E’ sul finale della gara al Ferraris che si concentra in particolar modo l’analisi che trova posto oggi, sulle colonne del Corriere dello Sport. A 35 anni, in uno stadio che fino al 2012 plaudiva il suo nome, Rodrigo Palacio si è concesso il lusso di decidere una partita che potrebbe rivelarsi cruciale per il prosieguo del tecnico Juric sulla panchina rossoblù: un fendente diagonale, quello dell’argentino, quello che ha spezzato i cuori ad una Nord che pur in contestazione non ha smesso di star vicina alla squadra. El Trenza ha firmato una performance di primissimo pelo, fatta di corsa e intensità, ma soprattutto di quella non-esultanza dopo la rete che ha affossato il Grifone.
Il Bologna, entrato meglio in campo, pareva giocare con più disinvoltura e infatti il calcio rapido voluto da Donadoni ha messo in crisi la formazione di Juric: ancora protagonista Palacio, come detto, intorno al quale ruotavano la punta Petkovic e il fantasista Verdi, autori delle due principali chances del primo tempo. La prestazione del Genoa, nervoso e poco preciso, si tramutava invece in un calcio alla rinfusa, la cui unica soluzione era affidarsi ai tiri dalla distanza di Veloso: uno deviato in angolo da un super Mirante, l’altro terminato ben lontano dallo specchio. A nulla è servito l’ingresso in campo di Galabinov, mentre invece Lazovic (subentrato a Rosi) ha dato brio alla manovra alimentando l’azione sulla quale Mirante si è prodigato prima su Palladino e poi su Veloso. Due paratone, in seguito alle quali Palacio è stato smarcato benissimo e ha trafitto Perin: lezione durissima per un Genoa poi gagliardo, che nel finale ha pure colpito un palo con Galabinov. A quel punto, coi felsinei racchiusi in una difesa a cinque, a nulla è servito l’ultimo assalto. Ancora una sconfitta, ancora una (anzi, due) settimane palpitanti attendono il Grifone e il suo tecnico Juric. Ammesso che resti lui.