Stefano Benzi: Genoa e Catania, progetti a confronto

Riprendiamo questo articolo di commento a Genoa-Catania del collega Stefano Benzi di it.eurosport.yahoo.com. E’ un interessante spunto di riflessione sulla politica gestionale seguita dalle due società. Ci ho messo qualche giorno (è un periodo un po’ incasinato sotto l’aspetto del lavoro) ma finalmente riesco a mettere le idee in ordine su un argomento (anzi due) che […]


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Riprendiamo questo articolo di commento a Genoa-Catania del collega Stefano Benzi di it.eurosport.yahoo.com. E’ un interessante spunto di riflessione sulla politica gestionale seguita dalle due società.

Ci ho messo qualche giorno (è un periodo un po’ incasinato sotto l’aspetto del lavoro) ma finalmente riesco a mettere le idee in ordine su un argomento (anzi due) che mi stanno a cuore. Come rovinare una buona squadra e come portare a livelli europei una squadra apparentemente normale.

Lo studio, accurato, mi è stato offerto dall’occasione di commentare domenica scorsa Genoa-Catania nel corso della quale ho visto due squadre rispettivamente vittima e carnefice del cosiddetto ‘progetto’: qualche tempo fa scrissi un post che fu molto criticato e che ruotava intorno a questa parola, ‘progetto’, della quale secondo me molto spesso si abusa.

Ci si riempie la bocca di progetti per tranquillizzare la folla, pompare le aspettative, fomentare illusioni quando spesso, poi, il progetto rimane lettera morta. Un po’ come quello che Roberto Baggio ha proposto alla Federcalcio quando lo hanno buttato dentro il consiglio direttivo: un faldone di 900 pagine su rilancio delle scuole calcio, progetti di integrazione e di fidelizzazione con le scuole, scuole sportive di quartiere, che a quanto pare non è stato preso in considerazione. Forse era troppo lungo. Da persona di una certa integrità ma anche piuttosto integralista Baggio si è dimesso: “Pazienza, ho solo perso tempo”. Ce ne fossero di persone che dicono ‘ho perso tempo’ e se ne vanno. Purtroppo invece ci sono quelli che ci fanno perdere sia tempo che soldi e non li schiodi nemmeno con la fiamma ossidrica.

Ma tornando a Genoa e Catania, e ai loro progetti. Il Genoa ne aveva uno ben chiaro: costare poco e rendere molto. Sotto questo aspetto mi sembra che l’obiettivo sia stato perfettamente raggiunto: che poi la squadra sia in balia degli eventi, incapace di reagire a qualsiasi umore del campo e che giochi un calcio a volte imbarazzante tra errori difensivi e improvvisazioni offensive al limite del grottesco, poco importa. Vedere Tomas Skuhravy, Mimmo Francioso e Sidio Corradi fare il giro d’onore poco prima della partita contro il Catania tra le figurine storiche di giocatori come Bean, Verdeal, Pruzzo, Damiani, Beccantini e Meroni, mi ha messo una tristezza infinita: mi sembrava di guardare uno spettacolo di varietà con gli attori di un tempo costretti a ridare dignità agli interpreti di una squadra che avrà anche un progetto ma al momento non si sa dove porti.

C’è passato il povero De Canio, giubilato con la squadra in zona salvezza perché il Genoa non era sufficientemente continuo; ci è caduto pure Del Neri ‘perché era bravo e andava assunto prima che lo assumesse qualcun altro’, disse all’epoca il presidente Preziosi, ma cacciato ‘perché non ci stava capendo più niente’, sostiene invece una voce autorevole della società che non vuole essere riportata: a occhio e croce, contando le dieci sconfitte in tredici partite un po’ di confusione mentale è anche lecito ammetterla.

Ora tocca a Ballardini che, come Gasperini, aveva un brutto vizio: quello di dire al proprietario “lei faccia il presidente che io faccio l’allenatore”. Portò la squadra alla salvezza e poi se ne andò di comune accordo con la società sostituito da Malesani (poi cacciato per Marino, ricacciato per Malesani, poi sostituito da De Canio e così via).

Ora ai tifosi del Genoa questa frase può piacere o meno: ma il ‘progetto’, se il presidente non si chiama Pozzo o Moratti, il primo perché è capace il secondo perché ha un sacco di soldi, è meglio lo faccia l’allenatore. Gasperini ci era addirittura riuscito: magari peccando alla lunga di un po’ di presunzione. Perché l’allenatore deve essere bravo e Gasperini oltre a esserlo sapeva di esserlo. E il presidente, collezionista di calciatori più che di figurine, ogni tanto dovrebbe anche provare ad accontentarlo e non girargli gli scarti di plusvalenze accatastate in giro per l’Italia arrangiati da una sarabanda di dirigenti che girano per gli uffici della società nemmeno fosse un punto colloqui dell’Adecco.

Maran per esempio: ha visto il lavoro di Simeone (un buon lavoro), ha raccolto l’eredità di Montella (un’ottima eredità) e ci ha messo qualcosa di suo. Vedere giocare il Catania è un piacere: squadra corta, stretta, compatta, palleggiatori finissimi come Castro, Gomez, Barrientos e Bergessio. Tutti tocchi di prima e palla sempre avanti. Maran, che (ho controllato) non ha mai allenato né la Juve, né l’Inter, né il Milan non mi risulta sia stato nemmeno al River Plate: conosce i suoi giocatori e fa la cosa più semplice del mondo per un allenatore, si adatta alla squadra che ha ed esalta le caratteristiche dei suoi giocatori. Cosa che ha fatto Simeone, cosa che ha fatto e sta continuando a fare Montella.

Toh… ecco quello che fa l’allenatore: non il domatore di tigri, non l’imbonitore di tifosi, non l’ufficio stampa dei giornalisti e nemmeno il venditore porta a porta dei giocatori a libro paga del presidente. Prende quello che ha e lo mette a frutto: ed è meglio se quello che ha lo chiede lui.

Oggi vedere giocare il Catania è una dimostrazione di consistenza e coerenza. Non si montino la testa i tifosi etnei, a Genova hanno vinto contro una squadra ai minimi termini che è stata ribattezzata da anni dai suoi tifosi “u vegiu marottu”, il vecchio malato, o meglio ancora balordo: perché il Genoa più che l’influenza è sempre un po’ giù di testa.

Tanti cari auguri a Ballardini che, primo allenamento, ha spiegato ai suoi come tenere la palla per terra e farla viaggiare. Poco lontano, agli esordienti, spiegavano praticamente la stessa cosa.

Prossimo capitolo del progetto affrontare la Juve e sopravvivere. I genoani alle tribolazioni del marottu sono abituati: il Lexotan da loro va via come il pane ma ogni tanto, giusto ogni tanto, dall’alto dell’ufficio di proprietà non ci si potrebbe accontentare e provare a improvvisare un po’ meno? Anche quello potrebbe essere un progetto…

Stefano Benzi (Twitter: @stefano_benzi)

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