Pinamonti, Frendrup e Thorsby: la tripla intervista

Il norvegese: «Frendrup tra i migliori della Serie A nella difesa della palla»

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Tripla intervista ad Andrea Pinamonti, Morten Frendrup e Morten Thorsby da parte di “Cronache di Spogliatoio”, già anticipata con il gesto virale di mister Vieira. Di seguito, la versione integrale.

Andrea Pinamonti

«Sono un privilegiato perché i miei genitori mi hanno dato tutto ma senza imporre niente, li ringrazierò per sempre. A otto anni ero a un bivio: calcio o tennis. La passione per il primo ha prevalso. Ho lasciato Cles a 14 anni, ma dagli 8 ai 13 ho fatto il settore giovanile del Chievo Verona: tre ore, tra andata e ritorno, per quattro volte a settimana, è stato un bel sacrificio».

«Icardi, Lautaro e Lukaku mi hanno insegnato tanto, dopo l’anno dello scudetto all’Inter mi sono sentito migliore. Però, ogni persona ti può aiutare a migliorare» aggiunge Pinamonti.

«Thorsby e Frendrup hanno numeri fuori dal normale dal punto di vista della corsa. Il paragone con loro è alquanto fuori luogo»

«Se un domani farò l’allenatore, metterò l’attaccante nelle migliori condizioni di segnare. Ciascuno di noi ha il suo punto di vista – spiega Pinamonti – Vieira? Ci ha portato tanti punti, poi una mentalità molto aperta e serenità di cui avevamo bisogno. Il mister scherza molto con noi nei tempi liberi tra un allenamento e l’altro».

«Il Ferraris è tra i migliori stadi in Italia, i nostri tifosi ci spingono a fare qualcosa di più nei momenti di maggiore difficoltà. So che devo fare tanto lavoro a livello difensivo perché il momento della squadra è questo e sicuramente non mi tiro indietro. Negli anni ho capito quali sono le corse più o meno utili, nel calcio moderno vale anche per gli attaccanti. La mia prima esperienza al Genoa è stata la peggiore della carriera: ero schiacciato da aspettative esagerate, sicuramente non generate da me, pur essendo soltanto ero al secondo anno in A. L’ambizione era l’Europa, ma ci salvammo all’ultima giornata. Preferivo giocare fuori casa che in casa; adesso è il contrario, non vedo l’ora di giocare al Ferraris».

«Non ho un mental coach, ma sono favorevole. Se mi dicessero che per arrivare in Nazionale serve il mental coach, lo prenderei subito… (ride, ndr). Uso i social, ma sono un terreno di eccessiva cattiveria che toglie troppe energie».

Morten Thorsby

«Ho fatto tantissimi sport, come sci alpino e sci di fondo e tennis, prima di fare calcio. È normale in Norvegia, per sei mesi abbiamo la neve in inverno: quando ero piccolo non c’erano campi in sintetico. Non ho fatto la scuola calcio e questo ti obbliga a capire i movimenti più in fretta. Forse è meglio così, i giovani giocano troppo in età giovane».

«La Norvegia ha una bella generazione di calciatori, però non abbiamo fatto niente. Dopo vent’anni abbiamo l’opportunità di andare a un Mondiale o a un Europeo: questi danesi ci sono sempre andati… (ride, ndr). È in costruzione un nuovo centro sportivo federale che è il simbolo di questa crescita nazionale, sarà così anche per una nostra squadra che probabilmente andrà direttamente in Champions League».

«Il mio giocatore preferito dell’Arsenal era Rosicky, adesso guardo molto Frendrup perché è tra i migliori della Serie A nella difesa della palla. Devo fare meno falli, penso di essere il calciatore più falloso della Serie A (ride, ndr): anche per questo studio il modo di arbitrare dei direttori di gara» spiega Thorsby.

«Il periodo più difficile è stato quando giocavo in Germania, all’Union Berlino: avevo tanti problemi fisici mai avuti prima. Lì ho capito che la salute viene prima di tutto. Da giovane ti senti immortale. Meno male che li ho risolti tutti. Da cinque anni mi sta seguendo un mental coach, penso che sia un aspetto molto sottovalutato: il mondo del calcio è pieno di pressioni».

Morten Frendrup

«Ho iniziato a giocare dopo mio fratello, i miei genitori erano giocatori di pallamano: il più severo era papà. Da piccolo guardavo giocare Gerrard e Kanté in Premier League».

«I miei numeri sono eccellenti? Merito dell’allenamento, teniamo alta l’intensità. Lavoro tanto con i professori atletici. I primi sei mesi al Genoa sono stati difficili, era la mia prima esperienza al di fuori della Danimarca: non avevo la famiglia e amici e dovevo confrontarmi con una nuova lingua. Lavoro da sette anni con un mental coach, è una delle parti fondamentali che mi hanno permesso di arrivare sin qui» conclude Frendrup.

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