L’importanza di chiamarsi Diego

Esistono giocatori capaci di incantare piazze, capaci di risvegliare emozioni assopite e di rendere magiche le domeniche. A Genova non è facile essere una figura di questo tipo, non è per nulla scontato scaldare i cuori di una tifoseria calda come quella rossoblu, orgogliosa per storia e passione il cui simbolo rappresenta la tradizione di una […]


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Esistono giocatori capaci di incantare piazze, capaci di risvegliare emozioni assopite e di rendere magiche le domeniche. A Genova non è facile essere una figura di questo tipo, non è per nulla scontato scaldare i cuori di una tifoseria calda come quella rossoblu, orgogliosa per storia e passione il cui simbolo rappresenta la tradizione di una città che da sempre è contenitore di storia e cultura. Diego Perotti è arrivato in punta di piedi, da quasi sconosciuto, e senza troppe parole ha preso per mano il grifone e la sua gente. Danzando con il pallone ha messo in ginocchio gli avversari e portato sulle vette della classifica il suo Genoa, una posizione storicamente cara per il club più antico d’Italia, ma rimasta ai cancelli del sogno per quasi un secolo.

Portare sulle spalle il nome Diego non è facile, in particolar modo “qui da noi” dove il pronunciarlo è quasi paragonabile alla lesa maestà, pura blasfemia calcistica: Diego, quello che porta il 10 e non il 22, non solo è riuscito nell’impresa, ma addirittura lo ha fatto intonare a squarcia gola dai venticinquemila del Ferraris. Dal principe al principino o dal principe al re? Presto per dirlo. Certo, alle giocate dovranno corrispondere i risultati, però El diez ha consentito al suo popolo di tornare a sognare dopo un periodo buio, un periodo in cui il trono, quello per tradizione occupato da un sudamericano, era rimasto scoperto, senza un sovrano capace di far danzare un pallone con le note del tango nel cuore. Oscar Wilde conosceva fin troppo bene l’importanza di chiamarsi Ernesto, noi sappiamo quella di chiamarsi Diego, se poi è argentino tanto meglio. Nell’opera del drammaturgo irlandese, nessuno dei due protagonisti si chiamava veramente  Ernesto, qui nella Genova rossoblu una cosa la sappiamo: il principe è tornato a casa. Non è quello della dinastia reale che conoscevamo? Questo poco importa. Gasperini ha fatto 100, il Genoa 26 e i tifosi sono di nuovo padroni di un sogno. Questa è l’importanza di chiamarsi Diego.

Riccardo Cabona

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