Genoa Under 17, niente scudetto: la medaglia del perdente non esiste

La Roma batte 3-1 i ragazzi di Konko che escono sconfitti ma a testa alta

Genoa Under 17 2020-2021
La leva 2004 del Genoa Under 17 2020-2021 (foto di Genoa CFC Tanopress)

Accetta i marketing-cookies per visualizzare questo contenuto.

Quella che portate al collo non è la medaglia del perdente come gli sventurati inglesi, i quali ignorano o fingono d’ignorare il loro dna perdente negli sporti autoctoni del secondo dopoguerra, ebbero modo di definirla con basso cinismo. Al collo portate una medaglia, d’argento e non d’oro, che ha ugualmente un alto valore, come ha insegnato Pep Guardiola, un vincente anche nella sconfitta, dopo aver perso l’ultima finale di Champions League. La baciò, come una reliquia, senza sfilarsela o nasconderla alle telecamere di tutto il mondo: il suo esempio, apprezzato persino da Papa Francesco, andrebbe immortalato nelle scuole calcio a dimostrazione, una volta di più, del teorema bielsista che la sconfitta sia educativa più della vittoria. Il Genoa Under 17 esce a testa alta dalla finale con la Roma, favorita alla vigilia e strutturata a meraviglia dal direttore Morgan De Sanctis, ex portiere apprezzato più come dirigente che da sindacalista, sempre ammesso che ne esistano nel calcio.

I ragazzi del 2003 allenati da Konko, leva di qualità a prescindere dal trofeo mancato, hanno approcciato e concluso bene la partita, suscitando l’impressione che il fiammifero fosse vicino alla miccia, pur avendola persa nel suo segmento centrale, tra la mezz’ora e l’ora di gioco. La Roma è stata semplicemente più brava, più attenta e più cinica dei Grifoncini, talvolta incantati dal pallone tra i piedi o impegnati nella ricerca di un ghirigoro barocco, stucchevole se non superficiale, a contrario dell’approccio proposto lunedì dall’Under 18. Tardivamente, infatti, l’interpretazione di un calcio più semplice, traversone e duello aereo, ha reso più efficace e pericolosa la manovra del Genoa, dominus dei palloni alti, eccezion fatta per il vantaggio di Falasca sorto da un malinteso tra Calvani e Corelli: la Roma ha vinto una finale scudetto senza mai prenderla di testa. Bello il gol di sana cattiveria agonistica di Bornosuzov, il cui padre Atanas è un ex centrocampista che collabora con una delle innumerevoli squadre di Sofia sotto l’egida dell’esercito bulgaro.

La Roma ha vinto con merito sebbene Baldi, il proprio portiere, abbia compiuto più interventi decisivi di Ascioti, segnatamente al 67′ quando Cagia ha avuto l’occasione per sconvolgere l’inerzia della partita concependone una completamente diversa, forse più tesa ma dal vero sentore di rimonta. La differenza l’hanno fatta le sostituzioni di Piccareta che hanno reso fluida la manovra di gioco dei giallorossi, inizialmente congestionata dalla pressione organizzata dei genoani di mister Konko. In queste due appassionanti, nonché torride, volate scudetto che hanno premiato ambo i club, straordinariamente professionisti a livello giovanile, i ragazzi del Genoa hanno conosciuto la vittoria e la sconfitta: il Trionfo e la Rovina, appunto, gli “impostori” da trattare equanimemente per diventare uomini, come il poeta Kipling scrisse a suo figlio quando ancora gli inglesi non ebbero coniato la medaglia del perdente.

Accetta i marketing-cookies per visualizzare questo contenuto.