Quella maledetta spirale che dal dopoguerra soffoca il brand del Grifone

Dunque, ci risiamo. L’appassionante ma anche soffertissima storia del Genoa del dopoguerra non manca di ripetersi anche questa volta. Ogniqualvolta il Grifone sporadicamente riesce a spiegare le sue ali verso l’alta classifica con squadre degne di rinverdire gli antichi allori e far sognare i suoi tifosi, immancabilmente queste vengono subito smantellate per ripiombare nell’anonimato quando […]


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Dunque, ci risiamo. L’appassionante ma anche soffertissima storia del Genoa del dopoguerra non manca di ripetersi anche questa volta. Ogniqualvolta il Grifone sporadicamente riesce a spiegare le sue ali verso l’alta classifica con squadre degne di rinverdire gli antichi allori e far sognare i suoi tifosi, immancabilmente queste vengono subito smantellate per ripiombare nell’anonimato quando non addirittura nelle serie inferiori. Quindi ecco le contestazioni ed i comunicati di sfiducia dei tifosi, l’atmosfera intorno alla squadra che diventa una polveriera ed un ambiente rossoblù che fa di tutto per farsi del male e cadere così ancora più in basso, molto spesso riuscendovi.

E’ questa una spirale maledetta, una sorta di maledizione che come un contrappasso ha controbilanciato una storia altrimenti altisonante e, per certi versi, impareggiabile. Un sortilegio che dagli anni Cinquanta in poi non si è mai riusciti a spezzare, e che torna ciclicamente alla ribalta non appena il Genoa riesce a rigettare qualche luccichio sui grandi trofei che vinse nella sua mirabolante storia di quando il calcio conservava ancora i suoi valori sportivi più veri.

Una catena negativa fatta quindi di dure contestazioni dove però nemmeno i tifosi hanno mai osato definire con chiarezza cosa effettivamente volessero dal Genoa, ossia quale dimensione dovesse raggiungere nel panorama del nostro calcio.

Per contro, le varie gestioni che si sono succedute nel corso dei decenni hanno invece sempre cercato di giustificare il loro operato affermando che il Club non poteva competere con le più grandi squadre sia per bacino di utenza che per incassi, forse cercando di persuadere la piazza alla rassegnazione e così sfruttare appieno l’indubbia visibilità nel condurre una società gloriosa come il Genoa, sia pure tra la serie A e la Serie B.

Ecco, la prima riflessione sta proprio nel fatto che tutto l’ambiente rossoblù dovrebbe anzitutto prendere consapevolezza di quali potenzialità avrebbe il Club più antico d’Italia nello sfruttare il suo fortissimo brand, per incrementare un già cospicuo bacino d’utenza locale e soprattutto acquisire simpatizzanti in tutta Italia.

Se Juventus, Milan, Inter, Napoli, Roma e forse Lazio sono le squadre riconosciute come “grandi”, cioè quelle che si dividono in misura maggiore gli introiti dei diritti televisivi in base al famoso e discutibilissimo sistema di calcolo sul bacino di utenza dei simpatizzanti sparsi in tutta Italia, squadre come Fiorentina, Torino, Genoa, Bologna, Palermo, Sampdoria, Cagliari e Bari, pur appartenendo a città molto importanti non riescono a percepire gli stessi introiti goduti dalle cosiddette “grandi” proprio perché al confronto i simpatizzanti nel resto del Paese risultano in un numero nettamente inferiore.

Ma tra queste, Genoa e Torino sono quelle col brand più forte, quelle che hanno fatto direttamente (il Genoa) o indirettamente (il Torino) la storia del calcio Italiano fin dai primordi e che, insieme al Bologna, contano il maggior numero di scudetti vinti.

Soprattutto nel caso del Genoa, il ruolo di primigenie del nostro campionato e quello del Club potenzialmente più vicino alla conquista della Stella – traguardo raggiunto soltanto da tre squadre in Italia – devono rappresentare dei valori assolutamente determinanti nello sviluppo del proprio appeal e nell’acquisizione di nuovi simpatizzanti anche al di fuori della propria Regione di appartenenza.

Certo, per fare questo servono grandi investimenti e soprattutto una tale e forte programmazione che renda possibile allestire squadre sempre più competitive, che nel corso degli anni possano alzare gradatamente l’asticella dei propri obiettivi fino ad inserirsi nella lotta al vertice della classifica.

E’ esattamente quello che è riuscita a fare oggi la Fiorentina, squadra di alto lignaggio per la Città d’arte e di cultura che rappresenta – senza però possedere le stesse tradizioni sportive del Genoa -, e quello che invece sembrava riuscisse a fare ieri Enrico Preziosi quando rilevò il Club più antico d’Italia.

Infatti nessuno dimentica in quale situazione versava il Vecchio Grifone dopo l’era di Aldo Spinelli, del 4° posto e della Coppa Uefa. La società era vicinissima al baratro del fallimento, assente dai palcoscenici della massima serie da più di otto anni, ormai in Serie C ed in preda ad una involuzione ambientale che rischiava di essere letale per la sua stressa sopravvivenza.

Dopo il ripescaggio in Serie B e la fantastica rincorsa alla Serie A del “ primo “ Milito, l’entusiasmo in Città tornò ad esplodere, e le gravi vicende di Genoa-Venezia furono dai più perdonate per la doppia promozione dalla C alla A e per quello strepitoso campionato del “secondo“ Milito che portò i rossoblù a sfiorare la Champions.

Quello era il momento in cui Enrico Preziosi avrebbe dovuto diventare l’uomo del destino del Genoa. L’uomo destinato a spezzare la spirale, a sfatare il sortilegio e a distruggere la catena costruendo con competenza una squadra da sogno senza gli introiti delle “grandi“.  Bastava pochissimo o, se preferite, tantissimo. Bastava completare l’organico di quella squadra con qualche giocatore di qualità ed ecco che il Grifone sarebbe certamente stato in grado di spiccare il volo verso vette che nessuno mai avrebbe osato menzionare, mettendo in moto quel meccanismo di consapevolezza della piazza e di valorizzazione del “brand Genoa“ in campo Nazionale forse decisivo per il salto di qualità del Club più antico d’Italia.

Ed invece ecco la grande delusione. La squadra venne smantellata, gli idoli della tifoseria furono venduti neppure con altissime plusvalenze, il numero degli abbonati tornò a diminuire progressivamente dopo aver superato abbondantemente quota 23 mila, il malcontento cominciò a riaffiorare nella tifoseria e negli anni seguenti il Genoa fu protagonista in negativo di due salvezze miracolose conquistate proprio sul filo di lana nell’ultima partita di campionato. 

Il tutto condito da un comportamento di Preziosi che non riscuoteva più la credibilità di gran parte della tifoseria. Cominciarono le interviste in cui il Presidente definiva la piazza “provinciale“, dove si vantava di aver scoperto o rivalorizzato tanti giocatori poi tutti puntualmente rivenduti alle “grandi“ squadre, e dove sottolineava di essere l’unico presidente del dopoguerra capace di mantenere il Genoa in Serie A per dieci anni consecutivi, come se questo pur innegabile merito dovesse poi essere il massimo obiettivo a cui il Club potesse aspirare.

E ad oggi, a fronte di intrecci di mercato sempre più stretti con le squadre di Milano ed in particolare col Milan, dove le numerose cessioni il più delle volte lasciano perplessità sulla consistenza delle plusvalenze, Preziosi, invece di intraprendere all’interno della Lega Calcio, come i tifosi rossoblù si aspettano, una politica a sostegno delle società non facenti parte del novero delle cosiddette “grandi“, spesso adotta le linee indicate dalle squadre potenti, contribuendo in pratica al mantenimento di un sistema che ancor di più in questi ultimi anni vede relegare ai margini le società di grandi città, ma prive di quei discutibili bacini di utenza così come sono definiti e concepiti dagli interessi legati alle televisioni.

In sostanza, il tifoso più importante non è più lo spettatore che paga il biglietto allo stadio, bensì quello che pigia un tasto sul telecomando della tv.

Nel frattempo il Genoa ormai da anni è diventato una sorta di porto di mare, la squadra ad ogni sessione di mercato, sia essa estiva o invernale, viene rovesciata come un calzino e Gasperini, l’unico degli allenatori della gestione Preziosi ad essere riuscito a convivere più di ogni altro con questa situazione, aggancia il sesto posto finale e regala ancora una volta una squadra da sogno capace di ottenere il passaporto per l’Europa. Passaporto che però viene clamorosamente negato dall’Uefa per alcune inadempienze finanziarie nel tesseramento dei giocatori stranieri.

E quindi ecco arrivare una nuova, grande e cocente delusione per i tifosi rossoblù, che per ironia della sorte si vedono sostituiti in Europa League addirittura dalla Sampdoria, che invece non ne aveva diritto alcuno.

Ma anche qui, quando basta poco per rinforzare una squadra in grado di regalare ancora sogni alla tifoseria, ecco arrivare puntuali le cessioni eccellenti a partire dal mercato di gennaio: Matri, Pinilla e poi ancora Bertolacci (la cui comproprietà doveva essere risolta l’anno prima), Iago Falque e Kucka rappresentano quasi tutti i principali protagonisti di una fantastica galoppata che portano il Grifone a respirare ancora aria d’Europa e che non vengono sostituiti adeguatamente dai nuovi arrivati.

Col risultato, in linea con quella solita spirale maledetta del dopoguerra, di essere oggi nuovamente invischiati nella lotta per non retrocedere ed al centro della contestazione dei tifosi.

Ora, il presidente afferma di essere disposto a passare la mano  a chi possiede mezzi economici più adatti per portare definitivamente in alto il Genoa. Dice che dopo anni di seri problemi economici la società è in via di risanamento e quindi più appetibile per potenziali investitori.

E allora ecco le domande che si pone una grossa parte della tifoseria rossoblù: quanto è effettivamente reale l’intenzione del presidente di passare la mano? Veramente ha deciso di lasciare una squadra come il Genoa, in grado di garantire comunque un alto livello di visibilità nelle sue attività imprenditoriali e negli ambienti ”che contano“, oppure sono solo dichiarazioni destinate a calmare la piazza, mentre fa il possibile e l’impossibile per rimanere ben saldo alla guida delle società più antica d’Italia?

Sono domande inevitabili soprattutto quando si inizia una trattativa con un imprenditore del livello di Giovanni Calabrò, ed in particolare quando questa trattativa è persino “auspicata“ nientemeno che dal Presidente della Regione Liguria Giovanni Toti in un’ottica di valorizzazione dei beni storici e culturali della nostra Città, di cui fa appunto parte a pieno titolo il Genoa Cricket and Football Club 1893.

Dire che non si vede l’ora di cedere il club a qualcuno in possesso delle giuste credenziali, conoscere e definire Calabrò come un interlocutore serio, ammettere che i tempi per la cessione di parte delle azioni della società possano essere relativamente brevi, e poi dopo qualche settimana dichiarare in esclusiva a Telenord che l’operazione è tecnicamente molto complessa, e quindi di difficile riuscita, perché la trattativa riguarda anche la Fingiochi che a sua volta controlla direttamente il Genoa, significa alimentare ancora dubbi in una situazione ambientale già di per sé molto tesa per i brutti risultati sportivi fin qui raggiunti dalla squadra.

Preziosi dice giustamente che il Genoa è dei genoani, nel senso che lui amministra un bene di sua proprietà ma il cui valore sportivo è della passione popolare di centinaia di migliaia di persone e di una storia che riconduce direttamente all’origine del calcio italiano.

Ed è proprio in base a questo valore sportivo – che differenzia una società di calcio da una qualsiasi altra azienda a scopo di lucro – che sarebbe opportuno che il presidente spiegasse in una conferenza stampa cosa vuole realmente fare del club più antico d’Italia.

Se cioè presentare un programma dettagliato e con finanziamenti ben definiti, secondo il quale portare il Genoa in pianta stabile nella parte alta della classifica, ricalcando il “modello Fiorentina“ e valorizzandone il brand in tutta Italia; oppure facendo chiarezza sulle ultime trattative per la cessione della società, spiegando quale tipo di difficoltà sono effettivamente insorte; oppure ancora comunicando che la sua reale intenzione non è quella di vendere, ma semplicemente di andare avanti con le sue stesse risorse e programmazione usate finora, andando però a cozzare coi desideri di una tifoseria indistintamente e profondamente innamorata del Vecchio Grifone.

A questo punto una cosa importante è che tutta la tifoseria da una parte abbandoni gli eccessi, nei modi e nei toni, nel manifestare la sua legittima insoddisfazione per i risultati che sta avendo oggi il Genoa, ma dall’altra abbia la consapevolezza che le enormi potenzialità del “brand Genoa“ dal dopoguerra non sono mai state sfruttate appieno, e quindi chiedere con civiltà ma con determinazione al presidente Preziosi di varare una politica societaria supportata da idonei investimenti affinché tutto ciò finalmente avvenga.

Oppure chiedere eventualmente di passare la mano a chi abbia la possibilità e la volontà di farlo.

L’altra cosa importante è invece che il Presidente riconosca che la sua prima missione nel Genoa, cioè quella di riportare il Grifone alla dignità nel calcio italiano è perfettamente riuscita ma anche finita.

Il Genoa oggi è come un’auto di formula uno che è stata pazientemente e abilmente rimessa a punto, riportata in pista e finalmente rimessa in grado di gareggiare con le sue vecchie rivali, ma che deve ancora trovare il sistema per premere finalmente a fondo sull’acceleratore.

Ora, è lecito e giusto che un imprenditore investa grosse risorse in una squadra di calcio ed insegua i propri ritorni in fatto di visibilità ed immagine, che regali cioè soddisfazioni sportive ai tifosi e alla città e da ciò ottenga promozioni importanti a favore delle proprie attività. Da una parte dà, e dall’altra ottiene.

Ma come in tutte le cose anche questi progetti hanno un termine, in base al quale essere alimentati con nuovi e più importanti obiettivi oppure essere ceduti ad altri, che subentrano con altre idee e rinnovate risorse.

A questo punto il presidente Preziosi è all’interno della sua auto di formula uno che così abilmente, nonostante qualche incidente di percorso, è riuscito a restaurare e a rimettere in pista.

Ora la piazza lo ringrazia, ma gli chiede di premere sull’acceleratore o lasciare che altri lo facciano.

Sta a lui decidere se premerlo direttamente, ma rischiando seriamente di andare a sbattere se non fosse in grado di mantenere tale velocità.

Oppure dire a tutti: “Signori, ho preso la vostra auto e pazientemente l’ho restaurata e reso competitiva per i gran premi della Serie A. Rimarrò nella vostra storia per quello che vi ha tolto dai box e probabilmente anche dalla rottamazione, ma adesso scendo e lascio che qualcun altro vada a vincere per voi “. 

In questo modo Enrico Preziosi diventerà per sempre un vero tifoso del Genoa Cricket and Football Club.

Giancarlo Rizzoglio

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