Ieri Andrea Bianchi mi ha mandato un messaggio, chiedendomi se potevo scrivere un post in ricordo di Maurizio Tavella, grande tifoso del Grifo. Si tratta di un tifoso rossoblù che non ho conosciuto personalmente. Ma mi sono detto che fare ricerche su questo stimato personaggio dei vicoli, e contattare qualche mio vecchio amico che l’aveva conosciuto, poteva essere un modo per capire chi fosse Maurizio Tavella.
Maurizio Tavella era un ristoratore genoano. Questo suo aspetto biografico, mi offre lo spunto per ricordare che, in Italia, le vicende fondative degli storici football club si intrecciano con trattorie, birrerie, ristoranti e ristoratori.
Nei primi anni di vita del loro club, a partire dal dicembre del 1899, i soci del Milan erano soliti incontrarsi nella Fiaschetteria Toscana, un locale che fungeva anche da ristorante. Il Torino fu fondato nel dicembre del 1906 nella Birreria Voigt. Nel 1908 , i soci dissidenti del Milan, che diedero vita all’Inter, si riunirono al Ristorante “L’Orologio” per proclamare la nascita del loro club. Nel 1909 il Bologna fu fondato nella Birreria Ronzani.
Anche il Genoa non fa eccezione. Ai tempi delle sue prime partite di football aveva un ristorante come punto di riferimento nei pressi del suo terreno di gioco. Si trattava della Trattoria Gina del Campasso. In una storia di pura immaginazione, ma basandomi su reali dichiarazioni di Edoardo Pasteur, nei miei Racconti del Grifo faccio rievocare le mangiate dalla Gina del Campasso ad un calciatore del Genoa, prima di una partita giocata il 9 settembre del 1893, due giorni dopo la fondazione del nostro club. Ecco quanto facevo dire a George Blake, difensore del Genoa:
“Volevate dunque sapere della prima partita di calcio. Giovedì 7 settembre 1893 fu fondato il club ed il sabato successivo, secondo la tradizione inglese, fu stabilito di giocare il primo incontro nella piazza d’armi del rione Campasso, proprio qua di fronte al vostro portone. Arrivammo tutti in tarda mattinata, verso le undici e trenta, con i giocatori della squadra avversaria. Si andò tutti insieme in trattoria dalla Gina, a duecento metri da qui, all’altezza del primo semaforo, in direzione di Via del Campasso. A quei tempi non si seguivano diete particolari. Al contrario, si mangiava senza badare troppo alle calorie. Per noi, cittadini britannici, i prodotti tipici della vallata erano delle delizie: corzetti alla polceverasca, salame di Sant’Olcese e bianco di Coronata. Si mangiava intorno a mezzogiorno, ma si restava a tavola a chiacchierare ancora un po’, per favorire la digestione”.
Secondo quanto tramandato, all’entrata della Trattoria Gina del Campasso c’era un pappagallo ammaestrato. Quando arrivavano i clienti il pappagallo ripeteva: “Gh’è gente” e, quando partivano, diceva sempre: “han pagou?”.
Passando alla seconda metà del Novecento e ricorrendo anche ai miei ricordi personali, mi vedo bambino passare alla Foce con mio zio alla fine degli anni Sessanta e agli inizi degli anni Settanta all’angolo di via Casaregis e Corso Marconi. Lì, passando davanti al “Mentana” poteva capitare d’incontrare Fabrizio De André e Gigi Simoni. Della Trattoria Mentana ho ricordi fino ai primi anni Ottanta. Poi, forse, cessò l’attività. Ma potrei ricordare male. Quello che è sicuro è che i suoi locali sono oggi occupati dalla pizzeria MoroMare, su spazi molto più ampi del vecchio Mentana.
Sempre alla Foce, ma alla fine degli anni Ottanta, capitava di vedere il Professor Franco Scoglio, al ristorante “Da Giacomo”, all’inizio di Corso Italia.
Un ricordo davvero piacevole degli anni Novanta è quello delle mangiate da Ugo, nei Caruggi di Genova, in via dei Giustiniani. Impossibile andare lì e non parlare del Grifo con il padrone del ristorante. Ai tempi, il figlio aiutava suo padre. Suppongo che oggi sia lui a gestire il locale.
A partire dagli anni Duemila, il mio “ristoratore di fiducia” Genoano è divenuto Victor, dello “Scabeccio”, sulle alture di Sestri Ponente, un mago nel coniugare il rapporto qualità/prezzo. Con Victor, non sono state poche le volte che siamo andati insieme a vedere O Zena, per poi finire la giornata cenando nel suo locale.
Uscendo dai confini urbani, regionali e addirittura nazionali. Sono quattro i ristoranti,
legati alla Storia del Genoa e dei Genoani, che mi vengono in mente: la Beccassa a Torriglia, i “Peccati di Gola”, di Massimiliano a Gavi Ligure (provincia di Alessandria), il Porta Nuova del compianto Amedeo Baldizzone a Barcellona (giocatore dell’Atalanta e del Cagliari, ma genovese e tifoso del Genoa), e infine il Guerrin di Buenos Aires.
Dell’Ostaia da Beccasa, del compianto Gianni Firpo, è facile trovare filmati in rete. Si tratta di video che fanno capire quanto quel locale, oltre che per il buon cibo, fosse un locale apprezzato per la sua convivialità. Un locale dove, tra le pareti bardate di rossoblù, si finiva la serata cantando canzoni in genovese.
I “Peccati di Gola”, a Gavi Ligure, per me è una tappa obbligata nei miei rientri da Ginevra in direzione di Genova. In arrivo dalla A26, devo deviare di alcuni chilometri lungo la bretella di Novi ma ne vale veramente la pena perché Massimiliano è un grande chef Genoano che propone sapientemente un mix di gastronomia altamente sofisticata e tradizioni della cucina popolare ligure e del basso Piemonte (che io preferisco pensare come “Alta Liguria”).
Varcando i confini nazionali, arriviamo a Barcellona, e più precisamente al Ristorante Porta Nuova, di Amedeo Baldizzone, anche lui mancato recentemente. Adesso non saprei dire con precisione, ma ricordo che nel suo menu c’erano piatti i cui nomi erano dei chiari riferimenti a Genova e al Genoa.
Da Barcellona attraversiamo idealmente l’oceano Atlantico per approdare a Buenos Aires. Nel quartiere Montserrat, a 4 km dalla Boca, troviamo la più importante pizzeria della capitale, fondata nel 1932 da emigrati genovesi e genoani. Il ristorante pizzeria si chiama “Guerrin” e ha gli scudi di Genova e del Genoa ai lati della sua grande insegna, sopra l’entrata del proprio locale.
Infine concludo questa panoramica sulla ristorazione a tinte rossoblù con tre nomi con i quali sono entrato in contatto da quando ho aperto la mia pagina Facebook, Enrico del Sopranis, nei Caruggi di Genova; Nino di Sestri Ponente e poi Corrado che, credo, abbia un locale a La Spezia. Naturalmente parlo di quelli di cui sono a conoscenza, ma immagino che nella schiera di chef rossoblù ce ne siano molti altri di cui sono ignaro.
Maurizio Tavella si inseriva, e si inserisce, dunque in questa nobile e secolare tradizione di chef e di ristoratori Genoani, uomini quasi sempre colti, ironici e sagaci.
Di lui ho chiesto ad un mio caro amico di infanzia: Massimo “Matuzalem”. Massimo è nato in via San Bernardo una sessantina di anni fa e da allora è rimasto in zona. Se si vuole sapere qualcosa su qualcuno che è passato per i vicoli negli ultimi sessant’anni, bisogna chiedere a Massimo, perché lui conosce tutti gli abitanti e i commercianti dei vicoli.
Massimo mi ha infatti spiegato che Maurizio ha avuto prima un locale in piazza Matteotti, “Il Capitan Baliano”, e poi un secondo in Vico Vegetti: “Il Mangiabuono”. Mi ha descritto Maurizio come “personaggio” brillante, grande appassionato di storia del rugby, grande tifoso del Genoa (e quindi con poca simpatia per la Sampdoria), fine conoscitore di vini, di birre e di grappe. Ha aggiunto che il suo locale esiste ancora ed è gestito dalla sorella.
Andrea invece mi ha parlato di Maurizio come di una persona dalla curiosità insaziabile, una sete di conoscenza infinita, frutto di esperienze, di letture, di viaggi o di studi. Le stesse qualità che applicava alla ristorazione, sempre alla ricerca di un optimum, sempre alla ricerca, come nel vino, con una memoria che non sfruttava solo per l’aspetto commerciale, ma per condividere emozioni.
Dalla consultazione della stampa genovese, ho visto che tra i tanti personaggi dello spettacolo amici di Maurizio Tavella, c’erano anche Paolo Kessissoglu e Luca Bizzarri. Di entrambi ho avuto modo di leggere i messaggi particolarmente sentiti in ricordo del loro amico Maurizio.
Concludo dicendo che, alla luce di quanto scoperto, è un rammarico non avere conosciuto Maurizio personalmente, ma è un grande piacere rendere omaggio alla sua memoria con questo mio scritto.