TUTTI A SCUOLA: I REGOLAMENTI SPIEGATI DAL GENOA CRICKET (parte 5)

Prima parte delle regole riguardanti la partita


Accetta i marketing-cookies per visualizzare questo contenuto.

Grande importanza riveste il “toss”, il lancio della moneta. Quasi una cerimonia religiosa, se mi è consentito l’accostamento.

Il sorteggio che, normalmente, si effettua – presenti i due capitani e gli umpires – dieci/quindici minuti prima dell’inizio, comporta, di fatto, variazioni strategiche alla gara.

Sentito il parere dei suoi giocatori, il capitano decide sulla tattica da adottare: se, vincendo il toss, si disputerà il primo dei due “innings” previsti con la fase difensiva di “bowling” (al lancio), oppure all’attacco, cioè in “batting”.

Nel cricket gli incontri si sviluppano su due innings; tra i due, che definirei più ‘fasi di gioco’ che ‘tempi di gioco’, c’è un periodo di intervallo (in Italia varia fra i trenta e i quaranta minuti), durante il quale i giocatori hanno il tempo di recuperare energie tramite un pasto leggero, spesso a base di carboidrati: quello che è, comunemente, chiamato ‘terzo tempo’ nel rugby, nel cricket si fa nell’intervallo.

Ho già ricordato che le squadre sono composte da undici giocatori più fino a quattro riserve. Nella lista-giocatori che si presenta agli arbitri sono obbligatorie tre segnalazioni: chi è il capitano, chi il suo vice, chi è il “wicket-keeper”. Questi non può agire da lanciatore e può essere sostituito, anche solo momentaneamente, se infortunato, da un compagno che non sia bowler.

La compagine che inizia in bowling schiera sul field tutti gli atleti; quella che gioca in batting schiera solo due batsman e, nel primo inning, è quella che segna i punti. La squadra al lancio nel primo giocherà in battuta il secondo inning e, a sua volta, potrà segnare i propri punti che, giova ricordarlo, si chiamano “runs”, cioè corse.

A questo punto giova che io torni un po’ indietro: se ricordate ho fatto riferimento, proprio alla fine della prima puntata, parlando del campo da gioco, dell’area delle “30 yards”, cioè 27,43 metri. E’ formata da due semicerchi, di raggio 27,43 metri, tracciati a partire dallo stump (paletto) centrale dei due wickets e da un rettangolo che ha i due lati formati dal diametro dei semicerchi (54,86 metri) e dalla distanza tra i due stumps centrali che è di 20,12 metri. La superficie totale di quest’area è notevole, circa 3500 metri quadrati, quasi la metà di un campo di calcio. Questa porzione del field, di forma vagamente ovoidale, viene definita “power play area”: la squadra in fase di battuta, prima che inizi un over (serie di 6 lanci) dichiara il power play: può farlo per un massimo del 30% degli overs (sui 40 della serie B, quella che ci interessa come Genoa, sono quindi 12). Quando viene richiesto il power play, la squadra al lancio deve schierare almeno 9 degli 11 giocatori in campo nell’area suddetta. Ciò comporta un affollamento nelle immediate vicinanze del pitch e l’automatico abbandono di tutto il resto del field: ne derivano maggiori difficoltà di recupero della ball, sulla battuta dei batsman, oltre a più agevoli fuori campo da 4 e 6 runs (punti). Concettualmente il power play favorisce un gioco più votato all’attacco, dunque più spettacolare. Nella formula “twenty/20”, adottata in Italia per la Coppa Italia, il power play è obbligatorio nei primi 6 overs. Spero di essere riuscito a chiarire il concetto. Ma ritorniamo a noi.

Ognuno dei due innings è formato da un certo numero di “overs” (serie di 6 lanci) per inning.

La Federazione Italiana ha stabilito che le partite di campionato si svolgano su 40 overs per le serie B e C e 50 overs per la A. Le gare di Coppa Italia, invece, si giocano con la formula del “twenty/20”, cioè su 20 overs: questi tempi ridotti stanno consentendo a questo sport di assumere anche un certo rilievo mediatico, cioè diventa un gioco che può essere ripreso e seguito in TV. Dalle sei o più ore si passa facilmente a due, massimo, tre ore di partita. E ciò è certamente positivo se si vuol divulgare questo gioco, facilitandone l’approccio ai non addetti, specie nei Paesi in cui viene praticato poco e conosciuto ancora meno.

Non a caso, soprattutto per motivi promo-pubblicitari legati ai media, stanno prendendo sempre più campo i campionati mondiali e la champion league con la formula twenty/20. Gli interessi economici che muovono sono enormi.

Ogni over prevede sei lanci. Per cui, nel caso di una partita di B, che si gioca su 40 serie di lanci, ogni squadra in bowling ne avrà a disposizione 240; questo in teoria. In pratica possono essere anche 15/20 e oltre in più se, per esempio, consideriamo i lanci “wide”, cioè larghi. Ogni lancio wide, considerato un fallo, procura una run (punto) alla squadra in battuta e la possibilità di ripetere il lancio a quella in bowling: il che comporta, sì una ulteriore opportunità per chi lancia in ordine alla possibilità di eliminare il battitore, ma, al contempo, procura al battitore stesso una possibilità in più di totalizzare punti. Ma cos’è questo wide?

Ho detto appena sopra che si tratta di una palla indirizzata larga, cioè al di fuori di una porzione del pitch compresa tra due linee perpendicolari a quella di battuta, poste a 176 centimetri tra loro. Giudice unico ed inappellabile, come in ogni fase del gioco, è l’ umpire: la sua posizione sul pitch, gli permette di valutare con precisione notevole la traiettoria della pallina.

Ci sono due sole norme che regolano il lancio: la prima è che deve essere effettuato da sopra la spalla e a “gomito teso”, cioè non piegato; la seconda dice che il piede più avanzato del bowler non deve oltrepassare la linea di battuta tracciata sul pitch.

A proposito della prima, pochi anni fa è stato concesso ad un lanciatore, cingalese se non ricordo male, causa un difetto congenito dell’omero, di poter lanciare, sempre però a gomito teso, con slancio laterale anziché da sopra la spalla; da quel momento qualche altro lanciatore ha adottato questo sistema: un po’ come accadde nel 1968 alle Olimpiadi messicane, con il salto in alto all’indietro, inventato, adottato e perfezionato dall’atleta statunitense Dick Fosbury . Da allora nessuno più scavalca l’asticella ventralmente.

Chissà se, tra qualche tempo, prenderà campo definitivamente, nel cricket, il lancio laterale.

A cura di Claudio De Martini vice presidente Genoa Cricket

RIPRODUZIONE (ANCHE PARZIALE) DELL’ARTICOLO CONSENTITA PREVIA CITAZIONE DELLA FONTE: WWW.PIANETAGENOA1893.NET

CLICCA QUI PER LEGGERE LA QUARTA PUNTATA

Accetta i marketing-cookies per visualizzare questo contenuto.