Nel calcio dicono che subentrare sia più facile che iniziare perché mettere a posto qualcosa, a differenza del costruire, è un atto che richiede diverse capacità. Forse è vero, ma non per tutti. Sicuramente vale per Gilardino e per Bisoli che in quattro e cinque mesi hanno dato forma e sostanza a creature prima grottesche, se non aliene, rispetto al contesto della B. In breve tempo sono entrati nella testa dei calciatori e con il loro opposto modo di porsi, uno da violinista millimetrato e l’altro da folk bucolico, hanno lasciato da parte l’estetica per fare spazio ai risultati che hanno resuscitato Genoa e Südtirol. Entrambi sono il ritratto del buon pragmatismo, volti e caratteri costruiti per conseguire un fine concreto, come diceva Kant: bella l’ormai imminente sfida nella sfida tra il porrettano d’Appennino, terre gucciniane di confine, e colui che sembra baciato dagli astri del calcio essendo nato il 5 luglio ’82, il dì di Italia-Brasile. Rossirossirossi.
Sono tattici e studiosi, a quanto pare maniaci dello stendere la squadra senza pieghe. Bisoli è un convinto incartatore, uno di quelli che si adopera nel soffocare le principali fonti del gioco avversario: lo ha fatto impeccabilmente anche contro la capolista Frosinone, guarda Caso, e con ogni probabilità replicherà la scena anche con Gudmundsson. Non è catenaccio, bensì una strategia di forte connotazione italiana priva di contaminazioni circensi che, tra i musi lunghi degli accoliti adanisti, esalta il valore del collettivo tirolese di certo resistibile a cospetto di talune tentazioni seduttive. Poca avanguardia, molta guardia. Gilardino, invece, è come quei finisseur del ciclismo che si nascondono dentro il gruppo prima di staccarlo nel finale, magari in salita: ciò che ha fatto da dicembre, ossia 44 punti in un girone, sistema i conti in classifica del Genoa sconquassati dalla quaresima penitente di Blessin – due punti in quaranta giorni – che gli costò l’esonero.
Da Bolzano in avanti, mister Gilardino proverà a superare sé stesso e i propri numeri senza più il disturbo della pietra di paragone rappresentata dal gretto svevo: nelle ultime partite di stagione si renderà (ancor più) conto di quanto abbia fatto bene e di quanto sia difficile fare meglio dell’incipit invernale caratterizzato da un filotto di tre successi e un pareggio il quale, se replicato, porterà il Grifone al primo posto. La rivincita di coloro che in un folle pomeriggio a Perugia, terminato con un sentimento di rovina e di vuoto da piazza d’armi, furono definiti «dilettanti». Südtirol e Genoa condividono una forte alchimia di gruppo i cui meriti del consolidamento vanno di certo ricondotti ai rispettivi allenatori che sono stati capaci di inserirsi con intelligenza tra i differenti equilibri dei club e toccare le corde giuste dello spogliatoio. Da subentranti, appunto. Anche se non è cosa per tutti.