É vero: qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure. La genoanità è fatta di voli pindarici: è Anfield Road e Padova, è l’alto e il basso che lottano, che cercano di prevalere l’uno sull’altro e spesso ci riescono. In vista di Pisa-Genoa, Pianetagenoa1893.net ha intervistato in esclusiva Benedetta Signorini, figlia dell’indimenticato Capitano rossoblù.
Per lei, chi è stato papà? «Un grande uomo al quale mi legava un rapporto speciale che ancora oggi mi fa parlare di lui con molto entusiasmo. Mi ha insegnato i veri valori della vita, dunque non soltanto quelli sportivi come il rispetto dell’avversario, dei tifosi e della maglia. Papà, inoltre, mi ha trasmesso la genoanità».
Nelle case di ciascun genoano c’è una maglia numero 6. «Talvolta mi chiedo come sia possibile (ride, ndr). Papà ha lasciato un grande ricordo, come uomo e come calciatore: se dopo vent’anni i tifosi del Genoa, e non solo, hanno ancora memoria di lui significa che sto portando avanti la sua figura e i suoi valori nel modo che avrebbe voluto. Non si negava a nessuno sia quando gli chiedevano una foto oppure quando andava a pesca o trascorreva una giornata in spiagga giocando a calcio o pallavolo con gli amici».
In vista del 6 novembre ci saranno degli eventi per il ventennale dalla scomparsa di Gianluca Signorini? «Sì, senz’altro il capitano sarà ricordato con il sorriso perché era una persona felice, gioiosa e con distinta dalla voglia di vivere. Se a Genova organizzeremo qualcosa lo faremo per celebrare il meglio e le cose belle che ci ha lasciato».
Tra il meglio c’è anche quella corsa tra i tifosi sotto la Nord. «Signorini era davvero uno di loro, lo era con il cuore e con la testa, ed ebbe modo di esprimerlo una volta certo della rimonta dell’Inter sul Padova nella giornata che ridiede la certezza dei play-out al Genoa. Era giusto che papà festeggiasse assieme alla famiglia rossoblù della quale sono onorata di far parte».
Soffrì per la retrocessione sul neutro di Firenze? «Tantissimo, per giorni e giorni: da capitano si sentiva il principale responsabile di tale sconfitta e so che voleva lasciare il Genoa in Serie A. Diede tutto ma, come soleva ripetere, le partite si vincono e si perdono e quella volta andò malissimo per il Grifone».
Non solo l’uomo ma anche il calciatore imprescindibile per Scoglio e la rinascita del Genoa. «Fu il nome che il mister fece a Spinelli promettendogli la promozione in Serie A che non a caso conquistò nel 1989 con l’ultima giornata che si giocò proprio all’Arena Garibaldi di Pisa. Papà era un difensore maestoso, alto e ben piazzato: incuteva timore agli avversari, non era facile sorpassarlo. I suoi meriti sportivi sono di tutto rispetto altrimenti non sarebbe diventato il calciatore che ricordiamo».
Negli ultimi vent’anni sono stati compiuti passi in avanti per la SLA? «La gente conosce l’esistenza di questa malattia, papà fu il primo calciatore a uscirne allo scoperto: prima non se ne sentiva parlare. Da allora ci sono stati dei miglioramenti sulla convivenza con la malattia ma non si può dire altrettanto sulla prevenzione e sulla cura. Se la ricerca dovesse scorprire qualcosa di importante, sarei ancor più fiera di mio padre poiché avrebbe minimamente contribuito al progresso».
Che cosa rappresenta Pisa-Genoa per la famiglia Signorini? «Mio papà iniziò e finì al Pisa, nel mezzo raggiunse l’apice del professionismo al Grifone dove giocò per sette anni: per noi non sarà mai una partita come le altre. Entrambe le tifoserie non meritano la Serie B perché hanno fede, passione e un attaccamento incredibile ai propri colori. Domani i capitani scenderanno in campo con il nostro cognome stampato sulla maglia n. 6: sarà uno spettacolo emozionante nonostante la capienza ridotta dello stadio».
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