Addio a Cassius Clay, il più grande

Ti alzi al mattino presto e la prima notizia del Giornale Radio Rai è triste, molto triste. Cassius Clay, mito della boxe del ‘900, ci ha lasciato a 74 anni. “E’ andata la parte più grande di me” ha scritto su Twitter George Foreman, sconfitto da lui: come non dargli torto? E’ volato nel paradiso dei pugili […]

Cassius Clay (Hulton Archive/Getty Images)

Clay contro Liston a Miami nell 1964 (Hulton Archive/Getty Images)
Clay contro Liston a Miami nell 1964 (Hulton Archive/Getty Images)
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Ti alzi al mattino presto e la prima notizia del Giornale Radio Rai è triste, molto triste. Cassius Clay, mito della boxe del ‘900, ci ha lasciato a 74 anni. “E’ andata la parte più grande di me” ha scritto su Twitter George Foreman, sconfitto da lui: come non dargli torto? E’ volato nel paradiso dei pugili “Il più grande”, come si era autodefinito: non era un atto di superbia, ma la consapevolezza di essere arrivato nell’olimpo della boxe, diventando campione olimpico a Roma nel 1960 (clicca qui per approfondire) e nel 1964 campione del mondo dei pesi massimi, dopo una vita di sacrifici, insulti e fatica. Aveva iniziato a soli 12 anni la sua gloriosa carriera. La memoria bambina del cronista ricorda quell’epico match “The rumble in the jungle” (la rissa nella  giungla), durante una magica notte insonne. L’attesa della diretta tv su Telecapodistria con papà e amici, trascorsa giocando a carte: poi il match, con le immagini in bianco e nero, con la folla che urlava ad Alì di uccidere Foreman. Epiche anche le sue sfide con Foreman. E resterà per sempre scolpita nella memoria la sua partecipazione come tedoforo alle Olimpiadi di Atlanta, quando tremava devastato dal morbo di Parkinson: un momento che commosse tutto il mondo.

Clay era un campione anche fuori dal ring. Convinto assertore dei diritti civili dei neri americani, aveva rifiutato di combattere in Vietnam e ciò gli costò il ritiro della licenza a combattere. Celebre la sua risposta: «Non ho niente contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato “negro”». Si convertì all’Islam nel 1964 dopo aver sconfitto Sonny Liston e conquistando per la prima volta il trono di “re” della boxe: mutò il suo nome in Muhammad Ali. La sua conversione è stata probabilmente un punto di forza che lo ha accompagnato per tutta la sua carriera, sostenendolo nei momenti più difficili.

22nd February 1964: British pop group The Beatles, from left to right; Ringo Starr, John Lennon (1940 - 1980), George Harrison (1943 - 2001) and Paul McCartney; in the ring with champion American boxer Cassius Clay, whilst in Miami. (Photo by Keystone/Getty Images)
I Beatles sfidano Clay (Keystone/Getty Images)

Sono rimaste celebri le sue conferenze stampa pre-match, dove diceva di tutto agli avversari. Ma se indossava la maschera del combattente fiero e feroce sul ring, nella vita privata sapeva scherzare e divertirsi. L’archivio Getty Images offre questa divertentissima immagine di Alì che finge di boxare contro i Beatles: due miti a confronto.

Ma le immagini in bianco e nero riportano alla luce un match forse dimenticato, ma non per questo meno importante, del grande pugile. Si tratta del combattimento nel 1963 nel tempio londinesi di Wembley contro il grande pugile inglese Henry Cooper. Alì era professionista da tre anni e l’occasione era molto importante per poter mostrare al mondo le proprie qualità. Ci fornisce una cronaca di quel match il volume “I pugni degli eroi” di Franco Esposito e Dario Torromeo (edizioni Absolutely Free, ripreso dal sito http://news.boxeringweb.net/). Alla quarta ripresa, Cooper stende Clay con un gancio sinistro: il campione americano vola sulle corde, l’arbitro conta, ma il gong lo salva. La botta è stata forte: a quel punto entra in scena la figura leggendaria di Angelo Dundee che risolleva Alì dal colpo tremendo e usa uno stratagemma.

«Angelo Dundee, nell’intervallo – si legge nel libro di Esposito e Torromeo- tra il quarto e il quinto round (mentre Ferrara cerca di riparare i danni), vede una piccola apertura nel guantone sinistro di Clay. Ci mette dentro un dito e

Un momento di Alì-Cooper nel 1966 (Keystone/Getty Images)
Un momento di Alì-Cooper nel 1966 (Keystone/Getty Images)

allarga il buco. Poi comincia a urlare chiamando l’arbitro per sostituire il guantone. Tommy Little va dal commissario che lo informa che non esisteno guantoni sostitutivi. Appresa la notizia, dopo avere visto tornare Cassius in sé, Dundee dice: “Va bene, andiamo avanti così”. Il gong del quinto round suona dopo 1:06 di intervallo. Sono stati dunque solo sei i secondi strappati alla regolarità dall’invenzione di Angelo». Ciò bastò a far rifiatare Clay che iniziò a devastare il volto di Cooper che si trasformò in una maschera di sangue. Dopo 2:15 l’incontro fu sospeso e il grande Cassius vince per ko tecnico. Pochi mesi dopo sconfisse Liston e diventò campione del mondo. Tre anni dopo Cooper sfidò Clay ad Higbury, lo stadio dell’Arsenal: davanti a 40mila spettatori fu sconfitto ancora una volta e fu portato in ospedale per ricere 12 punti di sutura per un taglio che aveva trasformato, ancora una volta, il volto in una maschera di sangue. Alì si consacrò campione.

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