C’è un curioso andamento nelle quattro partite di campionato del Genoa. La squadra di Andreazzoli è andata a punti solo quando ha effettuato meno passaggi dell’avversario. É capitato all’Olimpico con la Roma e con la Fiorentina. Al contrario, a secco contro Atalanta e Cagliari. La morale: se il Grifone palleggia più dell’avversario, perde. Sterilità? Movimentazione della palla fine a se stessa? Soluzioni plausibili perché a calcio, dicono i barbosi risultatisti, bastano tre passaggi per mettere l’uomo in condizione di calciare. Quando il Genoa gioca un calcio d’identità ma semplice è pericoloso, altrimenti è solo un minestrone tattico.
Il Genoa a Cagliari è sembrato Sisifo che nella mitologica fatica spingeva invano un masso verso la sommità di un monte, prima dell’inevitabile franare a valle. Costruire e distruggere: è ciò che ha fatto il Grifo in novanta minuti. Tre occasioni da rete non convertite nella prima parte, tutte quante costruite con buone idee; tre gol subiti nel secondo tempo, due dei quali totalmente episodici. Il risultato dice 3-1 per i sardi, impietoso ma giusto perché il Genoa non ha concretizzato gli sforzi di un grande primo tempo: il colpo di testa di Kouamé, il contropiede sciupato da Favilli e il tiro potente di Schöne, solo in area di rigore.
Il Cagliari ha colpito a freddo con l’ex Simeone, coraggioso interprete dell’area di rigore, trenta secondi dopo la fine dell’intervallo. Analogamente poteva rispondere Favilli, al 62′, ma la mancanza di brillantezza è un grave deficit per un attaccante. Così come per altri elementi rossocrociati, intrisi di lattato o con qualche fastidio muscolare ben prima del pareggio di Kouamé. Il gol di Joao Pedro, infine, è agevolato da un corto circuito tra Sanabria che perde palla a centrocampo e Schöne che falcia Zapata in luogo del brasiliano. Cagliari resta un’isola stregata per il Genoa.