Oltre quarant’anni di tv, quasi mezzo secolo di giornalismo raccontato in prima linea. Beppe Nuti, nerviese d’origine fiorentina, si racconta alla trasmissione “Reporter” di Goodmorning Genova condotta da Giovanni Giaccone: «Le tv locali erano l’alternativa alla Rai, le società facevano conoscere i propri calciatori, anche dieci per trasmissione. Non esistevano filtri. La notizia bisognava cercarla, adesso è tutto preparato. La tecnologia ci ha migliorato, anche nel nostro lavoro, ma il calcio è emozione e rapporti umani che, purtroppo, si sono raffreddati e distaccati».

Da Maradona a Grobbelaar, da sir Bobby Charlton a Stefano Tilli e Pizzolato, un volo storico che passa dal calcio all’atletica leggera: «Ho completato otto maratone e una cinquantina di mezze. Gli americani non sopportano che uno di loro non riesca mai a vincerla». Un’altra Genova, un altro calcio: «Frequentavo il Garden, al Lido, con Marcello Lippi. Una volta Spinelli convocò la stampa da Giacomo per presentarci Scoglio. Il Professore ci parlò di calcio muovendo i bicchieri sul tavolo partendo dal modulo di Vittorio Pozzo. Era un grande tattico pur non avendo avuto un passato da calciatore. Durante un’amichevole al Pio disputata tra giornalisti e dirigenti mi fece due tunnel. Sono contento d’aver vissuto quei periodi: nel calcio ora c’è troppa violenza, persino razzismo».
Nuti su Gigi Riva: «Lo vidi giocare dal vivo quattro o cinque partite perché nel settembre del ’69 feci il militare a Cagliari. L’Amsicora aveva due gradinate in legno, i tifosi battevano i piedi gridando “fòrza Cagliarri“: temevo di precipitare da un momento all’altro. Preferivo non mangiare in caserma, così andavo a pranzo in centro città dove era normale incontrare Nené, Domenghini o Riva con la sua inseparabile sigaretta». Le immagini di una vita professionistica con il microfono in mano scorrono e si fermano su due allenatori del Genoa: «Ho avuto un grande rapporto con Gianni Di Marzio, allenatore di un’epoca che non c’è più: incontrai suo figlio Gianluca nel 2005 e disse che mi conosceva perché quando viveva a Genova era solito vedermi in tv. Invece, quando Gilardino era un giocatore del Grifone andammo in una scuola genovese a incontrare i ragazzi: fu una bella iniziativa promossa dal Genoa».