Serie A con il mercato paralizzato, gli arabi sono una fonte

Il calcio italiano deve vincere la sfida dei nuovi investimenti esteri

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Il pallone della Serie A 2023-2024 (foto di Genoa CFC Tanopress)

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I cicli del calcio assomigliano a quelli dell’economia. L’azienda del pallone ha vissuto crisi e sconfitto fenomeni recessivi più gravi di quelli odierni con la differenza che, in passato, la struttura esile del periodo mecenate (per esemplificare, composta da un proprietario, un ds e un allenatore) faceva la fortuna del calcio. Pochi a decidere, in pochi a correre il rischio d’impresa. Oggi, invece, la piramide dello sport più amato al mondo è ribaltata e il vertice si è trasformato in una base larga, con una catena di comando da far invidia all’Intelligence che dilata i tempi e rallenta le risposte. Il calcio italiano è paralizzato e il suo indicatore, il mercato appunto, lo testimonia da anni: nel gennaio 2023, la Serie A ha generato una spesa di quasi 32 milioni di euro, metà della Bundesliga – i tedeschi nutrono un’avversione per la sessione di riparazione – e quasi trenta volte meno di ciò che hanno movimentato gli inglesi.

Gli operatori e gli allenatori fanno capire che il mercato dei calciatori è soprasaturo: sinora i nostri club hanno venduto nottetempo i loro calciatori migliori oppure compiuto azioni da staffetta partigiana, come interferire furtivamente per far deragliare una trattativa o spianare la via verso l’estero al miglior prospetto portiere italiano. Dove vuole finire il calcio italiano? Per salvaguardare la competitività nostrana nel breve periodo diventa primario accogliere con maggiore favore l’avanzata araba che, senza badare a spese, sta allestendo un campionato di globetrotters per intercettare la visibilità mondiale. Gli arabi non hanno storia calcistica ma vogliono stupire dimostrando passione, capacità organizzativa, spettacolarità e quella continuità d’investimento che non hanno avuto i cinesi per ragioni di Partito. In compenso, i sauditi portano denaro, eppure nella vecchia Italia sono in molti ad arroccarsi armati come Jack Beauregard in attesa di fare fuoco sul nuovo mucchio selvaggio senza sincerarsi delle sue reali intenzioni.

Il moralismo disarmante sull’allocazione degli investimenti, le inopportune infiltrazioni di finto perbenismo su temi umanitari che nulla hanno a che vedere con il calcio: sono alcuni degli elementi di distrazione che non agevolano il sano dibattito e spostano l’attenzione facendo dimenticare i problemi di casa. Solo il mercato parallelo che stanno costruendo gli arabi, che peraltro funge da valvola di sfogo del sistema, può salvare la Serie A con nuove fonti di capitali esteri in entrata e calciatori in uscita: le società italiane non hanno tempo per aspettare provvedimenti federali, men che meno quelli di tono governativo (leggasi, l’assurda genesi della Riforma Spadafora). Più liquidità e minore saturazione è un assioma che non conduce obbligatoriamente a minore attrattività: il calcio italiano, infatti, resterà uno dei migliori per tradizione e livello tattico – certo non per strutture – ma la sfida dei nuovi investimenti è da vincere. Ne va della tenuta generale.

La sentenza Fifa che ha inibito il mercato dell’Al-Nassr di Cristiano Ronaldo per tre sessioni ha uno spiacevole retrogusto di verdetto ad orologeria, forse di veto, ed è portatrice di un messaggio di socialismo imbellettato che contrasta con il libero mercato del calcio: il club detenuto per tre quarti dal fondo sovrano saudita PIF – patrimonio stimato in 600 miliardi di dollari, circa due volte il fatturato Apple – non può più acquistare sino al 2025 a causa di una pendenza risalente al 2018 con il Leicester consistente in 390mila sterline. I casi sono due: o l’organizzazione internazionale finge di non vedere dietro a un dito un bastimento di società in stato di decozione le quali, defunto il Fair-Play Finanziario, operano allegramente sul mercato europeo, oppure qualcosa ha smesso di funzionare. Se vuole restare ad alti livelli competitivi, l’Italia e la Serie A non hanno alternative al ricorso ai capitali esteri: lo dice il nuovo ciclo del calcio.

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