Generalmente al Genoa segnano gli ex, gli echi e le memorie del passato, quelli che il signor Renzo Fossati finiva per acquistare. Manimàn. Stavolta a impedire al Grifone un risultato garrulo nel preoccupante vuoto del deserto autunnale è, invece, l’incarnazione di un’infatuazione dell’estate, una cotta non corrisposta verso la più bella della spiaggia. De Gea, portiere di statura nazionale che a Firenze ha riscoperto l’amore per il calcio, ha impedito ai più ecumenici della parrocchia genoana l’urticante ricorso all’escamotage de “la vera stagione inizia adesso”, stratagemma ormai consumato e desueto insegnato a mena dito da quegli allenatori in profumo d’esonero. Come se da luglio a ottobre nulla fosse accaduto. Lì risiede il problema del Genoa. Nella consapevolezza di una già cavalcante crisi societaria tenuta nascosta al pubblico, nell’irrefrenabile impoverimento globale di squadra e di panchina, nella disperata ricerca di estremi rimedi tra le liste dei calciatori in regime di svincolo.
Questo gruppo falcidiato da nove infortuni, la cui matrice deve pur avere una spiegazione scientifica, non si è ancora disgregato perché poggia su valori umani, prima ancora che tecnici, che i pretoriani della promozione si tramandano dall’anno del ritorno dalla Serie B. Un inestimabile lascito. Prendete come esempio trascinante lo spirito infuso da Sabelli: per caso, non trasuda genoanità in ogni sua corsa od occhiataccia agli avversari? Il terzino romano termina ogni partita stremato proiettando in paradiso quella middle class rossoblù, prole della generosità, che è la base delle vittorie. Ieri, sorprendendo lo stadio, ha deciso di ingaggiare e ha dominato un leale duello d’altri tempi con Sottil, davanti agli occhi del padre allenatore, che può capire soltanto chi percepisce la maglia del Genoa come fatto epidermico e non stilistico. Intrappolato nel vortice di un esaltante trasporto agonistico, Sabelli sembrava un elemento sfuggito dalla Nord alle calcagna dello spettinato Sottil.
Il fatto è che Gosens ha squarciato la partita del Ferraris come Lucio Fontana faceva con le tele. Una cesura netta sul più bello, mentre il Genoa premeva con insistenza su una considerevole superficie del campo e la Fiorentina, barbosa e prevedibile, non suscitava l’impressione di essere la squadra dei quindici gol realizzati in una settimana tra Serie A e Conference League. A prescindere dall’emergenza contingente, sembra che il tre-cinque sia la disposizione più adeguata e il vestito tattico che la squadra di mister Gilardino indossi con maggiore disinvoltura: benché piatto e poco incline a spettacolarizzare le partite, di per sé tale modulo – non si spaventino i covercianisti – mette in luce il vantaggio di difendere la porta con una linea di cinque uomini e, non di meno, anche l’abitudine a sviluppare certi meccanismi. Squarciata la partita, il Genoa ha tenato di rammendarla: gliel’ha impedito non un ex, ma l’infatuazione dell’estate.