C’è un linea comune che si desume dai primi atti di calciomercato del Genoa: Spors vuole ristrutturare l’organico con acquisti selezionati discostandosi dalla frettolosa logica grossista, se così si può definire, del portare a Genova una flotta di nuovi giocatori che inquinerebbe non solo la natura della squadra, già con Shevchenko alla ricerca di una precisa identità, ma anche i delicati equilibri dello spogliatoio. Un innesto alla volta, inesorabile e preciso come avviene nei ripopolamenti ittici, è meno impattante e più produttivo di una semina a pioggia eseguita ad minchiam, come direbbe Scoglio. Il general manager tedesco predilige lavorare sottotraccia e dopo Hefti, ufficializzato al varo del calciomercato, porta al Genoa Leo Skiri Ostigard, norvegese di fiordo, difensore classe ’99 con un centinaio di presenze tra i professionisti dei campionati di casa, d’Inghilterra e di Germania. Prestito dal Brighton senza alcuna forma di riscatto ma con l’intenzione di rivedersi a fine anno.
Seppur giovane, Ostigard conosce il significato della parola salvezza poiché vi è riuscito con due giornate d’anticipo al Sankt Pauli, club del quartiere a luci rosse di Amburgo, in Zweite Liga e l’anno scorso con la maglia del Coventry City in Championship, peraltro decidendo con una rete pesantissima la partita con il Rotherham. Spors lo ha preso al Genoa perché conosce la sua forte personalità sin da quando sedicenne bussò all’ufficio di Ole Gunnar Solskjaer, ai tempi allenatore del Molde e mai leggendario come l’unico Ole (Einar Bjorndalen) di Norvegia, asserendo di meritare di allenarsi con la prima squadra. Ostigard chiese al tecnico di essere sincero in caso di risposta negativa «altrimenti devo cercare un’altra squadra»: Solskjaer fu colpito da tanto carattere che non solo convocò il ragazzino tra i grandi per saggiarne il piglio ma lo rese capitano durante il ritiro invernale a Marbella. Al Sankt Pauli, invece, vinse entrambi i derby ma fece breccia nella tifoseria quando, senza saperlo, profanò la bandierina dell’Amburgo al Volksparkstadion sferrandole un calcio come fece Benedikt Pliquett, idolo dei Kiezkicker, dieci anni prima.
Il difensore di famiglia sportiva – sua sorella Rikke è nazionale di pallamano – non è un ribelle ma porta lo stigma della fermezza sul volto e nel fisico da stopper, a suo agio in una difesa a quattro oppure centrale in una linea a tre. Aggressivo sulla palla e potente nel gioco aereo, al Brighton presentò il suo credo senza panegirici. «To tackle and win duels», contrastare e vincere duelli. Ciò che accomuna Ostigard a Hefti è la spiccata personalità che il norreno sviluppa in area di rigore mentre il terzino svizzero-tedesco la esprime lungo la fascia, a differenza della timidezza che ancora inibisce Ghiglione e della poca qualità al cross di Sabelli: sono giovani ma non degli imberbi al ballo liceale, hanno vinto trofei e conseguito delle salvezze, sono altresì tipi caratteriali ma non rudi. Acquisire calciatori dall’indole quadrata, di scorza dura, e pronti a scendere in campo non farà che il bene del Genoa, troppe volte surclassato dagli avversari sul piano dell’agonismo. Sta nascendo, infatti, un Grifone dal sangue freddo, di tempra nordica-mittel europea, psicologicamente attrezzato per dare battaglia nell’imminente girone di ritorno più importante degli ultimi vent’anni, diciotto partite che possono cambiare la storia del Genoa.