Genoa, due partite per una stagione

Il ricordo di Massimo Prati del derby di Boselli, insieme a quello della stracittadina all’andata decisa dal "missile" di Rafinha


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Per i tifosi delle cosiddette grandi, una stagione è degna di essere ricordata solo se caratterizzata dalla vittoria di uno o più trofei, possibilmente tre, come è successo all’Inter che, con il triplete, grazie a Milito ha vinto Scudetto, Coppa dei Campioni e Coppa Italia.

Anche a me, in quanto genoano, piacerebbe vincere un campionato, anche perché vorrebbe dire conquistare l’agognata stella. Ma, nell’attesa di questo chimerico e catarchico evento, riesco ad accontentarmi delle soddisfazioni calcistiche che anche un campionato modesto può riservare.

E così, a mio parere, il campionato 2010-2011 del Grifo potrà essere ricordato per due partite che rimarrano eternamente impresse nella memoria dei tifosi rossoblù.

Eterna memoria, sia detto senza retorica. Io non so se i protagonisti di quei derby sono coscienti di essere entrati a far parte perennemente della storia di una città, ma è proprio così. Con la sua gloriosa storia ultracentenaria, le vicende del Genoa vanno dalla fine del diciannovesimo secolo a questi primi decenni del terzo millennio e le gesta dei suoi giocatori sono tramandate di generazione in generazione.

Mio padre, per esempio, a distanza di più di 50 anni, soleva ricordarmi il derby del ’57, vinto grazie ad Abbadie, un evento al quale aveva assistito personalmente e che gli era rimasto indelebilmente impresso nella memoria.

Rafinha e Boselli forse non lo sanno (o forse sì, perché qualcuno nel frattempo glielo avrà spiegato) ma fra 50 anni saranno il tema e l’oggetto di molti racconti di nonni e papà genoani ai loro figli o ai loro nipotini. Negli anni a venire a Genova si parlerà del derby di Rafinha e del derby di Boselli per indicare un’epoca, così come si parla dell’Inghilterra vittoriana o dell’Italia giolittiana.

Quella del brasiliano all’inizio sembrava una stracittadina stregata, con due traverse nei primi 45 minuti (una di Rodrigo Palacio e l’altra di Marco Rossi).

Insomma, sembrava proprio che la palla non ne volesse sapere di entrare in porta. Ma poi Márcio Rafael Ferreira de Souza, in arte Rafinha, ha giustamente deciso di metterci lo zampino. Forse si sarà ricordato di un suo connazionale e predecessore, Cláudio Ibrahim Vaz Leal, vulgo Branco, altro brasiliano che tirava bombe da lontano e che aveva sfondato quella stessa porta blucerchiata una ventina di anni prima.

Così il nostro ha raccolto un passaggio di Palacio, ha fatto qualche metro verso la porta e poi ha gonfiato la rete tirando un bolide da quasi trenta metri che, per citare un telecronista, ha acceso la Lanterna e illuminato il derby. Il brasilero che balla festoso il samba intorno alla bandierina del corner da un lato del campo e l’espressione imperturbabile del nostro allenatore dal lato opposto: questa sarà l’immagine di quella partita per i posteri.

Ma il secondo derby, quello del ritorno, forse è stato anche meglio. Credo che qualsiasi tifoso di una città in cui ci siano almeno due squadre cittadine possa facilmente comprenderlo. È il derby che ogni supporter sogna da una vita, il desiderio più profondo di chiunque, in qualsiasi angolo del pianeta, provi una sana e profonda avversione per l’altra compagine della propria città.

E allora ripercorriamo rapidamente la dinamica di questo piacevolissimo evento: iniziale vantaggio del Genoa sul finire del primo tempo, grazie ad un gol di Floro Flores, proprio sotto il settore degli sgraditi ospiti. Pareggio della Sampdoria intorno alla metà del secondo tempo, anche grazie ad un errore maldestro del nostro portiere e, infine, vittoria con gol decisivo al sesto minuto di recupero, dicasi minuto novantasei. Antonelli recupera insperabilmente una palla destinata ad uscire, sul successivo rilancio dell’avversario la palla arriva nel nostro centrocampo. Lancio di Milanetto, in verticale verso la porta nemica e San Mauro Boselli da Baires che, sul limite dell’area e con le spalle alla porta, controlla di destro, si gira repentinamente prendendo alla sprovvista il difensore blucerchiato (mi pare fosse Lucchini), colpisce di sinistro di prima intenzione e infila il portiere sul suo lato destro. Un gol che, come la ciliegina sulla torta, condannerà gli odiati rivali alla retrocessione in serie B.

Tra l’altro, a Genova abbiamo la memoria lunga, e nessuno si era scordato che quasi una quarantina di anni prima la Sampdoria aveva pareggiato un derby all’ultimo minuto, con un rovesciata, tanto provvidenziale quanto improbabile, di Mario Maraschi. Si dice che la vendetta è un piatto che va servito freddo. Allora il piatto di Boselli, servito a distanza di 38 anni, più che freddo è stato glaciale, anzi letale.

Massimo Prati

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