La storia di Augusto Morganti: un secolo fa nella sua Viareggio fu il primo caduto nella storia della violenza nel calcio italiano

Il 2 maggio 1920 si giocò l’incontro di ritorno della Semifinale del trofeo messo in palio dal Comitato Regionale Toscano tra il Viareggio e la Lucchese dove fu ucciso il guardialinee

Augusto Morganti, il primo caduto della storia del calcio italiano

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Domenica 13 maggio 1990 (la domenica precedente l’HDZ, la Comunità Democratica Croata, partito nazionalista, di Franjo Tudzman, aveva vinto il secondo turno delle elezioni nella Croazia, uno degli stati della federazione comunista jugoslava) allo “Stadion Maksimir” di Zagabria il big match della penultima giornata del Campionato Jugoslavo 1989/1990 tra la locale Dinamo e la Stella Rossa di Belgrado (rispettivamente seconda e matematicamente campione nazionale e nella successiva stagione vincitrice della Coppa dei Campioni) non ebbe mai inizio per gli scontri tra le opposte tifoserie e per quelli della polizia, etnicamente ed ideologicamente filoserba, con i calciatori e i tifosi della squadra che giocava in casa: tale avvenimento fu l’emblema della fine della Jugoslavia e il preludio della guerra d’indipendenza croata.

Tra il giugno e il luglio di ventuno anni prima si era passati dalle semifinali del raggruppamento dell’America Centro-Settentrionale per la Coppa Rimet 1970 (con spareggio giovedì 26 giugno all’“Estadio Azteca” di Città del Messico vinto per 3-2 dopo i tempi supplementari da El Salvador, poi qualificatosi, sull’Honduras) a quella che il celebre giornalista polacco Ryszard Kapuscinski chiamò «la guerra del football»: prima del retour-match di domenica 15 giugno all’“Estadio de la Fior Blanca” di San Salvador venne lapidato il giovane accompagnatore salvadoregno della nazionale honduregna, due tifosi della quale lo avrebbero di lì a poco seguito allo stadio nel tragico destino di morte; il conflitto tra le due nazioni, svoltosi dal 14 al 18 luglio, produsse circa seimila morti (duemila soldati e tremila cittadini dell’Honduras e cento soldati e seicento civili di El Salvador).

Il fatto che avvenne a Viareggio all’inizio di maggio del 1920 anticipò, per fortuna – se così si può dire – «in scala ridotta» (si registrò un unico morto, il viareggino Augusto Morganti, che è il primo collegato alla violenza nel calcio italiano, domenica 2 e la città versiliese fu sotto il controllo dei dimostranti fino alla mattina di mercoledì 5) quanto sarebbe avvenuto durante gli eventi soprammenzionati in letali cocktails di calcio e politica.

Era in programma in quel famigerato 2 maggio 1920 l’incontro di ritorno della Semifinale del trofeo messo in palio dal Comitato Regionale Toscano tra lo Sporting Club Viareggio e l’Unione Sportiva Lucchese (la formazione rossonera, vincitrice per 2-1 nell’incontro di andata, arbitrato da Morganti, disputato tre settimane prima, avrebbe poi conquistato la «coppa insanguinata», sconfiggendo nelle finali 3-0 in casa domenica 27 giugno e 1-0 in trasferta domenica 4 luglio il Prato). Andati al riposo con uno 0-2 al passivo, i lucchesi, che schieravano tra le loro fila due attaccanti (entrambi esordienti con la Nazionale Italiana nell’incontro pareggiato 1-1 a Ginevra contro i rossocrociati domenica 6 novembre 1921) del calibro di Ernesto Bonino II e Giovanni «Johnny» Moscardini (il primo giocatore della Nazionale Italiana, per la quale in nove presenze segnò sette reti, nato oltre i confini patrii, essendo venuto al mondo nel 1897 a Falkirk, in Scozia, da due emigranti di Barga ed uno dei quattro «aggregati» alla tournée del Genoa in Argentina ed Uruguay dell’estate 1923), reagirono, riuscendo a riportarsi in parità con una rete a una decina di minuti dal termine su una punizione dal limite dell’area di rigore concessa – secondo i viareggini in maniera ingiusta – dall’arbitro dell’accesa sfida, il quale, come spesso accadeva, non era quello designato (che si era guardato bene dal presentarsi a dirigere una partita, prima della disputa della quale il Comitato Regionale Toscano si era premurato di emanare un comunicato per dissuadere i sostenitori della Lucchese a seguirla a Viareggio, visti i tumulti registratisi nella partita di domenica 11 aprile), ma un suo sostituto dell’ultimo minuto, il ten. Mario Rossini, socio del sodalizio lucchese.

Mercoledì 19 giugno 1968 la Rai trasmise nella sua rubrica “Almanacco” un lungo filmato (visibile su internet) sui fatti di quarantotto anni prima a Viareggio, in cui intervistò gli ormai attempati Paolo Guidi ed Elisio Barsanti (il quale aveva un fratello tra i compagni di squadre ed era probabilmente imparentato con quel Giorgio Barsanti, viareggino della classe 1919, passato alla storia del Derby della Lanterna come il primo ex in assoluto, avendo militato tra le fila rossoblù nel 1937/1938), che in quel Viareggio, che stava portando a termine la sua prima stagione agonistica, svolgevano le due funzioni topiche di estremo difensore e di «bomber». Barsanti dichiarò: “Al secondo goal della Lucchese ci furono [sic!; fu] un sacco di fischi dei tifosi [viareggini], perché non parve regolare; allora [da] un giocatore della Lucchese venne fatta una mossa [di scherno] al pubblico [di casa] non troppo corretta, al che il Morganti, che era guardalinee, lo riprese così con la bandierina [mimando il gesto della percossa], più che altro uno stecco di bandiera; beh, insomma, bastò quello perché si accendessero discussioni e [poi] successe quel che successe.”. Laconicamente Guidi confermò il racconto dell’ex compagno di squadra, affermando: “La scintilla [per lo scoppio degli incidenti] fu quella lì!”. Vista la situazione da Far West che si era creata, l’arbitro, il cui operato era stato apertamente contestato da Morganti, guardalinee di parte viareggina (lato sensu…), fischiò la fine dell’incontro con un paio di minuti d’anticipo (a seguito di un’animata discussione tra un giocatore della Lucchese e Morganti, che ne aveva segnalato una scorrettezza, contribuendo ad accendere ulteriormente gli animi degli spettatori) e, mentre il terreno di gioco veniva invaso dai tifosi locali inferociti con le forze dell’ordine (rappresentate da poco più di una decina di persone, tra agenti e carabinieri) incapaci di tenerli a bada, il direttore di gara e i calciatori ospiti vennero scortati negli spogliatoi dai dirigenti viareggini, che misero a loro disposizione tre autovetture per farli tornare incolumi a Lucca, evitando loro di rischiare agguati nel tragitto verso la stazione ferroviaria e all’interno di essa. Un carabiniere che era riuscito a fuggire dalle aggressioni dei tifosi locali, che avevano disarmato i tutori dell’ordine, andò a chiamare rinforzi in caserma: i sette agenti, guidati dal maresciallo Taddei, contribuirono a riportare un po’ di calma nell’impianto sportivo di Villa Rigutti con gli spettatori che, ancorché alterati, progressivamente sciamavano verso le proprie abitazioni. Il carabiniere Natale De Carli, che probabilmente aveva perso la serenità che deve caratterizzare anche nelle situazioni più difficili il comportamento di un rappresentante delle forze dell’ordine, pensò male di non riporre nella fondina la pistola d’ordinanza, ma di esibirla agli ormai pochi astanti per invitarli a disperdersi, andando sciaguratamente a farne sentire materialmente la presenza a una spalla di Morganti: dopo averla toccata con la canna per due-tre volte, partì il colpo di pistola che, fracassandogli la mascella, nel giro di pochi minuti pose fine alla vita del membro delle locali sezione del Partito Popolare Italiano e «Guardie Bianche».

La Gazzetta dello Sport” di lunedì 3 maggio 1920, sulla scorta di frammentarie notizie provenienti da Viareggio, riferì che il carabiniere era stato colpito da una pietra alla testa mentre sparava in aria per disperdere la folla al termine della partita e che, nonostante un’accesa discussione avuta con Morganti, erroneamente identificato come arbitro dell’incontro, il suo gesto fosse completamente involontario, ma successivamente corresse tale versione sulla base sia di nuove informazioni sia della ricostruzione fatta dal Comitato Regionale Toscano, «sposando» la tesi dell’omicidio politico, ma, vista la «colorazione» della fede politica (collegata a quella religiosa, visto che era un fervente cattolico) dell’ucciso, non particolarmente invisa ai carabinieri, si può dire che la politicizzazione della vicenda iniziò dall’omicidio, diventando uno degli episodi più significativi del cosiddetto «Biennio Rosso», e non ne fu causa. Richiamata dalle urla dalle finestre delle donne, la folla cittadina invase le strade viareggine e, al grido di “Fare come in Russia!”, tentò di appiccare un incendio alla caserma dei carabinieri, chiedendo, senza ottenerlo, che le fosse consegnato l’omicida; assaltò, senza incontrare resistenza, la caserma del 32° Battaglione di Artiglieria; bloccò i trams; costrinse alla chiusura i negozi quel giorno aperti e saccheggiò quello di armi del sig. Morandi, obbligato a consegnare ai rivoltosi circa cento fucili (ai quali se ne aggiunse una trentina trafugata al Balipedio della Regia Marina Italiana) con adeguate munizioni; impose ai carabinieri, che chiesero rinforzi a Lucca e a Pietrasanta, di abbandonare la città, nella quale vennero innalzate delle barricate e vennero fermati i treni della linea costiera Genova-Pisa, che non poterono andare né a nord né a sud (il “Guerin Sportivo” di sabato 15 maggio 1920 riferì che il difensore del Torino Francesco Morando II, di ritorno dal Dodecaneso, dove aveva prestato servizio militare durante e dopo la Grande Guerra, era stato costretto a scendere dal treno su cui viaggiava alla stazione di Viareggio e vi aveva dovuto trascorrere obtorto collo due intere giornate), con i ferrovieri minacciati di morte se non avessero arrestato i convogli (quando si poté, vennero fatti transitare per Parma) e la stazione presidiata da un centinaio di rivoltosi. Chiamato in città dalla Camera del Lavoro, a maggioranza anarchica, il deputato socialista massimalista (e comunista dal 1921 dopo la scissione del Congresso di Livorno), avv. on. Luigi Salvatori, che era il maggior esponente politico cittadino e si trovava in Garfagnana per un comizio che aveva tenuto nel pomeriggio, si assunse, pur disapprovando il carattere improvvisato della rivolta, l’onere di guidare la città della Versilia, facendosela consegnare dal commissario prefettizio che aveva preso il posto della giunta comunale in una vacanza di potere e proclamando uno sciopero generale ad oltranza. Il commissario prefettizio «fece buon viso a cattivo gioco», ma prima di lasciare il Palazzo del Comune informò degli eventi la Prefettura di Lucca e il Governo Italiano, all’epoca presieduto dall’on. Francesco Saverio «Cagoia» (impietoso soprannome di matrice dannunziana) Nitti. La cosiddetta «Repubblica di Viareggio», in cui la bandiera rossa del socialismo sventolò a fianco di quella nera dell’anarchismo, fu, in pratica, anche se per pochi giorni, l’unica esperienza in una città italiana della classe operaia capace di prendere il potere e gestirlo in completa autonomia attraverso proprie istituzioni (il Comitato Permanente Rivoluzionario e le «Guardie Rosse») e non solamente di prendere possesso di fabbriche. Trovandosi in zona, anche un altro deputato socialista massimalista, l’on. Policarpo Scarabello, giunse in città, rischiando, però, di essere ferito a morte al suo arrivo alla stazione ferroviaria da dei colpi di fucile (la sua vita si sarebbe prolungata ancora di sei mesi, essendosi tragicamente conclusa, a soli trentasette ani d’età. mercoledì 4 novembre per l’esplosione di una bomba a mano nei locali del Comune di Verona – che gli avrebbe dedicato una via nel 1979 – assediato dai fascisti).

Dal mattino seguente si capì che la rivolta, non godendo degli invocati supporti esterni, non aveva futuro, anche perché su Viareggio convennero truppe dell’esercito ed una nave militare mossasi da La Spezia, sicché Salvatori trattò la resa, a funerali di Morganti (che si svolsero con grandissimo concorso di folla nel pomeriggio di martedì 4) avvenuti, ottenendo dal Governo Italiano la promessa, poi non disattesa, di pene miti per i rivoltosi, che non avevano ammazzato nessuno, ma solamente ferito un tenente dei carabinieri e due di artiglieria (ci fu, invece, mentre a Viareggio si celebravano i funerali di Morganti, un secondo morto, Flaminio Mazzantini, che venne ucciso in una manifestazione di solidarietà con la rivolta versiliana tenutasi a Livorno, e il cui feretro venne seguito da circa sessantamila persone!).

Dopo che giovedì 12 maggio era stato fatto divieto dalla F.I.G.C. alle squadre toscane di affrontare il Viareggio, giunse, vista l’elezione a presidente federale dell’ing. Francesco Mauro, l’amnistia per la società versiliana, che poté affrontare e sconfiggere 3-1 il Club Sportivo Firenze a Villa Rigutti in un’amichevole disputatasi domenica 11 agosto 1920.

Ad onta del rapporto dell’Ispettore Generale di Pubblica Sicurezza, Gaudino (“Trattasi di episodio isolato senza conflitto fra popolazione e carabinieri e rimane esclusa [sic!; rimangono escluse] provocazione e legittima difesa”), De Carli venne assolto dal Tribunale Militare di Firenze giovedì 13 ottobre 1920 con la motivazione che l’omicidio da lui commesso era stato determinato dalla legittima difesa e delle spese processuali per la sua difesa si fece carico il Ministero dell’Interno; i ventuno processati con accuse di minacce a pubblici ufficiali, danneggiamento, violenza, tentato omicidio, istigazione a delinquere, porto abusivo di armi da fuoco, insurrezione contro i poteri dello Stato, costituzione di banda armata subirono con la sentenza di sabato 19 marzo 1921 pene non particolarmente pesanti, la più severa – aggravata dal suo tentativo di fuga – delle quali (ventidue mesi di reclusione) colpì Enrico «il Puccetto» Foschi.

Nota del redattore: per scrivere questo articolo, che va a ripercorrere una pagina poco ricordata della storia d’Italia più ancora che dello sport nazionale (o, se si preferisce, regionale, con riferimento alla Toscana), mi sono servito degli articoli pubblicati all’epoca dal quotidiano milanese “La Gazzetta dello Sport” e dal settimanale torinese “Il Guerin Sportivo” e, soprattutto, degli interventi reperibili su internet dello storico viareggino Andrea Genovali, che ha dedicato e continua a dedicare moltissime energie alla ricostruzione di quegli eventi con molte pubblicazioni (per ricordarne una: “FARE COME IN RUSSIA” La Repubblica viareggina: i disordini nel derby con la Lucchese e l’insurrezione del 1920: una storia del “biennio rosso”, Red Star Press Editore, Roma, 2018) ed iniziative (le Giornate del Maggio Viareggino, a partire dal 2016, e la richiesta, votata all’unanimità dal Consiglio Comunale di Viareggio, di sostituire il nome di Piazza del Mercato Vecchio con Largo 2 Maggio 1920) e anche progetti cinematografici (un film di finzione ed uno documentaristico diretti da Gualtiero Lami).

Stefano Massa

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