Federsupporter/Il “De Bello tv” non conviene ai club

Il sindacato dei tifosi analizza in uno studio la guerra tra le società  di serie A per la spartizione dei ricavi dalla cessione dei diritti televisivi


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E’ in atto una feroce guerra tra le società calcistiche per la spartizione dei ricavi derivanti dalla cessione dei diritti televisivi. Tutto nasce da una contrapposta interpretazione di disposizioni contenute nella c.d.”Legge Melandri” ( Decr. Lgs 9/01/2008 n. 9 “ Disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e relativa ripartizione delle risorse”).

In particolare, la suddetta normativa prevede (art. 26) che una parte, pari al 30% del totale, dei ricavi in questione venga suddivisa in base al “ bacino di utenza”, composto, per il 25 % , dai “sostenitori” di ciascuna squadra e, per il restante 5%, sulla base della popolazione del Comune di riferimento della squadra stessa.

Và preliminarmente osservato che il suddetto criterio di ripartizione, in aggiunta a quello riferito ai risultati sportivi storici conseguiti da ciascuna società, appare oggettivamente correttivo del principio solidaristico di ripartizione che prevede una suddivisione paritetica dei ricavi tra tutte le società.

E’ evidente, infatti, che il riferimento al bacino di utenza dei sostenitori di ogni singola squadra ed il riferimento ai risultati sportivi storici conseguiti non può che essere più favorevole alle grandi squadre.

Ciò premesso, talune società (Inter, Milan, Juventus, Napoli e, almeno finora, Roma) sostengono che, per “sostenitori”, debbono intendersi quelli che potremmo chiamare i “ tifosi” o i “ clienti abituali” o “ fidelizzati” , mentre tutte le altre sostengono che in questa categoria debbono rientrare anche i semplici “simpatizzanti” e i fruitori non abituali dello spettacolo sportivo: quelli che potremmo chiamare “ clienti occasionali”.

Naturalmente non si tratta di una disputa meramente lessicale, in quanto, se si accoglie una tesi piuttosto che l’altra, ne derivano, a vantaggio o a svantaggio dei sostenitori dell’una o dell’altra, notevoli ripercussioni economiche a favore o a sfavore.

E’ chiaro, infatti, che, più si dilata la nozione di “sostenitori” di società che, rispetto ad altre, possono vantare meno sostenitori in senso stretto ( tifosi o clienti abituali o fidelizzati che dir si voglia), più la suddivisione avvantaggia le società suddette .

La causa principale del contrasto scaturisce, come peraltro, spesso accade, dal fatto che il legislatore ha adoperato termini molto generici e indeterminati, quale , per l’appunto, “sostenitori”, ai quali possono attribuirsi, del tutto legittimamente, plurimi significati.

Aggiungasi che, mentre all’art. 2 della legge in parola vengono specificate le definizioni di molti termini usati dalla legge stessa ai fini voluti da quest’ultima, non si ritrova la definizione, sempre a tali fini, del termine “ sostenitori”.

Dimenticanza, incuria ? Propendo, più maliziosamente, per una intenzionale lacuna.

Accade spesso, in effetti, che il legislatore, volendo accontentare tutti e non scontentare nessuno, si rifugi in formulazioni volutamente ambigue e leggibili in più significati.

Naturalmente, in questi casi, le questioni si presentano e si pongono poi in sede applicativa della norma, dando luogo, soprattutto laddove siano in gioco rilevanti interessi economici contrapposti, ad una aspra e tenace litigiosità.

Và, però, sottolineato che l’indeterminatezza e genericità, involontarie o intenzionali, di alcune disposizioni normative non precludono, in assoluto, la possibilità, comunque, di pervenire ad una corretta interpretazione delle stesse.

Soccorrono, in questa evenienza, le regole di ermeneutica legale, così come previste dall’art. 12 delle “Disposizioni sulla legge in generale.”

Più precisamente, l’articolo richiamato dispone che, nell’applicare la legge, non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e l’intenzione del legislatore.

Secondo la prevalente giurisprudenza, per “ significato proprio” deve intendersi il significato di uso comune nell’ambito e nel contesto in cui la legge opera e per “ intenzione del legislatore”, deve intendersi non quella soggettiva di quest’ultimo, bensì quella oggettivata nella norma quale risultante dalla sua formulazione, dalla sua contestualizzazione e correlazione con le altre norme del corpo legislativo a cui appartiene, nonché alla luce della ratio della norma medesima.

In base a tali criteri, non può negarsi, a mio avviso, che la parola “sostenitori”, nel significato d’uso comune nel gergo calcistico (vedasi, da ultimo, l’accezione che ne viene data nell’ambito della tessera del tifoso), vuol dire i “ tifosi” o i “ clienti abituali” o “ fidelizzati”, che dir si voglia, di una squadra.

Quanto, poi, al principio della volontà oggettivata dalla norma, ritengo che, nella fattispecie, essa consista proprio nello scopo di voler misurare l’insieme dei “ tifosi “o, se si preferisce, dei “ clienti abituali o fidelizzati” di ciascuna, singola squadra, tenuto, altresì conto del fatto che, cone in precedenza evidenziato, la ratio della suddivisone dei ricavi, in funzione della misurazione dell’insieme dei “ sostenitori”, appare quella oggettivamente di attenuare il criterio solidaristico sotteso alla suddivisione in parti uguali tra ciascuna squadra.

Se tutto ciò è vero, nella categoria dei “sostenitori” vanno ricompresi, oltre ai frequentatori abituali dello stadio per assistere alle partite della propria squadra, sia quali abbonati sia quali acquirenti di biglietti per un numero significativo di partite rapportato al numero complessivo delle gare disputate in casa da quella squadra in una stagione sportiva, anche gli acquirenti di trasmissioni televisive delle suddette partite.

In quest’ultimo caso, non so, peraltro, se e fino a che punto, sia effettivamente possibile ed in che modo, verificare con certezza se l’acquirente delle suddette trasmissioni, acquisto che, in genere, avviene, non per singola squadra, ma per l’insieme delle squadre che partecipano ad un campionato, sia “sostenitore” di una certa, ben individuata squadra.

Si tenga, inoltre, presente, circa il fatto che l’acquirente in discorso possa essere considerato come “sostenitore” di più squadre, che, secondo il notorio acquisito, nella vita non v’è nulla di più esclusivo della propria squadra.

Voler sostenere, quindi, che colui il quale compra pacchetti di trasmissioni televisive calcistiche potrebbe essere “sostenitore” di più squadre, mi sembra palesemente inverosimile ed una evidente forzatura pro domo propria.

Tutto quanto sin qui considerato, fermo restando che la legge ( art. 26 ) attribuisce alla Lega Calcio di fissare i criteri per individuare i “sostenitori”, ma non anche di stabilire chi, ai sensi ed ai fini della legge stessa, si debba intendere per “sostenitori”, ritengo che la soluzione del problema vada ricercata non sul piano squisitamente tecnico- giuridico, bensì su quello del buon senso.

E’ presumibile, invero, che, volendosi rimanere nell’ambito di una disputa giuridica, quest’ultima non si esaurirebbe di certo all’interno dell’ordinamento sportivo.

Si ha notizia che, mentre la Corte di Giustizia Federale aveva respinto, ma sembra, solo sotto un profilo di legittimità, il ricorso presentato da Inter, Milan, Juventus, Napoli e Roma, contro la delibera assunta dall’Assemblea della Lega Calcio sull’affidamento a certi istituti demoscopici della rilevazione dei bacini di utenza, l’Alta Corte di Giustizia del Coni, alla quale le suddette cinque società si erano rivolte per impugnare la decisione della Corte di Giustizia Federale, abbia sospeso tale decisione, in attesa di entrare nel merito della questione, una volta rese note le motivazioni della decisione impugnata.

E’ probabile, peraltro, che, indipendentemente dalle decisioni finali degli organi di giustizia sportiva, la disputa prosegua in un estenuante, incertissimo contenzioso dinanzi alla giustizia ordinaria, sia civile sia amministrativa, di lunga o lunghissima durata con il rischio di non avere né vinti né vincitori o che questi ultimi conseguano la classica vittoria di Pirro.

Il buon senso, dunque, come dicevo, suggerisce un accordo di compromesso, una transazione che, impregiudicate le ragioni giuridiche degli uni o degli altri, possa ragionevolmente contemperare gli interessi di tutti abbandonandosi rigidità ed estremizzazioni di posizioni.

Molto spesso tra gli avvocati si dice, magari a bassa voce, che è meglio un compromesso “maledetto e subito” di una causa vinta “ a babbo morto”.

Avvocato Massimo Rossetti

Responsabile dell’Area Giuridica e Legale Federsupporter

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