghilterra c’è il tentativo di non fare cadere il movimento nella globalità. Così loro sono tutti ricchi, mentre i nostri ricchi sono i poveri d’Europa. Il calcio è uno sport emozionale: se gli togli l’emozione, a livello televisivo non è certo il migliore spettacolo. L’emozione la tiene viva il bambino che va allo stadio, ma non c’è futuro se si mira al pubblico degli highlights. I diritti tv garantiscono 50-70 stipendi d’élite, tra cui il mio – ammette Sarri – ma non ricchezza al movimento: vent’anni fa un calciatore di Serie C era un benestante, ora fatica ad arrivare alla fine del mese. Si cerca di aumentare il fatturato diminuendo la qualità del prodotto, nessuna azienda ragiona così».