Genoa e il piano inclinato: novantasette sconfitte in cinque anni e mezzo

Il Grifone calcia la palla e cade subito dalla propria parte, come un flipper impazzito

Masiello Messias Genoa-Milan
Masiello prende Messias (foto di AC Milan)

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Che il Genoa stia attraversando un anno congiunturale lo si capisce dalla stretta attualità che eleva il Grifone al soglio della peggiore squadra del torneo o, se così non fosse, appena dietro a tale sfortunata eletta. Shevchenko, marinaio della fredda steppa, ha capito fin da subito la profonda gravità della situazione tecnica che, tuttavia, non può ripudiare ma solo gestire con giudizio avendo ricevuto in eredità un disastro stratificato su ripicche e mal sopportazioni a monte di un insensato dualismo che ha spossato il Genoa: inutile spargere grani di mistero quando le principali responsabilità sono, da un lato, di Enrico Preziosi per la disaffezione dimostrata alla causa rossoblù, e, dall’altro, del tecnico Davide Ballardini poiché non è riuscito a recapitare a Genova i lamenti di Neustift. Le fondamenta, già fragili dopo i mancati riscatti dei prestiti in estate, sono state minate da una lista di infortuni eccellenti.

Le statistiche parlano chiaro e, al pari della graduatoria, affermano sempre i valori: negli ultimi cinque campionati, più l’attuale metà quasi ultimata, il Genoa ha perso novantasette partite e vinto quarantanove volte. Il rapporto di uno a due tra successi e sconfitte è inquietante perché i rossoblù rischiano di andare a punti soltanto una volta al mese e, non di meno, tale media dà la stura al più ampio discorso riguardante la generalizzata bassa qualità della Serie A: è un miracolo che con un simile andamento a rilento, più volte ribaltato nel girone di ritorno, il Grifone non sia caduto. La stagione in corso è in perfetta continuità con le cinque precedenti e non poteva essere diversamente dopo i chiari di luna estivi: per confermare la categoria serve realismo e non bieco disfattismo, un’insaziabile cultura del lavoro e un mercato di gennaio, promesso expressis verbis a Shevchenko, che dovrà portare almeno quattro o cinque titolari di livello in rosa.

Il differenziale tecnico, e stavolta anche agonistico, emerso contro il Milan limita le analisi a un duello che ha visto Badelj straperdere il duello individuale al cospetto dell’imprendibile Brahim Diaz, dieci anni più giovane del croato, e stappare il gioco dei rossoneri, apparso fluido e armonico sin dall’inizio della partita. Da una parte del campo è scesa una squadra lavorata con cura da una dirigenza chiamata a stralciare i bagordi del passato berlusconiano, mentre il Genoa, che non vince al Ferraris da nove partite di fila a cavallo di due anni, è un’identità in divenire che da settembre a oggi ha in seno una rivoluzione mai vista in centoventotto anni di storia. A ciò si aggiunge l’assenza di gol in tre partite e un’aridità di fantasia e intraprendenza che scolorisce il dna grintoso che fa parte del tessuto della maglia rossoblù. Il piano è inclinato, come un flipper impazzito: calci la palla e cade subito. Così sarà fino a gennaio, una lotta per trovare la forza di sferrare una pedata in più alla sfera e sperare che quella maledetta non si faccia più vedere.

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