Se solo i calciatori restano sotto l’ombrellone

Sembra proprio che si vada verso uno sciopero dei calciatori con relativo rinvio a data da destinarsi della prima giornata di campionato. La ragione è che la Lega calcio di serie A, guidata da Maurizio Beretta, non accetta di firmare il contratto collettivo che dovrebbe rimpiazzare quello scaduto nel giugno 2010, almeno non nella versione […]


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Sembra proprio che si vada verso uno sciopero dei calciatori con relativo rinvio a data da destinarsi della prima giornata di campionato. La ragione è che la Lega calcio di serie A, guidata da Maurizio Beretta, non accetta di firmare il contratto collettivo che dovrebbe rimpiazzare quello scaduto nel giugno 2010, almeno non nella versione approvata dall’Associazione italiana calciatori (Aic) di Damiano Tommasi.

I MOTIVI DI CONTRASTO

Due sono i punti di divergenza. Il primo è un vecchio motivo di contrasto, quello riguardante l’articolo 7, cioè il diritto di tutti i calciatori, anche quelli che non rientrano più nei piano delle società ad allenarsi con la prima squadra, salvo esclusione per ragioni disciplinari. Detto in modo semplice, le società vorrebbero avere la possibilità di introdurre allenamenti differenziati per alcuni calciatori su cui non puntano più. I calciatori ritengono che tale misura potrebbe essere usata come arma di pressione verso i calciatori non più desiderati, come ad esempio è successo a Goran Pandev con la Lazio del presidente Lotito, e sono disposti ad accettare eccezioni solo in modo temporaneo.

Chi porta le maggiori responsabilità dell’impasse? Va subito detto che, dal punto di vista del metodo, le società hanno torto per avere lasciato marcire la questione fino a pochi giorni dall’inizio del campionato. Fino a poche settimane fa, la Lega voleva discutere del contratto collettivo addirittura dopo l’inizio del campionato. Poi, sotto la pressione dell’Aic, ha accettato di ascoltare la proposta di mediazione del presidente della Figc, Giancarlo Abete. Ma, lunedì 22 agosto, Abete ha sostanzialmente detto che l’articolo 7 va bene così, sposando le tesi dei calciatori. A quel punto, la Lega ha concluso che Abete rappresentava solo se stesso e nella giornata del 24 agosto ha deciso (con 18 voti su 20) di non firmare il contratto collettivo firmato dall’Aic nel maggio scorso. Il comportamento della Lega è inaccettabile e la responsabilità dello sciopero ricade in prima battuta sui presidenti delle società e su Beretta, ormai dirigente Unicredit che si occupa solo a tempo perso della Lega calcio. Beretta deve andarsene al più presto lasciando il suo posto a chi ha tempo e voglia di occuparsi della Lega. Nel merito, invece, le società non hanno tutti i torti, a mio avviso. L’articolo 7 le impegna a “curare la migliore efficienza sportiva del calciatore (…) mettendo a disposizione un ambiente consono alla sua dignità professionale”. Il comma successivo, relativo al diritto del calciatore ad allenarsi con la prima squadra, sembra di non facile attuazione. Con rose che eccedono a volte i trenta giocatori, imporre la presenza di tutti i calciatori agli stessi allenamenti rischia di pregiudicarne la qualità. Basterebbe probabilmente imporre alle società di garantire che sia lo staff tecnico della prima squadra a gestire tutti gli allenamenti da effettuare nelle stesse strutture per tutti i calciatori.

IL CONTRIBUTO DI SOLIDARIETÀ

Il secondo punto di contrasto tra Lega e Aic è recente ed è relativo al contributo di solidarietà introdotto nella manovra finanziaria. Le società vorrebbero inserire una norma nel contratto collettivo in cui si stabilisce che ogni nuova tassa deve essere a carico dei calciatori. L’Aic ribatte che, nel caso in cui i contratti contengano, come spesso accade, un riferimento al salario netto, l’addizionale Irpef deve intendersi a carico delle società. Si tratta di cifre rilevanti. Ad esempio, Eto’o, appena passato all’Anzhi, aveva un contratto con l’Inter di circa 20 milioni di euro lordi. Quindi il suo contributo di solidarietà, date le aliquote attuali, sarebbe poco sotto i 2 milioni di euro per l’anno 2011. Su questo punto, al di là delle questioni legali, ci sono tre semplici considerazioni da fare. La prima è che la manovra potrebbe ancora essere modificata in Parlamento e quindi uno sciopero fatto su un provvedimento che potrebbe subire modifiche rilevanti è quantomeno intempestivo. La seconda è l’Aic dovrebbe chiedere ai suoi tesserati di accettare di pagare una parte di tale contributo, anche se il diritto fosse dalla loro parte. Non solo per ragioni di equità verso gli altri contribuenti italiani e nemmeno per paura del ministro Calderoli che minaccia, in modo ridicolo, di raddoppiare le aliquote del contributo di solidarietà per i calciatori, ma nel loro stesso interesse. Tirando troppo la corda rischierebbero tra poco di scioperare per la stessa ragione per cui hanno scioperato fino a ieri i loro colleghi che giocano nella Liga spagnola: perché le società non hanno più i soldi per pagarli. La terza è che la proposta del presidente Abete secondo la quale la Figc dovrebbe offrire un fondo di garanzia di 20 milioni alle società per fronteggiare eventuali contenziosi con il calciatori sul pagamento del contributo di solidarietà è del tutto inaccettabile. Si tratta di un sussidio ingiustificato e ingiustificabile. E oltre che di un provvedimento che travalica le competenze della Figc, la quale non ha il compito di risanare le finanze delle società di calcio. In questo periodo di crisi, famiglie e imprese stanno cercando di mettere faticosamente in ordine i propri conti, a volta a prezzo di seri sacrifici. Sarebbe imperdonabile se il calcio fosse l’unico settore in cui i problemi vengono risolti con generosi aiuti esterni.

Fausto Panunzi – docente di economia politica all’Università Bocconi di Milano

Tratto da www.lavoce.info

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