Lavoce.info: ecco perché il calcio litiga sui soldi dei diritti tv

La spaccatura registratasi nella Lega di serie A nelle ultime settimane sui criteri di ripartizione dei diritti tv negoziati su base collettiva non giunge inaspettata. I diritti tv costituiscono da anni la più cospicua fonte di ricavi delle squadre di calcio professionistico in tutti i paesi e tanto più nel nostro, dove fatica a imporsi […]


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La spaccatura registratasi nella Lega di serie A nelle ultime settimane sui criteri di ripartizione dei diritti tv negoziati su base collettiva non giunge inaspettata.

I diritti tv costituiscono da anni la più cospicua fonte di ricavi delle squadre di calcio professionistico in tutti i paesi e tanto più nel nostro, dove fatica a imporsi una effettiva diversificazione dei ricavi: il merchandising stenta a decollare a causa delle preferenze dei tifosi e di leggi di tutela del copyright non particolarmente efficaci; gli stadi di proprietà, da poter sfruttare sette giorni alla settimana, continuano a restare sulla carta, salvo rare eccezioni ancora in fase di realizzazione – leggi Juventus.

Per l’equilibrio sia economico che sportivo di una competizione diventa quindi essenziale stabilire regole di ripartizione adeguate della risorsa fondamentale.

COME SI DIVIDONO I DIRITTI TV

Prima però sarebbe opportuno porsi una domanda: regole adeguate per cosa? A forte componente perequativa, per garantire basi di partenza simili per tutti e quindi campionati più avvincenti? O che premino i team più competitivi e seguiti, incentivando così gli “investimenti” in talento, sia pure a rischio di emarginare progressivamente le squadre minori? (1)

Nel 1999, privilegiando quest’ultima impostazione, una legge aveva stabilito che ciascuna squadra era proprietaria dei diritti tv delle partite giocate in casa, che dunque poteva vendere individualmente all’emittente che offrisse di più. Come era logico aspettarsi, ciò aveva determinato in pochi anni una fortissima divaricazione tra le big e le “provinciali”, che erano giunte a ottenere (intorno al 2005/2006) compensi inferiori dell’ordine di 10 volte a quanto garantito alle squadre più blasonate.

Questa, insieme ad altri fattori, era stata però riconosciuta come una delle determinanti di “Calciopoli”: lo strapotere economico di poche squadre creava una sudditanza economica delle piccole e degli altri attori del sistema, quali agenti e arbitri. Non è un caso se proprio sull’onda di quello scandalo – guardando anche a quanto si faceva nei maggiori campionati europei, in ciascuno dei quali operano meccanismi di perequazione – si è deciso di tornare alla contrattazione collettiva, che ovviamente ha determinato una forte redistribuzione di risorse a favore delle squadre minori.

Si è cioè riconosciuto che le società di calcio professionistico sono sì società di capitali a tutti gli effetti (e come tali in legittima competizione tra loro, non solo sotto il profilo sportivo), ma che il “mercato” in cui operano deve essere adeguatamente regolamentato, perché l’eventuale strapotere di una (o di un gruppetto) di esse non determini via via l’estinzione di tutte le altre, e quindi necessariamente alla fine anche di quella (o di quelle) più efficienti, per mancanza di avversari con cui competere.

Paradossi a parte, è stato in base a considerazioni di questo tipo che – sul modello di quanto avviene ad esempio in Inghilterra – il decreto legislativo 9/2008 è tornato a stabilire che i diritti tv siano di proprietà della Lega calcio, che, dopo averne negoziato la cessione in esclusiva con le emittenti, ripartisce il ricavato per il 40 per cento in parti uguali per tutti, per il 30 per cento in base ai risultati sportivi dal 1946 a oggi, per il residuo 30 per cento in base al “bacino d’utenza”.

È sull’individuazione concreta dell’ultimo dato che si è prodotta la spaccatura, giacché il bacino di utenza (che nella misura del 5 per cento è fissato sulla base della popolazione del comune di riferimento della squadra) deve essere determinato per il 25 per cento “sulla base del numero di sostenitori di ciascuna squadra, come individuati da una o più società demoscopica incaricate dalla Lega secondo i criteri da questa fissati”. Sull’indicazione dei criteri la spaccatura è stata radicale: da una parte Juventus, Inter, Milan, Napoli e Roma, a sostenere (potendo contare sulle tifoserie più ampie) una nozione di sostenitore “monogamico”, dall’altra il resto della serie A, che ha dettato (godendo ovviamente della maggioranza nella assemblea di Lega) criteri molto più inclusivi, allo scopo di comprendere semplici simpatizzanti e tifosi occasionali e dunque attenuare le differenze con le big. (2)

IL MODELLO DELLA SUPERLEGA

I conti della disputa sono presto fatti: con il ritorno alla contrattazione collettiva l’importo pattuito dalle emittenti con la Lega per il prossimo campionato è stato di 805 milioni, rispetto ai 673 per quello in corso, l’ultima stagione in cui era possibile stipulare contratti individuali. (3) Il nuovo regime ha da un lato garantito 132 milioni in più, dall’altro ha fatto sì che un quarto del monte ricavi totale (200 milioni) debba essere attribuito secondo il “sondaggio di popolarità” contestato.

Il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, è giunto a minacciare l’uscita della sua squadra dal campionato, facendo intendere di non essere il solo a pensarla così. (4)

Il problema è che anche dopo il “divorzio” dalla serie B, la Lega di serie A comprende soggetti molto eterogenei tra loro, e che soprattutto si muovono su mercati solo in parte coincidenti. Un’eccessiva perequazione rende forse avvincente il campionato italiano, ma rende difficile che le squadre italiane nel medio lungo-periodo siano davvero competitive in Champions League, dove si confrontano con rivali che possono contare su altri livelli di risorse, avendo assimilato sino in fondo la radicale modificazione del modello di business dettata da alcuni shock esogeni che risalgono ormai a quasi venti anni fa. (5)

Ciò dunque ripropone il quesito da cui siamo partiti: regole adeguate per cosa?

È forse arrivato il momento per il calcio italiano di decidere cosa fare da grande, nella consapevolezza che il modello della Superlega che oggi si torna a evocare comporterebbe una modificazione radicale dell’intero sistema sportivo e non potrebbe prescindere da uno stretto collegamento con altre realtà internazionali, richiedendo dosi di regolamentazione analoghe, se non addirittura più massicce, di quelle che disciplinano lo status quo. (6)

Diego Corrado

(1) In letteratura il tema è oggetto di numerosi studi. Si veda tra i tanti S. Falconieri, F. Palomino, J. Sakovics, “Collective vs Individual Sale of TV Rights in League Sports”, in Journal of European Economic Association, Vol. 2, September 2004, p. 833–862.

(2) Contro la delibera dell’assemblea della Lega del 22 aprile scorso, che ha dettato i criteri incriminati, Juventus, Inter, Milan, Napoli e Roma hanno dapprima presentato ricorso alla corte federale della Figc, che lo ha respinto; poi hanno presentato istanza di sospensione all’alta corte di giustizia sportiva del Coni, che il 10 maggio ha accordato la sospensiva. La prossima assemblea di Lega sull’argomento è fissata per il 16 maggio. Nel frattempo, nella seduta dell’11 maggio, il consiglio di Lega ha dato il via all’esecuzione della delibera contestata, con un voto che ha ulteriormente acuito la spaccatura.

(3) Questo solo dato richiederebbe un’analisi a parte. Se ipotizziamo che l’aumento sia dovuto esclusivamente alla modifica del regime di contrattazione (escludendo che il prossimo campionato sia stato valutato come più appetibile per altre ragioni), sarebbe l’indicazione dell’estrazione di una rendita monopolistica da parte della Lega, che come tale determina una diminuzione del benessere per i “consumatori” di calcio. Ma se al tempo stesso ipotizziamo che questi siano gli stessi tifosi che beneficiano di un’accresciuta incertezza della competizione derivante dalla maggiore equità nella ripartizione delle risorse, il risultato netto diventa estremamente difficile da stabilire.

(4) “Valuteremo tutte le ipotesi, anche quella di un’uscita dalla Lega. Stiamo dialogando e abbiamo una posizione compatta con Inter, Milan, Napoli e Roma”, Il Sole-24Ore, 12/5/2011, p. 22.

(5) Gli shock esogeni sono la diffusione della pay tv e la completa liberalizzazione del mercato dei calciatori conseguente alla sentenza della Corte di giustizia Ue sul caso Bosman.

(6) Il tema è troppo ampio per essere sviluppato in questa sede, dove ci si deve limitare a ricordare che il sistema delle leghe professionistiche negli Usa, spesso citato a modello dai fautori della Superlega, prevede barriere all’entrata pressoché invalicabili e criteri di ripartizione delle risorse in cui il ruolo del mercato è limitato solo ad alcune voci di entrata e rigide regole per il reclutamento di nuovi talenti.

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