Come un cammello in una grondaia

La notte di Mimmo Criscito e del Genoa spiegata in maniera scomposta

Criscito Genoa
Mimmo Criscito (foto di Genoa CFC Tanopress)

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Per capire il significato della scorsa notte, benedetta lei, bisognerebbe imitare quegli chef snob che scompongono i piatti – arriveranno a separare anche l’idrogeno dall’ossigeno nelle molecole d’acqua – per facilitare i palati finendo, invece, per confonderli. L’operazione non è facile e chi ci prova si sente linguisticamente a disagio, come un cammello in una grondaia, per citare un celebre lavoro di Battiato che ha attinenza con il presente: infatti, mentre la notte puntava il coltello alla gola della luna, fuori dal Ferraris faceva capolino uno splendido esemplare di dromedaria che con occhio spaesato, non essendo il piazzale del cànpo do Zêna propriamente un maneggio berbero, scrutava un Popolo ebbro di felicità prorompere dallo stadio dopo l’ordalia calcistica che è stata Genoa-Bari. Era il prologo di un carnevale di Halloween che, non privo di esagerazioni, profanava il grottesco e il dolore con ostensioni e venerazioni di idoli laici un tempo avversi.

Tutto torna. É tatuato negli astri. Torna persino il risultato di una partita che è stata vera nel ribadire la complessiva superiorità del Genoa rispetto al Bari. Come cammelli in una grondaia si sentono quei genoani a cospetto della vittoria (rectius, del trionfo) per 4-3, che in campionato non succedeva da dodici anni, e dell’apogeo di libidine al quale il club, per suo dna o per maledizione, è così ritroso nel concedersi. Non è stata la partita del secolo, come fu all’Azteca, ma un lascito per i moltissimi giovani del Ferraris i quali, tra trenta o forse quarant’anni, la racconteranno alle future generazioni con gli stessi occhi madidi di chi ancora oggi racconta e si emoziona per le gesta di Anfield. Tre volte in vantaggio, tre volte ripreso dal Bari: robe da Genoa, di quel Genoa che mantiene incrollabile fede all’epiteto di “vecchio balordo”. Perdoni il gioanbrerafucarlo l’abuso smodato dei tempi correnti.

Resta da aggiungere l’elemento decisivo al piatto scomposto, la parte che spiega il tutto e dona un senso all’attesa. Il finale capolavoro della carriera di Criscito ha ricordato Elvis nell’ultima struggente esecuzione di “Unchained Melody”, a Indianapolis nel ’77. Il tempo passa così lentamente, e il tempo può fare così tanto. Bastava aspettare con pazienza che il tutto tornasse in equilibrio. Siglato il rigore sotto la Nord, pure Mimmo, che stavolta l’ha incrociata per davvero benché senza forza nelle gambe, si sarà sentito come un cammello in una grondaia: incapace di convertire in parola i sentimenti che gli trafiggevano la testa, l’anima e il cuore. Chissà se tra qualche giorno lui stesso, o il suo psicologo, riuscirà a spiegare con lucidità che cosa avrà provato negli istanti che hanno preceduto l’esecuzione non già di un brano, bensì dell’ultimo tiro della carriera? L’oasi a undici metri non era un miraggio. E neppure una grondaia.

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