Torino e Genoa, messe allo specchio, si somigliano. Sono club con radici profonde che danno lustro al calcio italiano ma che oggi hanno il muso lungo. Vivono, infatti, momenti di alterne sfortune e di brucianti illusioni. Il Toro vuole tornare in Europa ma, invece, deve destreggiarsi nella trincea della bassa classifica; il vecchio Grifone, poi, vorrebbe finalmente godersi una stagione serena, anzi anonima. Sì, perché l’anonimato in Serie A – equivalente all’undecimo posto, grossomodo all’altezza del Cagliari – significa essere dispensato dalla lotta per non retrocedere. Costante, invece, degli ultimi anni rossoblù che obbliga gli allenatori subentranti, più o meno navigati, a inventarsi un miracolo sportivo.
Lo specchio, inoltre, dice qualcosa di più sul Genoa. Il Toro possiede ciò di cui il Grifo ha bisogno: un leader in campo, un trascinatore, un cingolato che sappia caricarsi la squadra sulle spalle e correre assieme a lei fino al traguardo. É Belotti la fortuna di Longo, a segno da sette partite consecutive come solo aveva fatto Ossola, eroe della mitologica squadra vinta dal fato. É Belotti l’azzardo vincente del Torino, tra l’altro scommessa senza alea. É Belotti, insomma, la fune di salvezza mentre la squadra rotola giù dalla rupe. Il Gallo ha fatto reparto da solo: in profondità, in contropiede, dentro l’area di rigore, spalle alla porta, vincente in ogni contrasto. Partita totale. Il confronto con l’attacco del Genoa, nell’arco dei novanta minuti, è stato impietoso.
Nonostante tutto c’è ancora vita per il Grifo. Sopravvive quel misero punto di vantaggio sul Lecce che tra tre giorni verrà a giocarsi tutto, o quasi, al Ferraris. Chi perde è perduto. A proposito, i salentini hanno il privilegio di riposare un giorno in più, e questo è un grande vantaggio per il Genoa poiché per due volte in passato – contro Udinese e Torino – la squadra di Nicola ha fatto male nonostante la maggiore freschezza. Che alberga solo nelle più fervide teorie.