L’11 gennaio del 1999 ci lasciava il grande cantautore: “I Racconti del Grifo” e Fabrizio De Andrè

Massimo Prati svolge nel suo libro anche un parallelo tra giganti: Faber e Pino Daniele

De André Faber Genoa
Faber (dalla Fondazione De André, foto di Guido Harari)

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Nel mio libro sul Genoa c’è un breve racconto dedicato a Fabrizio De André e Pino Daniele. Ma, nel testo, la figura di Fabrizio trova spazio anche in qualche passaggio di altri tre racconti  E, in questi tre racconti, De André  è  spesso in compagnia di Don Andrea Gallo. Mi riferisco a: “Nella Tana del Nemico”, “Malattia Genoa, Empatia Genova” e “Dalla Lanterna ai Piani di Praglia”. Ecco gli estratti dei tre racconti in questione e la versione integrale di “Pino Daniele e Fabrizio De André:

“La storia di Genova e del Genoa è tutto questo e tanto altro ancora. Il Genoa è l’anima sanguigna, coriacea, ribelle e popolare della città. Agli altri i personaggi patinati e precisini, tipo Fabio Fazio e Corrado Tedeschi, a noi la scorza dura e la mente libera di Fabrizio De Andrè o la simpatia e la spontaneità di Don Andrea Gallo [..]

[..] Nella tappa genovese della tournée di “Le Nuvole”, Fabrizio De Andrè iniziò il concerto dicendo: “Io ho una malattia”. Ora, un tale esordio avrebbe inquietato qualsiasi uditorio, quindi è facile immaginare il silenzio glaciale del pubblico di Genova, venuto per ascoltare il concerto.

Ma, subito dopo, il grande cantautore tranquillizzò tutti tirando fuori una sciarpa del Genoa, e chiarendo così di quale malattia si trattasse. Se penso a quella sua appassionata dichiarazione d’amore per il nostro amato Grifone, mi viene voglia di provare a ricordare con che pezzo aveva iniziato il concerto. Chissà, forse era stata la canzone genovese dal titolo “A Çimma”, che inizia con degli splendidi versi poetici, tra i più belli che l’umanità abbia mai creato: “Ti sveglierai sull’indaco del mattino, che la luce ha un piede in terra e l’altro in mare” [..]

[..] Un po’ di tempo fa, mi è capitato di leggere la storia di come Don Gallo, cresciuto nei pressi della Certosa di Rivarolo, divenne genoano. Nel Genoa degli anni Trenta, stagione 1936-37, giocava Andrea Verrina, un giocatore nativo di quel quartiere ed esordiente in serie A -non ancora ventenne- nel maggio del ’37, in un Genoa Triestina vinto per 4 a 3. Il mese dopo, a Firenze contro la Roma, i grifoni avrebbero vinto la Coppa Italia. Fu così che molti abitanti di quella zona di Genova iniziarono a seguire con entusiasmo le sorti del Grifo. E tra quella miriade di “certosini”, c’era anche un bambino di nove anni: il futuro Don Andrea Gallo, che da quel momento sarebbe diventato un appassionato tifoso del Genoa.

Tra l’altro, l’anno dell’esordio di Andrea Verrina fu l’ultimo anno in cui il Genoa conquistò un trofeo nazionale. Forse, in quella scelta di campo di Don Andrea Gallo, ci fu come una “predestinazione” che lo lega ad un altro celebre tifoso genoano e amico suo: Fabrizio De Andrè. L’autore di “Crêuza de Mâ”, come lui stesso ebbe modo di raccontare, s’innamorò del Genoa in occasione di una partita, contro il “Grande Torino” nel 1947, che vide vittoriosi i granata, nonostante la reazione di orgoglio dei rossoblù. Chissà forse Fabrizio, come Don Gallo, fin dalla giovane età, aveva intuito che stare col Genoa è come schierarsi dalla parte di chi può anche essere sconfitto in una battaglia, ma non per questo rinuncia alla propria identità, alla lotta e alla speranza, nello sport e nella vita più in generale”.

PINO DANIELE E FABRIZIO DE ANDRÈ

Quando cinque anni fa è mancato Pino Daniele, mi è venuto in mente quello che per me fu il suo primo concerto dal vivo. Vidi per la prima volta in concerto Pino Daniele poco più che sedicenne. Era il 28 giugno 1980, allo Stadio Comunale di Torino. Posso risalire facilmente alla data perché conservo gelosamente il biglietto del concerto di Bob Marley che, insieme a quelli dei Police al Parco Redecesio di Milano e dei Clash al Palasport di Genova, fa parte degli eventi musicali che hanno segnato la mia gioventù, tra il 1977 ed il 1984. Erano gli anni di “Exodus”,“The Clash”, “In the City”, “Outlandos d’Amour” e “London Calling”. E poi ancora “Regatta de Blanc”, “Uprising”, “Zenyatta Mondatta”, “The “Gift” e “Combat Rock”. Gli anni del reggae, del punk e del reggae-rock. Non a caso, nella canzone Punky Reggae Party”, eseguita anche in quel concerto del giugno ’80, Bob Marley citava “The Jam and The Clash”.

In quella occasione, insieme a Roberto Ciotti, ottimo bluesman romano, e all’Average White Band, tipica formazione dal suono funk anni Settanta, Pino Daniele faceva parte dei gruppi di apertura del concerto del leggendario musicista giamaicano. Da allora, ho iniziato ad apprezzare e a seguire quell’artista napoletano e, alla fine, è stato il musicista che ho visto più volte dal vivo: dal tour di “Vai Mo’ ” dell’anno dopo, fino ai suoi concerti ad Umbria Jazz negli anni successivi. Anche per questo, lui e Fabrizio De Andrè sono i miei musicisti italiani preferiti. E se proprio dovessi citarne un altro, d’italiano preferito, allora direi Ivano Fossati che, con “La Pianta del Tè ”, ha toccato livelli difficilmente eguagliabili.

Pino Daniele e Fabrizio De Andrè sono stati molto diversi per stile, contenuto e linguaggio. Ma hanno avuto anche importanti e profondi tratti in comune. Per quella loro voglia di contaminazione tra culture e generi musicali diversi, sono stati indiscutibilmente cittadini del mondo. Però, al tempo stesso, sono stati orgogliosamente e ostinatamente legati alle proprie radici, alla loro lingua, alle loro città. “ Napul’è ” e “ Creuza de Mâ ” sono come inni di Napoli, di Genova e, più in generale, del Mediterraneo.

Questi due grandi artisti hanno poi condiviso l’attenzione ed il rispetto per i più deboli, per gli sconfitti, per le minoranze e gli oppressi. Penso a “Princesa”, o a “Fiume Sand Creek ”, e subito mi viene alla mente “O Scarrafone ”, …e se hai la pelle nera amico guardati la schiena.

Infine, nei loro testi ci sono gli inevitabili riferimenti al mare, profondi nella loro semplicità. Mi è capitato di leggere bellissime poesie che hanno il mare come tema centrale o come scenario sullo sfondo. “Casa sul Mare” di Eugenio Montale, “La Ballata Celeste” di Nicolàs Guillen o “L’Uomo e il Mare” di Charles Baudelaire, per fare tre esempi illustri. Ma, come genovese e anche come genoano, i versi sul mare con i quali mi identifico più frequentemente sono quelli composti da Fabrizio De Andrè e da Pino Daniele.

Fabrizio diceva “Odô de mâ mescciou de persa légia”, odore di mare mischiato a maggiorana leggera. Facile evocare il piacere che procura la vista del mare, direi addirittura quasi scontato; più originale invece parlare del suo odore quando si mischia con i vari elementi della natura.

Per me che vivo all’estero da una dozzina d’anni, in mezzo alle Alpi, a centinaia di chilometri dal mare, arrivare in macchina, oltrepassare il casello autostradale di Masone, in direzione di Genova, e all’uscita di un tunnel scorgere il mare, vuol dire solo “incominciare” a sentirsi a casa. A casa, mi sento quando finalmente scendo le scalette di Boccadasse e sento l’odore del mare. De Andrè parlava di maggiorana. Ma potrebbe essere anche basilico, rosmarino, salvia o, più semplicemente, il “leppego”: il muschio degli scogli. L’importante è sentire l’odore del mare. Sentire il suo odore mischiato a qualcosa.

Pino Daniele diceva; “Chi tene ‘o mare o sape ca è fesso e cuntento”. Le case sulla spiaggia a Tellaro, il castello di Lerici e la punta di Porto Venere; i vigneti di Monterosso, le Baie di Sestri Levante e l’insenatura di Portofino; l’abbazia di San Fruttuoso, i pescherecci a Camogli e il litorale di Nervi; gli scogli di Boccadasse, le mura di Noli e la Baia dei Saraceni; la sabbia di Varigotti, la piazzetta di Cervo e la costa dei Balzi Rossi. Quante volte sono stato in “questi posti davanti al mare” e mi sono venuti alla mente i versi di Pino Daniele: “chi tiene il mare lo sa che è fesso e contento”.

Massimo Prati, “I Racconti del Grifo. Quando parlare del Genoa è come parlare di Genova”, Urbone Publishing, 2020.

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