«O vinco, o imparo»: così il Genoa è diventato squadra

Il mantra della «salvezza tranquilla», ammesso che ne sia mai esistita una, non è più eleggibile

Martinez Genoa
I compagni festeggiano Martinez dopo aver parato il rigore (foto di Genoa CFC Tanopress)

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Qualcosa sta nascendo. Lo dicono gli sguardi, e pure il campo. I venti e i rigori dell’inverno, compreso quello gentilmente calciato da Krstovic, hanno consentito lo sbocciare d’un fiore del freddo, quello del Genoa. É come una storia d’amore che sboccia: il momento più bello è capire di essere innamorati. Il Grifo, meno austero e accigliato del solito, sta vivendo la stessa trasformazione. La squadra allenata da mister Gilardino si sta godendo la nascita di un bel sentimento, l’inizio di una nuova storia. Solo chi è caduto nella trappola dell’amore sa cosa vuol dire. Gira la testa, l’effimero diventa essenza. Il seme germoglia e smuove un terreno prima arido e ora fertile. Attorno a un ideale, nasce l’idea di squadra: «O vinco, o imparo». Lo statuì Mandela, lo attua il campioncino tirolese Sinner. Il Genoa l’ha fatto suo metabolizzandone lo spirito e apprendendo finalmente dagli errori, come il suo dna non insegna.

Gilardino brina il vacuo portando a normalità gli scienziati che complicano il calcio. É come Libra, l’equilibratore di una tifoseria che ama vivere al pari di un trapezista sulla corda tesa tra due grattacieli. Perde due centrocampisti basilari, ne adatta uno senza pretendere da lui i classici compiti del metodista; a gara in corso, capisce che la fisicità di Ekuban – motivo per cui non è stato ceduto, a dispetto dell’ingaggio – può creare un pericoloso due contro due con i mediocri stopper del Lecce e lo inserisce al posto di un mediano come Thorsby che pareva avesse i piombi nelle scarpe. Sembrano bieche marinetterie tattiche, invece sono gli accorgimenti che squarciano l’inerzia palesemente a favore dei salentini e pongono Gudmundsson nella migliore condizione d’agire: l’anarchia controllata. Quando non ha la palla, l’islandese pressa Kaba ovvero corrode come l’acido in fase d’attacco, partendo da sinistra. E proprio da lì nasce il tutto.

Che cosa riserveranno i prossimi quattro mesi, è un mistero. La sensazione è che il mantra democristiano della «salvezza tranquilla», ammesso che ne sia mai esistita una, non sia più eleggibile. La strabiliante situazione che vede il Genoa veleggiare a metà classifica ha consentito di accumulare un vantaggio competitivo che la società, ancorché al primo anno dal ritorno in Serie A, ha deciso di non farsi sfuggire. Di conseguenza, viene il riscatto di Malinovskyi – siano benedetti i buoni uffici che il dg Ricciardella coltiva da tempo con l’OM – e l’approdo di un numero nove che impartisce un senso preciso alla campagna invernale che, fino ad oggi, non ha lasciato il segno. Sono i vagiti di una società membro di un’ampia holding di club mondiali che a Genova pensa in grande, la maona che studia da repubblica. Ci vuole tempo, pazienza e ancora pazienza. Qualcosa sta nascendo.

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