Matuzalem: «Genoa nel cuore e sulla pelle. Fumavo nello spogliatoio»

«Ho la maglia rossoblù tatuata sulla mano. Un caffé e una sigaretta aiutano a fare gruppo»

Matuzalem Genoa
Francelino Matuzalem, ex centrocampista del Genoa

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Zeno, l’antieroe del romanzo di Svevo, aveva un vizio: fumava. Le sigarette possono essere delle piccole compagnie, se assunte in piccole dosi. Ne è convinto anche Francelino Matuzalem la cui carriera sembra uscita dalla penna di un autore ispirato: «Fumavo nel bagno degli spogliatoi. Lo facevo anche al Genoa, assieme ai miei compagni: un caffè, una sigaretta prima dell’allenamento e dopo i pasti. Cinque al giorno, non di più. Era un modo per fare gruppo e parlare degli avversari».

Matuzalem ha giocato per due stagioni nel Genoa, segnando un solo gol indimenticato dai tifosi. «Ho il Genoa nel cuore e… sulla pelle – spiega l’ex centrocampista – ho un tatuaggio rossoblù sul dorso della mano sinistra. I sudamericani si tatuano Maradona, Pelé o Ronaldo? Io, invece, ho preferito scegliere la maglia del Grifone. A Genova ho trascorso due anni indimenticabili, ho sentito un grande affetto perché in campo davo tutto. Genoa, Shakhtar e Lazio sono i club dove mi sono trovato meglio».

«In Serie A ho avuto poche difficoltà. Campioni come Totti, Del Piero o Zidane li affrontavo con esperienza, concedendogli un metro per leggere la loro giocata. È più difficile marcare Messi o Figo: in Liga mi hanno fatto dei dribbling che ancora adesso fatico a capire» ammette Matuzalem, ospite su Instagram di “Sotto Porta”.

Il brasiliano di Natal, città affacciata sull’Atlantico, chiarisce i brutti tackle del passato italiano: «Non devo chiedere perdono dei falli a Brocchi e Krsticic (assieme a Nenad, poi, ho vinto un campionato di B a Bologna). Entrambi sono nati da scontri di gioco. È più violento uno sputo in faccia. Al Saragozza un’entrataccia di Yaya Touré del Barcellona mi fece rivedere il campo dopo sei mesi: non pretesi mai le sue scuse».

Matuzalem approfondisce il profilo umano di due protagonisti che ha conosciuto durante la sua carriera internazionale: «Mircea Lucescu ha una grande cultura, potrebbe allenare ovunque perché parla cinque o, addirittura, sei lingue. Roberto Baggio, invece, mi ha emozionato: uno dei “10” più forti del calcio italiano. Umile, elegante, faceva la differenza anche a trentasette anni. Una volta, però, mi spaventò: una notte in ritiro con il Brescia sentii degli strani rumori provenire dalla camera di Roby, di fianco alla mia. Pensavo stesse male, sembravano convulsioi, invece pregava Buddha».

L’ultima battuta è sul futuro: «Ho conseguito la licenza Uefa A e Uefa B a Coverciano. Voglio aprire una scuola calcio in Brasile per togliere i ragazzi dalla cattiva strada. Mando un abbraccio all’Italia e agli italiani, in bocca al lupo».

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