Nelle settimane conclusive della stagione i tifosi spesso si lamentano di risultati “strani”. Partite pseudo-vendute, accordi di sottobanco, sintonie silenti, occhiolini tra presidenti prima del fischio d’inizio. Una sarabanda di vedute distorte che danneggia il calcio italiano, che già gode di poco fascino all’estero. A queste, nella stranissima stagione del Genoa, si aggiunge in coda la vendetta del Torino. Un’aggravante del tutto inedita che graverebbe, secondo molti, sulla partita di domani.
La ricostruzione dei fatti: il Toro, guidato da due allenatori dal trascorso doriano come Mihajlovic e Lombardo, vuole mandare all’inferno il vecchio Grifo, impelagato da tempo nei meandri della classifica. Lo farà per lavare l’onta della retrocessione del 2009, e quel 2-3 firmato da Milito e il resto della banda Gasperini.
Non è forse pretenzioso architettare tutto questo? La cultura del sospetto fa male, nella vita come nel calcio. Alimenta dubbi, manda in estasi i dirimpettai bisagnini, confonde e azzera la cultura sportiva. Il Torino, senza obiettivi impellenti, scenderà a Genova per giocare una partita di calcio, come altre trentasei ne ha disputate in stagione. Di cosa avere paura: dei fantasmi del passato? Delle rivalse di piazza? Del tempo che sembrerà non scivolare via in caso di punteggio favorevole, o correre veloce come Bolt in caso di mala sorte, semmai.
Genoa-Torino non ha bisogno d’altro. Ci sarà uno stadio con 30mila persone, roba da far invidia ai derby o alle gare con la Juventus. Un pomeriggio di sole, e una tifoseria che da sempre condivide con il Grifo tanta jella. Il vero granata non odia il vero genoano, e viceversa. Tutti devono avere il coraggio di compiere un passo in avanti verso una nuova mentalità, abbandonando quella retrograda e speculativa che ancora oggi strozza lo sport più bello del mondo.