ESCLUSIVA, GERVASI: «Esporto le conoscenze del settore giovanile del Genoa a Tbilisi»

L'ex rossoblù: «Sbravati mi ha insegnato la capacità di adattamento a qualsiasi situazione»

Gervasi Dinamo Tblisi
Gabriele Gervasi, ex Genoa, al microfono in un torneo in Armenia (foto di Dinamo Tbilisi)

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Dal Ceriale alla Cina, passando per la lunga militanza al Genoa e, attualmente, l’esperienza totalizzante in Georgia in una terra geograficamente lontana ma non così distante dal punto di vista culturale. Pianetagenoa1893.net ha intervistato in esclusiva Gabriele Gervasi, attuale vice responsabile tecnico dell’academy della Dinamo Tbilisi.

Gervasi, come cambia la prospettiva calcistica dalla panchina alla scrivania? «É un altro modo di vivere il mestiere perché il ritmo è più lungo, circa dieci ore di lavoro poiché la Primavera inizia alle 14 e i pulcini alle ore 18, ma con un coinvolgimento emozionale minore perché da dirigente professionista (ho svolto un impiego simile al Ceriale) seguo da vicino le squadre dalla Under 12 alla 15. Assieme al direttore tecnico Andres Carrasco, ex dirigente del Barcellona e con un passato da ct del Kuwait, cerchiamo di seguire ogni partita, le analizziamo, diamo indicazioni agli allenatori con i quali ci confrontiamo in riunione una volta alla settimana per risolvere i problemi».

Quanto conta la capacità di adattamento all’estero? «É un aspetto fondamentale, in modo particolare se la lingua è una barriera, comunque superabile con l’inglese. Grazie al nostro ottimo traduttore Nakaidze ed a dirigenti gerogiani espertissimi come Gvanzeladze ed Ubrekelidze il nostro gruppo di stranieri riesce a lavorare in condizioni ottimali. Oltre a me e al direttore Carrasco lavorano con noi altri due italiani: il Prof. Domenico Giordano, responsabile dell’area atletica e riabilitativa dell’Academy, e Sandro Bergamo, allenatore U11 e coordinatore del calcio a 7 e 9. La Georgia è più latina di quanto si possa immaginare mentre in Cina serve costruire da zero una cultura calcistica. In entrambi i posti sei lontano da casa, serve uno sforzo ulteriore per entrare nella testa di persone che provengono da un altro vissuto, come i georgiani che sono passati dalla sovietizzazione all’indipendenza sino all’attuale sviluppo a diverse velocità».

Come si vive il calcio in Georgia? «Da anni la federazione sta aiutando lo sviluppo del movimento con nuove strutture: il terreno non manca, neppure la passione e la predilizione per la tecnica. Quando il campionato russo e georgiano era unificati i calciatori della Dinamo Tblisi erano soprannominati “i brasiliani di Russia”. Il nostro centro sportivo delle giovanili, che da un punto di vista estetico ricorda il Ferdeghini dello Spezia, è staccato da quello della prima squadra e conta un campo a undici regolamentare, due a undici ridotti, uno a cinque, un mini stadio con 1500 posti, palestra con riabilitazione, residenza per 25 calciatori, mensa, uffici dei tecnici open space con affaccio sui campi: i talenti georgiani danno la loro priorità alla Dinamo, come in Olanda fanno con l’Ajax. In questo frangente ho applicato un grande insegnamento ricevuto da Michele Sbravati…».

Quale? «É noto che in Italia la maggior parte delle prime scelte se le contendono Juventus, Inter e Milan mentre noi al Genoa dovevamo essere più bravi a lavorare quotidianamente sul talento oppure muoversi anzitempo per portarlo a Genova. Così il direttore Sbravati, dal quale ho appreso per otto anni e che considero un mentore assieme a Davide Brunello, Fulvio Pea e Carrasco, mi ha insegnato che ciò che oggi non è “top” lo può diventare nel tempo con il lavoro di raffinazione da parte dei tecnici: tale forma di necessaria attitudine sviluppa la capacità di adattamento a qualsiasi situazione. Ciò che più mi piace di Sbravati è la sua concezione di squadra giovanile come centro di miglioramento del talento».

Gervasi Genoa
Mister Gabriele Gervasi (foto archivio di Pianetagenoa1893.net)

Al Genoa ci sono grandi competenze ma mancano le strutture. «Avendo vissuto in realtà con impianti strepitosi – l’academy cinese disponeva di undici campi con albergo interno con tutti i calciatori presenti, per assurdo un mister poteva allenare di notte – penso che un tecnico riesca ad adattarsi, sempre che il campo sia a sua disposizione per intero e dotato dell’apposita strumentazione. Il problema al Genoa è vivere la quotidianità, e porto un esempio: gli allenatori della Dinamo arrivano a pranzo e per tutto il dì stanno a stretto contatto con i dirigenti i quali non macinano 50 km per vedere mezz’ora di allenamento frammentato tra Pra’, Multedo e Arenzano, come purtroppo accade in rossoblù. La struttura è un valore aggiunto perché migliora la funzionalità del lavoro e ottimizza i tempi: la Liguria ha un territorio aspro ma per costruire un centro sportivo servono più volontà. Il più grande desiderio del direttore Sbravati è osservare due o tre campi dal suo ufficio: gli auguro che diventi realtà perché se lo meritano tutte le componenti del settore giovanile del Genoa».

Ci indica un paio di nomi di giovani promesse rossoblù? «Ho avuto la fortuna di allenare molti talenti che sono arrivati in Serie A, come Pietro Pellegri ed Eddie Salcedo. Tra i ragazzi che ho avuto colui che più mi ha colpito è senz’altro Luca Lipani: ha qualcosa di speciale tra fisico, tecnica e personalità. Seydou Fini ha delle qualità, Marco Romano è una prima scelta, Grossi è un calciatore con caratteristiche alla Rovella nonostante abbia avuto qualche infortunio di troppo; i classe 2004 sono bravi, ma non li ho allenati direttamente. La crescita di un giovane è particolare: allenai Andrea Cambiaso nella Under 14, era un profilo interessante ma tra la U15 e 17 pagò un ritardo di sviluppo fisico a causa del quale fu difficile predire che sarebbe passato dalla Serie D ad essere acquistato dalla Juventus».

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