Genoa 7 Settembre 1893 – 7 settembre 2020: frammenti di un viaggio nel calcio italiano (terza ed ultima parte)

Massimo Prati conclude il suo viaggio nella galassia rossoblù in 127 anni di storia


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2000-2009

Della prima metà di questo decennio, va sicuramente ricordata la serata del 24 maggio 2001, con trentamila spettatori in onore di Capitan Signorini e dei suoi splendidi familiari e la presenza di Scoglio, Bagnoli e Don Andrea Gallo in campo. E poi, ancora Genoa-Cosenza nel giugno 2003 (anzi, Genoa-Siena, il turno prima, davanti a 30.000 tifosi; che col Cosenza eravamo ormai già retrocessi in serie C, eppure -pazzi che siamo- il popolo rossoblù fece festa lo stesso), oppure il caso di Julio Cesar Abbadie, giocatore uruguagio degli anni Cinquanta, di cui ho già parlato, che tornò a Genova quasi mezzo secolo dopo (nel dicembre del 2004), per un Genoa-Empoli in serie B (vinto per tre reti a due con un memorabile colpo di tacco di Nicola Zanini) e che fu accolto da decina di migliaia di genoani allo stadio ed in città.

Ma, come ho già detto, della storia del Genoa non ho difficoltà a rievocare anche gli eventi meno piacevoli.

Un giorno, una quindicina di anni fa, ero in un bar dei caruggi con Robertone, un amico genoano grosso come un armadio che, nonostante sia più prossimo ai cinquanta che ai quarant’anni, è rimasto rissoso ed irascibile come ai tempi di scuola. È uno, come dice lui, a cui “piacciono di più i calci che i baci e che si suona volentieri ad est, ad ovest, a settentrione, a mezzogiorno e anche dopo mezzogiorno, sedicente inventore del manrovescio”. Eravamo oramai in serie C, a pochi giorni dal primo match contro il Pizzighettone ed io ero appena arrivato da Ginevra: stavamo preparando la nostra trasferta. In realtà la nostra prima partita di campionato in serie C avremmo dovuto giocarla a Marassi, ma siccome avevano squalificato il campo del Grifo, a causa di un lancio di razzi durante una precedente partita di Coppa Italia, stavamo mettendoci d’accordo per andare a Torino, che era lo stadio designato per giocare l’incontro in campo neutro.

Ci avviciniamo al bancone, cominciamo a fare due chiacchiere con il barista, e con piacere scopriamo che è genoano anche lui. Poi ordiniamo due boccali di medie chiare. Dopo un po’ entra un doriano, evidentemente cliente abituale, perché incomincia a scherzare di calcio col titolare del bar mostrando una certa confidenza: “Adesso che siete in serie C, vedrai che scomparirete, anzi siete già in via di estinzione”. Io avevo Roberto di fronte a me e vidi il suo volto passare dalla spensieratezza di pochi secondi prima ad una smorfia d’irritazione. Ricordo che tra di me pensai: “Ahi! Adesso scoppia la lite”. Roberto si gira si rivolge al nuovo venuto e gli dice: “A belina, guarda che noi siamo come gli highlanders: siamo eterni. Anzi, gli highlanders, al nostro confronto, sono dei principianti: ci fanno le seghe!”. Fortunatamente la cosa non andò oltre. Insieme al barista, cercai di calmare le acque. E poco dopo, io ed il mio amico Roberto finimmo le birre, pagammo il conto e ce ne andammo senza che ci fossero altri problemi. E qualche giorno dopo, eravamo sugli spalti dell’Olimpico di Torino a vederci un noiosissimo Genoa-Pizzighettone, insieme a migliaia di altri grifoni.

Ma, proseguiamo questo viaggio nel tempo e spingiamoci avanti di circa tre anni, cioè al Genoa-Napoli del giugno 2007, quello del tutto esaurito a Marassi, a festeggiare insieme il ritorno nella massima serie. E poi, approssimandosi alla fine del decennio un pensiero va certamente allo storico derby della tripletta di Diego Milito, dopo che il Principe aveva lasciato già il segno nel derby “natalizio” di andata, con uno splendido colpo di testa sotto la Nord.

2010-2019

Iniziamo con il derby di Boselli del maggio 2011. Anzi, no. In realtà mi risulta impossibile pensare al derby di Boselli, giocato al ritorno senza pensare a quello di andata, con gol di Rafinha.

Per i tifosi delle cosiddette grandi, una stagione è degna di essere ricordata solo se caratterizzata dalla vittoria di uno o più trofei, possibilmente tre, come è successo all’Inter che grazie a Milito ha vinto Scudetto, Coppa dei Campioni e Coppa Italia. Anche a me, in quanto genoano, piacerebbe vincere un campionato, anche perché vorrebbe dire conquistare l’agognata stella. Ma, nell’attesa di questo chimerico e catarchico evento, riesco ad accontentarmi delle soddisfazioni calcistiche che anche un campionato tutto sommato modesto, come quello di quella stagione, può riservare.

E così, a mio parere, il campionato 2010-2011 del Grifo potrà essere ricordato per due partite che rimarranno eternamente impresse nella memoria del popolo rossoblù. Eterna memoria, sia detto senza retorica. Io non so se i protagonisti di quei derby sono coscienti di essere entrati a far parte perennemente della storia di una città, ma è proprio così.

Con la sua gloriosa storia ultracentenaria, le vicende del Genoa vanno dalla fine del diciannovesimo secolo a questi primi decenni del terzo millennio e le gesta dei suoi giocatori sono tramandate di generazione in generazione. Come ho già avuto modo di ricordare, mio padre, per esempio, a distanza di più di 50 anni, soleva ricordarmi il derby del ’57, vinto grazie ad Abbadie, un evento al quale aveva assistito personalmente e che gli era rimasto indelebilmente impresso nella memoria. Rafinha e Boselli forse non lo sanno (o forse sì, perché qualcuno nel frattempo glielo avrà spiegato) ma fra 50 anni saranno il tema e l’oggetto di molti racconti di nonni e papà genoani ai loro figli o ai loro nipotini. Negli anni a venire a Genova si parlerà del “Derby di Rafinha” e del “Derby di Boselli” per indicare un’epoca, così come si parla dell’Inghilterra vittoriana o dell’Italia giolittiana.

Quella del brasiliano all’inizio sembrava una stracittadina stregata, con due traverse nei primi 45 minuti (una di Rodrigo Palacio e l’altra di Marco Rossi). Insomma, sembrava proprio che la palla non ne volesse sapere di entrare. Ma poi Márcio Rafael Ferreira de Souza, in arte Rafinha, ha giustamente deciso di metterci lo zampino. Forse si sarà ricordato del suo connazionale e predecessore, Cláudio Ibrahim Vaz Leal, vulgo Branco, altro brasiliano che tirava bombe da lontano e che, come abbiamo già ricordato, aveva sfondato quella stessa porta blucerchiata una ventina di anni prima. Così il nostro ha raccolto un passaggio di Palacio, ha fatto qualche metro verso la porta e poi ha gonfiato la rete tirando un bolide da quasi trenta metri che, per citare un telecronista, “ha acceso la Lanterna e illuminato il derby”. Il brasileiro che balla festoso la samba intorno alla bandierina del corner da un lato del campo e l’espressione imperturbabile del nostro allenatore (affettuosamente soprannominato “Zio Balla”) dal lato opposto: questa sarà l’immagine di quella partita per i posteri.

Ma il secondo derby, quello del ritorno, forse è stato anche meglio. Credo che qualsiasi tifoso di una città in cui ci siano almeno due squadre cittadine possa facilmente comprenderlo. È il derby che ogni supporter sogna da una vita, il desiderio più profondo di chiunque, in qualsiasi angolo del pianeta, provi una sana, profonda e incontestabile avversione per l’altra compagine della propria città. E allora ripercorriamo rapidamente la dinamica di questo piacevolissimo evento: iniziale vantaggio del Genoa sul finire del primo tempo, grazie ad un gol di Floro Flores, proprio sotto il settore degli sgraditi ospiti. Pareggio della Sampdoria intorno alla metà del secondo tempo, anche grazie ad un errore maldestro del nostro portiere e, infine, vittoria con gol decisivo al sesto minuto di recupero, dicasi minuto novantasei (c’è chi parla di minuto 97): Antonelli recupera insperabilmente una palla destinata ad uscire, sul successivo rilancio dell’avversario la palla arriva nel nostro centrocampo. Lancio di Milanetto, in verticale verso la porta nemica e San Mauro Boselli da Baires che, sul limite dell’area e con le spalle alla porta, controlla di destro, si gira repentinamente prendendo alla sprovvista il difensore blucerchiato (mi pare fosse Lucchini), colpisce di sinistro di prima intenzione e infila il portiere sul suo lato destro. Un gol che, come la ciliegina sulla torta, condannerà gli odiati rivali alla retrocessione in serie B.

Tra l’altro, a Genova abbiamo la memoria lunga, e nessuno si era scordato che quasi una quarantina di anni prima la Sampdoria aveva pareggiato un derby all’ultimo minuto, con una rovesciata provvidenziale tanto quanto improbabile, di Mario Maraschi. Si dice che la vendetta è un piatto che va servito freddo. Allora il piatto di Boselli, servito a distanza di 37 anni, più che freddo è stato glaciale, anzi letale.

E ora possiamo fare un altro salto di tre o quattro anni in avanti: la stagione 2014-15 è stata sicuramente positiva, con risultati a volte esaltanti, per non dire storici. Affondare la corazzata Juventus in casa nostra all’ultimo minuto è stato un piacere indescrivibile. Ma se si considera che il gol è arrivato alla fine di una serie di otto passaggi genoani, dalla nostra difesa alla loro area piccola, senza che i bianconeri siano riusciti ad intercettare la palla, allora vuol dire che siamo di fronte a qualcosa di inenarrabile. Ma, tra le partite da non dimenticare ci sono sicuramente la vittoria per 3 a 1 con il Milan a San Siro e quella per 5 a 1 con il Torino al Ferraris.

Non si tratta solo di semplici vittorie. C’è la storia, la gloria, il blasone che entrano in gioco. Nei grandi libri di storia del calcio italiano si propongono delle “periodizzazioni”: c’è il periodo del Grande Genoa, del Grande Toro, quelli del Milan, della Juve e pochi altri (l’Inter, il Bologna: “lo squadrone che tremare il mondo fa”). Le altre grandi squadre, pur essendo appunto tali, come Lazio, Roma, Fiorentina o Napoli (che pure mi è ovviamente simpatico), da un punto di vista storico hanno svolto un ruolo di minore importanza (sto parlando di grandi cicli storici nella storia del calcio, non di singole stagioni). Alcune compagini poi, senza fare nomi, nonostante certe incontestabili vittorie negli anni Ottanta e Novanta, sono semplici meteore, comparse, più degne di apparire in un compendio, tipo il Bignami, che in un vero libro di storia.

È per questo che partite come Genoa-Milan o Genoa-Torino hanno un valore diverso, perché rievocano un tempo lontano. Ed è per questo che le vittorie di quella stagione hanno avuto un sapore ancora più dolce. Nel caso della vittoria con il Milan, poi, si tratta di un successo doppiamente storico. In primo luogo perchè non vincevamo a San Siro dal 1958. Però, nel 1958, vincemmo 5 a 1 contro il Milan nella partita di ritorno a San Siro, ma avevamo pareggiato 1 a 1 nella partita di andata al Ferraris. Per trovare l’en plein rossoblù (vittoria all’andata e vittoria al ritorno) bisogna addirittura andare indietro nel tempo fino alla stagione 1938-1939, quando il Genoa vinse 2 a 1 a Milano e poi vinse anche a Genova, con un rotondo 2 a 0.

Era la generazione di Grifoni che quell’anno sarebbe arrivata in semifinale di Coppa Italia e l’anno dopo sarebbe arrivata in finale perdendo contro la Fiorentina. Mentre, un paio di anni prima, sotto la guida di Hermann Felsner, quella stessa coppa l’aveva vinta, con un attacco micidiale ed una difesa quasi completamente impenetrabile (nelle fasi eliminatorie del ‘37 vincemmo 5 a 0 con la Lazio, 4 a 0 con il Palermo, 4 a 0 con il Catania, 2 a 1 con il Milan, e poi, nello scontro decisivo, 1 a 0 con la Roma).

Alcuni dei giocatori di quella finale nel ’37, furono gli stessi che, due anni dopo, inflissero al Milan le ultime sconfitte all’andata e al ritorno nell’arco dello stesso campionato: Genta, Bigogno, Arcari III, Perazzolo, Scarabello. Nel frattempo, alla guida del Genoa era tornato un certo William Garbutt (cerco di immaginarmi il Mister, il primo Mister del calcio italiano, il vero, l’unico, l’originale, mentre prepara e imposta gli schemi di quella partita contro i rossoneri).

Impressionante pensare che per vedere un tale exploit, la combinata di vittorie all’andata e al ritorno nella stessa stagione, ci siano voluti più di 75 anni, i gol di Bertolacci, Niang e Iago Falque e la regia di un altro grande allenatore: Gian Piero Gasperini.

Chiude la serie di flashback legati a questo decennio l’ultima partita del 2016-2017. Un Genoa-Torino finito due a uno a nostro favore. Quasi trentamila Grifoni che hanno sostenuto incessantemente la squadra con coreografie, canti e cori, a volte lunghi, festosi ed elaborati; altre volte semplici ed ancestrali, come quell’urlo di battaglia che è “Genoa, Genoa”. Ancestrale nel senso profondo del termine, e nella sua definizione testuale, come da vocabolario: “trasmesso, ereditato dagli antenati o riferibile ad essi, anche in senso fortemente istintivo”. E forse, proprio per questo, urlo capace di far tremare il Ferraris.

Durante quel Genoa-Toro, sentire più volte lo stadio ruggire ancora e lanciare quel “Genoa, Genoa” è stato davvero emozionante. Chi è stato presente a quella partita, un giorno sarà contento di poter dire a figli e nipotini : “io c’ero” e chi non c’era ha sempre torto (come dice, Marco, un mio fratello di gradinata, quando parla dei genoani assenti negli incontri cruciali del Grifo).

È stato anche bello vedere, all’entrata dello stadio, alcuni ex che non hanno voluto mancare all’appuntamento. Si dice spesso che nel calcio moderno conti solo il denaro, ma mi piace pensare che ci sia ancora spazio per sentimenti e senso d’appartenenza. E vedere la presenza di Luca Antonini e di Marco Carparelli, in quella giornata, per me è stata una dimostrazione di attaccamento ai nostri colori da parte loro

2020

E arriviamo al 2020 e, più precisamente, all’ultima stracittadina: mentre sul Ferraris calano le prime ombre della sera, Stanislao Bereszyński si fa rubare palla da Lerager che segna il gol del definitivo due a uno nel derby… …e l’ultimo chiude la porta.

E così, alla fine della stagione, sotto la guida di un grande uomo, prima ancora che un grande sportivo (parlo di Davide Nicola) il Genoa si salva dalla retrocessione: per il Vecchio Grifo inizia un nuovo decennio della sua lunghissima storia.

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Ai teorici del “visto, vinto, vissuto”, ricordo che non si vive solo ciò che si vede personalmente; si vive anche di quello che raccontano i padri, i nonni e i bisnonni:

George Dormer Fawcus, George Blake, James Richardson Spensley, Edoardo Pasteur, Enrico Pasteur, Henri Dapples, Alfred Paul Cartier, Etienne Bugnion, Luigi Ferraris, Daniel Hug, Aristide Parodi, Maxime Surdez, William Thomas Garbutt, Percy Grahame Walsingham, Hector John Eastwood, John Grant, George Arthur Smith, Enrico Sardi, Aristodemo Santamaria, Renzo De Vecchi, Claudio Casanova, Giovanni De Prà, Luigi Burlando, Edoardo Catto, Ottavio Barbieri, Adolfo Baloncieri, Felice Levratto, Julio Libonatti, Hermann Felsner, Emanuel Fillola, Guillermo Stabile, Juan Pratto, Paolo Agosteo, Mario Genta, Federico Allasio, Andrea Verrina, Manlio Bacigalupo, Valerio Bacigalupo, Vittorio Sardelli, Orlando Sain, Emilio Caprile, Juan Carlos Verdeal, Mario Boyé, Bror Mellberg, Gyorgy Sarosi, Fosco Becattini, Riccardo Carapellese, Gunnar Gren, Julio César Abbadie, Giorgio Ghezzi, Lorenzo Buffon, Bruno Pesaola, José Germano, Paulo Amaral, Benjamín Santos, Marcos Locatelli, Gigi Meroni, Mario Da Pozzo, Bruno Baveni, Franco Rivara, Eddie Firmani, Antonio Valentín Angelillo, Franco Viviani, Arturo Silvestri, Giorgio Garbarini, Sidio Corradi, Maurizio ‘Ramon’ Turone, Franco Ferrari, Mario Manera, Mario Corso, Roberto Rosato, Gigi Simoni, Bruno Conti, Roberto Pruzzo, Oscar Damiani, Claudio Onofri, Fabrizio Gorin, Sebino Nela, Claudio Testoni, Claudio Sala, Mario Faccenda, Roberto ‘Dustin’ Antonelli, Jan Peters, René Van Dereycken, Luca Chiappino, Franco Scoglio, Gianluca Signorini, Stefano Eranio, Franco Rotella, Gigi Marulla, Vincenzo Torrente, Gennaro Ruotolo, Ruben Paz, Carlos ‘Pato’ Aguilera, Osvaldo Bagnoli, Tomas Skuhravy, Cláudio Branco, Roberto Onorati, Fulvio Collovati, Christian Panucci, Andrea Fortunato, Dan Petrescu, Marciano Vink, John Van ‘t Ship, Luca Cavallo, Cosimo Francioso, Marco Carparelli, Cristian Stellini, Dante López, Gian Piero Gasperini, Marco Rossi, Diego Milito, Thiago Motta, Márcio Rafael Rafinha, Rodrigo Palacio, Mauro Boselli, Luca Antonini, Stefano Sturaro, Diego Perotti, Nicolás Andrés Burdisso, Mattia Perin, Domenico Criscito, Christian Kouamé, Lasse Schone, Goran Pandev, Davide Nicola…. …to be continued…

1893-2020… …di tempo ne è passato, noi siamo ancora qua… …con buona pace di chi ci vuole male.

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