Le stagioni del Genoa, dal decadentismo di Preziosi alla sferza di Blessin

Ciascun anno calcistico, come la natura, vive di almeno quattro momenti di cambiamento

Blessin Genoa
Mister Blessin (foto di Genoa CFC Tanopress)

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Nel calcio contano soltanto due statistiche: la classifica e i due numerini che solitamente campeggiano in alto a sinistra nelle grafiche televisive delle partite. Il resto è mera interpretazione di freddi dati, che sanno più di tastiera che di poa pratense, capaci di raccogliere l’intero anno sportivo senza, tuttavia, intercettarne un periodo specifico: la colpa sta nell’uso improprio del termine “stagione” giacché nel calcio, come in natura, i diretti interpreti ne vivono almeno quattro ciascun anno a causa di sbalzi di forma, mutamenti tecnici ed episodi. Così il Genoa ha superato con danni l’insostenibile stagione del fine decadentismo di Preziosi e di Ballardini, la cui fiacca assenza di motivazioni di campo nutriva lo spogliatoio rossoblù addomesticandolo fino alla mediocrità che già era tecnica, o comunque inficiata da pesanti infortuni, su tutti Maksimovic. La squadra era terzultima a pari punti con la Sampdoria ma con una migliore differenza reti.

La seconda stagione del Genoa è coincisa con l’ingaggio faraonico di Shevchenko – per tre anni costa circa due volte Luca Toni, il suo salario dissanguò le casse – che ha riverberato soltanto eco mediatica internazionale e non punti, a conferma dell’asserzione in apertura. Per onestà intellettuale non va sottaciuto che l’ex Milan ha fronteggiato il tratto di calendario peggiore, con sei partite difficili quasi in sequenza (Roma, Milan, Juve, Lazio, Atalanta e Sassuolo) e una matta come il derby. L’epilogo, però, è stato un susseguirsi di gravi errori: dall’esonero del tecnico ucraino in Coppa Italia al termine della migliore prestazione della sua gestione – se riletta, la partita con il Milan svela talune caratteristiche esaltate da chi è venuto dopo – fino alla scelta di Konko, definitiva e giammai nei panni di traghettatore, altrimenti sfociata nella terribile notte di Firenze che se non ci fosse stata non avrebbe consegnato ai genoani il chiromantico Blessin.

Il tedesco ha sferzato sulla testa dei singoli, li ha agitati come il Vesper Martini fino a creare un gruppo unito che ha il piacere di vivere collegialmente il lavoro quotidiano e sopportare il peso di una scalata in classifica snervante e faticosa. Con Blessin il Genoa è, sì, ultimo in Serie A per numero di tiri in porta, soprattutto sotto l’aspetto delle conclusioni ravvicinate entro i sedici metri, ma gli indici di aggressività e di pericolosità, ossia la pressione esercitata sulla palla e sul portiere, sono salite vertiginosamente benché non misurate e non corrisposte da un incremento delle marcature. I computer sono dei calcolatori infallibili ma non del tutto affidabili poiché le loro statistiche sommarie non tengono conto dell’emotività psicologica che può paralizzare una squadra che prima di domenica era reduce da una sola vittoria in sei mesi di delusioni dove lo zero era l’unica statistica che contava.

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