Enrique Balbontin: «Formidabili gli anni quando seguivo il Grifo in trasferta tra la neve»

Il celebre comico genovese racconta in esclusiva a Pianetagenoa1893.net i suoi ricordi di tifoso incallito. Riguardo al presente suggerisce: «Non pensiamo all'Europa, sarà  l'obiettivo dell'anno prossimo»


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Non vuole parlare di Europa: preferisce una stagione di transizione per ripartire ad alti livelli. E’ l’opinione del celebre attore comico genovesissimo (ma di origine spagnola) Enrique Balbontin, conosciutissimo per il suo personaggio “Enraz del Centro Ciocchi Savona” nella trasmissione “Colorado Cafè” su Italia1. Balbontin è «genoanissimo fino al midollo» come spiega in questa intervista esclusiva a Pianetagenoa1893.net: ha voluto confessarsi “senza veli” per la sua passione rossoblù e raccontare i suoi ricordi. Ora i suoi fans possono ammirare le sue gesta esilaranti su Sky in “Torta di riso”.

Dopo tanto tempo il Genoa ha vinto finalmente fuori casa…

«Ci voleva proprio la vittoria a Parma: è stato un bel ricostituente».

E’ un primo passo verso la qualificazione in Europa League?

«E’ inutile parlare adesso di Europa. Dovevamo pensarci prima per programmare questo obiettivo: l’esperienza di quest’anno è stata una prova e bisognerà farne tesoro per la prossima volta. E poi c’è una caratteristica del Grifo da non dimenticare».

Quale?

«Quella di essere a un passo dall’obiettivo e poi purtroppo lo si perde. L’anno scorso è capitato con la Champions League».

Niente Europa, quindi, ma domenica prossima con la Lazio che Genoa si potrà vedere in campo?

«Che ne so. Dipende sempre dalla situazione dell’infermeria e degli squalificati».

Ma lei è incontentabile?

«Sì, non mi accontento mai: sono un tifoso molto esigente. Alcuni mi rimproverano e mi ricordano di quando la squadra era in serie C. Io la seguivo sempre anche allora, quando i tempi erano difficili».

Ha qualche aneddoto di quell’epoca?

«Ricordo una trasferta più di 20 anni fa in serie B a Campobasso: partii in treno con un gruppo di amici. Quando arrivammo laggiù, scoprimmo che avevano rinviato la partita per la neve: ne era caduta oltre un metro».

E di quando era bambino?

«Mio padre mi portava spesso al vecchio Ferraris negli anni ‘70. Ai giocatori piaceva parlare e intrattenersi con i tifosi: ricordo benissimo di Turone e Rizzo. Era un’atmosfera rilassata: si sentiva l’odore dell’erba del campo, c’era un’atmosfera più tranquilla. C’era un’umanità che oggi non esiste più. Ora per entrare allo stadio devi fare tutta una serie di esami e avere tessere e controtessere».

Cosa le piace di più della politica del Genoa attuale?

«Sicuramente quella rivolta allo sviluppo e alla valorizzazione dei giovani. La Primavera sta offrendo una serie di piccoli campioni molto interessanti. Ho un aneddoto a proposito della mia fallita carriera di talent scout…».

E’ un suo aspetto sconosciuto: ce lo racconti…

«Ho proposto al responsabile del settore giovanile del Genoa, Michele Sbravati, il figlio quindicenne del mio vicino di casa senegalese: mi raccontava che voleva giocare a calcio. Gliene avevo parlato bene, anche perché gli avevo spiegato che era dotato di un fisico e di una velocità straordinarie. Sbravati lo convocò per un provino».

E come andò a finire?

«L’allora responsabile degli allievi, Armando Ferroni, mi disse sconsolato: “Guarda Enrique, non ho mai visto un ragazzo africano che abbia una così bassa propensione all’attività sportiva. Mi dispiace, ma è meglio lasciar perdere”. E così è finita la mia carriera di scopritore di talenti».

Torniamo al presente: quale caratteristica l’ha convinta di più del Genoa di questa stagione?

«Sicuramente la voglia di vincere, anche se l’anno scorso c’erano dei fuoriclasse come Milito e Motta che consentivano qual salto di qualità anche in trasferta. Però sono molto soddisfatto, anche se ho alcune riserve sul calcio attuale».

Quali?

«Sono sempre rimasto all’idea romantica del campionato di un tempo, quello delle partite giocate tutte contemporaneamente allo stesso orario di domenica. Oggi con le pay tv tutto questo è stravolto. Il pallone si vede in tutte le salse e tutti i giorni. Si gioca a ritmi frenetici: i giocatori si infortunano spesso e hanno frequenti problemi fisici. E’ tutto portato alle estreme conseguenze».

Marco Liguori

RIPRODUZIONE (ANCHE PARZIALE) DELL’ARTICOLO CONSENTITA PREVIA CITAZIONE DELLA FONTE: WWW.PIANETAGENOA1893.NET

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