Genoa-Milan: Goran vs Zlatan è duello senza età

Pandev non ha mai segnato così tanto, Ibra è tornato in Italia a furor di popolo.

Pandev Nicola Genoa
Mister Nicola e Pandev (foto di Genoa CFC Tanopress)

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Un anno, nove mesi e 26 giorni separano cronologicamente Goran Pandev e Zlatan Ibrahimović. Oltre 2200 km collegano geograficamente Strumica, ovvero la zona sudorientale della Macedonia del Nord, dalla terza città svedese per numero di abitanti, Malmö. Quattordici centimetri distano tra i 184 di Goran e i 195 di Zlatan. I due, semmai, sono accomunati dall’origine slava del nome: Zlatan da zlato, “oro”, Goran da gora, “montagna”, da non confondersi con lo svedese Göran che è invece la traslitterazione nordica di Giorgio.

Anagrafe a parte, ad accomunare Pandev e Ibrahimović esiste un dato statistico curioso: entrambi hanno segnato una rete da almeno trenta metri nella porta destra dello stadio Via del Mare di Lecce. Ibra il 16 gennaio 2011 beffò Rosati prima che l’ex genoano Rubén Olivera firmasse l’1-1. Goran l’8 dicembre scorso, estrasse dai trenta metri un pallonetto da cineteca che punì l’uscita di Gabriel dall’area di sua competenza.

La classe non è acqua. L’età non c’entra: trentasei primavere per Goran, nato il 27 luglio 1983, trentotto per Zlatan, nato il 3 ottobre 1981. Il primo impiegò tre anni a trovare il primo gol in rossoblù ma ora s’è preso sulle sue spalle il reparto offensivo del Genoa e – escludendo i 7 rigori di Criscito – con 6 reti è il miglior marcatore stagionale del Grifone. Il paradosso è doppio: non solo Pandev non è prima punta, ma le due prime punte giovani (Favilli e Pinamonti, 42 anni sommati) hanno segnato due sole volte in Serie A. A scapito dell’età, di Pandev il club più antico d’Italia ha un gran bisogno.

A 37 anni da compiere il prossimo 27 luglio, Goran non ha mai segnato così tanto a Genova. Nel 2015/16 visse il suo annus horribilis, 15 presenze e buio. Nel 2016/17 tre reti in 20 gare compensate dalle 4 su in 3 presenze di Coppa Italia. Nel 2017/18 cinque reti in 32 gare mentre lo scorso anno, nel torpore del post Piątek, 4 reti e 2 assists spinsero il Grifone alla salvezza. Quest’anno la sua partenza è stata quella di un diesel: zero reti prima del 26 ottobre, sei nelle sue successive dodici presenze tra cui – di capitale importanza – il velenoso tiro-cross valso tre punti il 9 febbraio, sul Cagliari al Ferraris.

Domenica, alle 12.30, Goran si troverà davanti un suo alter ego generazionale. Ai tempi dell’Inter i due si scambiarono il testimone (lo svedese partì nell’estate 2009 in direzione Barcellona, il macedone arrivò a Milano nel gennaio 2010 in tempo per vincere la Champions League che per volere della sorte manca nel palmarès di Kung Ibra), oggi condividono la fiducia dei due allenatori, Nicola e Pioli, che dipendono dalla classe dei loro attempati attaccanti. Ibrahimović è tornato al Milan nell’euforia invernale, per svoltare una stagione iniziata con la bocciatura di Krzysztof Piątek, a un anno esatto dal suo acquisto. «Ho deciso di tornare per far saltare San Siro – si presentò – magari anziché correre posso calciare da quaranta metri».

Mino Raiola dipinse il ritorno a Milano di Ibrahimović come l’ultima tourneè dei Queen. Comprensibile: i postumi di una rottura del legamento crociato anteriore e posteriore attenterebbero alla carriera di chiunque. Sette mesi dopo e una finale d’Europa League saltata nella sua Svezia, a Solna, Zlatan era già ad allenarsi. Oggi ha fatto rabbrividire la sua ex Inter con un gol e un assist nel derby della Madonnina, è tornato decisivo manco il miglior Benjamin Button. Una spiegazione la diede lui stesso, nel gennaio 2019: «Sono come il vino, più invecchio e più miglioro». Goran Pandev ne sa qualcosa.

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