Sconfitta a Venezia, sconfitta nel derby, sconfitta con la Juventus, trasferta a Bergamo e poi in casa col Bologna. È difficile, nonostante non lo si vorrebbe, dire che si è quasi alla disperazione nel Genoa.
I tifosi sono sulle barricate, con versioni diverse, chi sostiene che il vero responsabile sia Gilardino, chi invece afferma che sia colpa dei giocatori, e infine c’è chi dice che tutta la colpa sia degli infortuni e ancora c’è chi getta tutta la responsabilità sulla società.
In questi momenti difficili, la colpa non è mai di un solo protagonista, ma di tutti coloro che costituiscono il “fatto-calcio” e in questo caso il “fatto-Genoa”.
Ad esempio il nostro immancabile “tifoso illuminato” Paolo Di Giovanni ci manda un “clic” nel quale afferma: «A vederli non giocare l’impressione è che nemmeno Gilardino creda più nel progetto, troppo compassati, remissivi e svogliati».
Come si nota le sensazioni sono tante e diverse. La partita con la Juventus non ci è sembrata così svogliata: il primo tempo è stato ordinato e senza pericoli da parte rossoblù. Nel secondo tempo, c’è stata la piccola ingenua manina di De Winter che si è vista arrivare la palla contro e questa sfortunata situazione ha indirizzato in un certo modo la gara. Sempre nella ripresa, fra infortuni, ragazzini schierati in campo (per altro pieni di entusiasmo), con l’unica parata vera fatta dal vecchio amico-avversario Perin, non si poteva che arrivare alla sconfitta finale.
Si è visto, insomma, un Genoa sicuramente tormentato, ma diverso (specie nel primo tempo) da quello “paranormale” presentatosi con la Sampdoria.
La realtà del Genoa oggi è che la squadra, al momento, è certamente indebolita, lo dicono la mancanza di qualità e i numeri. Tuttavia, chiediamoci il perché e lo chiediamo soprattutto alla società, che a questo punto, diventa l’unica vera responsabile, non solo di quello che non ha fatto, ma soprattutto di quello che farà, perché andando avanti così si rotola drammaticamente verso l’inferno della zona retrocessione.
Oggi la situazione è la seguente: tutti i pochi uomini di qualità sono fuori (forse si unirà loro anche Badelj) la cessione di due giocatori importanti come Gudmundsson e Retegui non poteva che portare a questa situazione e la società, un po’ ingenuamente, ha pensato che tutto sommato bastava chi era nel gruppo.
A queste cessioni non ha fatto da contraltare alcun acquisto almeno dello stesso livello o quasi livello dei vari Gudmundsson, Retegui e, non meno importante, Dragusin.
Il povero Gilardino (detto con affetto: povero, povero!) altro che capro espiatorio: che poteva fare con questa armata di “residui”? Con la vecchia squadra “titolare”, diciamo così, aveva fatto grandi cose, tanto che i dirigenti pensavano che bastasse vendere, fare soldi e continuare alla grande. È stato un errore, un grave errore.
La speranza è che non venga in mente di dare il benservito al Gila, unico in questo frangente che cerca di fare buon viso a cattiva sorte e fidarsi di ragazzi generosissimi ma che sono nati nel 2005 e nel 2008.
Il Genoa in verità ha tenuto sempre un comportamento serio e corretto (ricordiamo il presidente Zangrillo che, onestamente, aveva ridimensionato le mire del Grifone, niente Champions, ma solo attenzione a non retrocedere…), ma ora ci si attende un suo “scatto” sia tecnico che economico, sperando che non siano vere le solite voci di disastri finanziari nazionali ed esteri.
Ci sono i cosiddetti svincolati da tener conto: l’esperienza di Ottolini e amici conoscono bene il mercato europeo, non è possibile che non riescano a trovare nella lista dei parametri zero uno e forse anche due giocatori pronti ad entrare e giocare. È il minimo che la società oggi deve assolutamente fare.