ESCLUSIVA PG – Onofri: «Vi racconto Gigi Simoni, tecnico e uomo straordinario»

L'ex capitano del Genoa racconta alcuni aneddoti della sua esperienza umana e professionale con l'allenatore: «Devo tutto a lui»

Onofri Simoni
Claudio Onofri e Gigi Simoni

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«Devo tutto a Gigi: per me non era soltanto un allenatore, ma era un padre, una persona straordinaria». Claudio Onofri racconta ai microfoni di Pianetagenoa1893.net la sua esperienza umana e professionale al Genoa con Gigi Simoni, il suo tecnico che lo aveva lanciato in serie A nel 1976, scomparso stamane a 81 anni.

Che ricordo ha di Simoni?

«Gli devo tutto. Mi vide giocare da libero in Avellino-Genoa, all’epoca ero con gli irpini: al ritorno giocai mediano e l’Avellino vinse 1-0 al Ferraris. Il Grifone fu promosso in serie A: avevano bisogno di un libero, poiché Campidonico aveva problemi al ginocchio e si pensava che non ce l’avrebbe fatta a disputare tutta la stagione, e aveva bisogno anche di una mezzala in più in mezzo al campo. E scelse me: mi fece chiamare dalla società e in poco tempo ero già a Genova. Già questo mi è rimasto impresso, poiché gli devo la mia carriera».

Poi vi siete persi di vista…

«I primi due anni al Genoa avevo convinto: poi ci fu la retrocessione e mi aveva preso il Torino, mentre Gigi era andato ad allenare il Brescia. In granata ho reso al disotto delle aspettative: l’anno dopo torno in rossoblù e c’era Di Marzio allenatore. Quell’anno non avemmo un rendimento all’altezza, rispetto al valore della rosa: mi chiamò Renzo Fossati e mi chiese un consiglio sul da farsi. Io risposi se fosse stato possibile richiamare Simoni: il presidente seguì il mio suggerimento, fece tornare Gigi, vincemmo il campionato di serie B e approdammo in serie A. In quel periodo si è instaurato un rapporto ben più saldo che tra un allenatore e un calciatore: per era come un padre o un fratello maggiore e mi stimava molto».

Poi siete rimasti per tre anni in serie A

«Sì, ma accadde un altro episodio significativo».

Ce lo racconti…

«Avevo litigato con Fossati, poiché in precedenza mi aveva promesso un contratto e non lo avevamo ancora concluso. Andai in sede ed ebbi un litigio col presidente: quando sono uscito, Gigi mi guarda e mi chiese cos’era successo. Gli raccontai tutto e me ne andai. Il giorno dopo, mentre eravamo a Rapallo ad allenarci, mi arrivò la comunicazione che ero stato posto fuori rosa. La squadra va male, con pochi punti in otto partite e con pesanti sconfitte come lo 0-5 contro l’Udinese di Zico. Fossati e Simoni mi hanno richiamato e tutto si ricompose: anche col presidente c’era grande affetto e stima».

Ma il vostro rapporto di amicizia è proseguito anche dopo?

«Proprio così. Durante gli anni ‘90 Simoni venne a Genova con la Cremonese per giocare contro la Sampdoria: io ero stato a Ravenna ad allenare in serie B e già avevo sentito che la tensione mi prendeva, mi creava problemi e non potevo continuare. Incontrai Gigi a Rapallo e andai a cenare con la sua squadra: mi offrì di allenare i grigiorossi, mentre lui sarebbe diventato direttore tecnico. Risposi purtroppo che non me la sentivo: è stato un errore. Questo per far capire il grande rapporto di confidenza che avevo con lui: ci siamo tenuti in contatto anche dopo, quando era alla Lucchese e al Gubbio».

Che tipo di allenatore era?

«Non adottava soltanto il calcio sparagnino, che applicava quando era necessario, ma era più per un tipo di gioco propositivo. Ricordo quando ci aveva detto un giorno a Rapallo: “ragazzi da oggi proviamo la zona”. Aveva in mente l’Olanda: però all’epoca non aveva ancora i fondamentali per applicarla. Ricordo che giocammo in amichevole in trasferta contro la Carrarese di Orrico e prendemmo tre pappine, perché non riuscivamo ad applicare il fuorigioco e subivamo gli attacchi avversari. Gigi tornò sui sui passi e tornammo a giocare ad uomo. Questo episodio fa capire che voleva sperimentare e cercare di applicare il gioco propositivo».

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