Gli allenatori di calcio si dividono in due gruppi: quelli che vincono e quelli che creano valore. Solitamente i primi sono antipatici, gli altri spigolano simpatia. I vincenti sono tali per dna e vanno di fretta come le donne che escono dalla balera; i valorizzatori di talento lo sono per formazione e per naturale predisposizione. Ma se sei un vero insegnante di calcio, per di più affabile nei modi e infinitamente paziente nello spiegare ai profani ciò che il Gioânn-Brera-fu-Carlo, letto tutto d’un fiato, definiva «mistero senza fine bello», allora puoi permetterti un battito cardiaco in più, respirare e assistere alla crescita di un gruppo di ragazzi che poteva vincere qualsiasi cosa mentre, invece, ha vinto la metà. «Senza fine bello»: Brera aveva ragione. Nella stagione giunta al termine mister Leone Cipani si è iscritto a entrambi i partiti a bordo della sua Under 14: vincitore e valorizzatore.
Mister Cipani, ci perdoni l’egoismo ma partiamo da lei e dalla sua genoanità. «Tifo Genoa grazie a mio papà che mi portò al Ferraris facendomi innamorare del bandierone con i nove scudetti che adornano lo stemma rossoblù. Da bambino e da adolescente frequentai la Gradinata Nord e girai l’Italia assieme alla vecchia Fossa dei Grifoni, purtroppo smisi quando iniziai a giocare a calcio: a quel tempo le partite si disputavano tutte rigorosamente di domenica».
Che cosa significa allenare il Genoa? «Allenare la squadra del cuore della propria città aumenta il senso di responsabilità nei confronti dei nostri ragazzi, forse è per questo che riusciamo a trasmettere loro il valore dell’appartenenza. Oltre a essere una scuola per futuri calciatori, il Genoa forma anche gli allenatori: durante questi cinque anni vissuti all’interno del settore giovanile sono cresciuto molto, ho imparato da maestri come Luca Chiappino, Oneto, Brunello e Gervasi. Un sogno divenuto realtà grazie a Michele Sbravati che mi ha portato dalla Goliardica al Genoa: il direttore è il nostro fuoriclasse, la nostra guida, il nostro mentore sempre presente sul campo il cui confronto è foriero di spunti e di buone idee».
Cipani, lei a chi si ispira? «A Gian Piero Gasperini, non perdo una sua partita: il mister l’ho apprezzato da vicino al Genoa quando allenavo nei dilettanti perché era solito aprire al pubblico le porte del Pio. A differenza del tecnico della prima squadra, l’allenatore della filiera giovanile è un formatore a tutto tondo che deve avere la forza di creare dei rapporti con i ragazzi per poi entrare dentro la loro testa con le idee di calcio: comunicazione, empatia, capacità relazionale sono componenti fondamentali al pari delle competenze tecnico-tattiche altrimenti nessuno riesce a trasmettere qualcosa e ad arrivare ai calciatori, neppure con le migliori metodologie ed esercitazioni del mondo. L’Under 14 è una selezione particolare perché i giocatori sono genuini e ancora privi di malizia: i 2008 che ho avuto hanno dimostrando quotidianamente di voler migliorare, un bel messaggio a chi dice che le nuove generazioni siano sfaticate».
Mister Cipani, a livello Nazionale produciamo pochi talenti perché lavoriamo poco con la tecnica e troppo sul fisico? «Ho ascoltato da più parti tale asserzione, emersa dopo Italia-Macedonia, ma non sono d’accordo perché da molto tempo i risultati delle Under Azzurre sono in controtendenza rispetto alla Nazionale maggiore; di più, i vivai italiani lavorano meglio rispetto al passato, ciò che è cambiato è la velocità della tecnica applicata che si richiede a ogni livello. Andrebbe cambiato qualcosa nel sistema calcio perché in Italia i ragazzi tra i 17 e 20 anni giocano pochissimo in Serie A rispetto ai colleghi inglesi, tedeschi e spagnoli presumo a causa della dittatura del risultato: di conseguenza non acquisiscono la dovuta esperienza di campo e non vivono le esperienze con calciatori già formati. Nelle liste delle prime squadre andrebbero previste delle quote minime di italiani cresciuti nel vivaio».
Quanto sono importanti le strutture in un club che vive di produzione del talento? «Sarebbero un vantaggio strategico innanzitutto perché raccogliendo più leve si creerebbe un contesto ambientale propedeutico alla crescita dei ragazzi eliminando i tempi di trasferimento, ad esempio a piedi dal campo 4 al campo 2 anziché in pullman o in treno da Multedo ad Arenzano; in secondo luogo, verrebbe altresì ottimizzato il lavoro dei tecnici consentendo loro un confronto quotidiano e la possibilità di lavorare specificamente con il proprio gruppo per più ore».
Cipani, veniamo ai suoi ragazzi autori nella stagione di quattro finali, due tornei internazionali vinti e un campionato interregionale dominato. «Recentemente ci siamo misurati contro Juventus, Milan, Atalanta, Inter, Red Bull Salisburgo e Triestina, in precedenza abbiamo battuto anche la Stella Rossa di Belgrado: una spettacolare crescita costante (nove vittorie, due pareggi nelle ultime undici, ndr) di fronte alla quale noi allenatori siamo stati fortunati spettatori non paganti. Se i ragazzi possono allenarsi da soli, o quasi, significa che abbiamo fatto bingo. Nei mesi abbiamo ricevuto complimenti e attestati di stima da molti colleghi allenatori e addetti ai lavori: è qualcosa che ci inorgoglisce e fa capire quanto le conoscenze giovanili del Genoa siano riconosciute e rispettate a livello internazionale. Per le avversarie era piuttosto difficile dominare il Genoa Under 14 perché i ragazzi hanno dimostrato di adattarsi alle varie situazioni della partita».
Una menzione speciale per la sua spalla tecnica Cristiano Francomacaro. «Io sono la metaforica punta dell’iceberg, di fianco a me lavora quotidianamente una squadra di infaticabili professionisti eccezionali e il primo di questi è proprio Cristiano. Ho conosciuto da vicino un uomo straordinario che arricchisce il Genoa con veri valori, lo reputo un pilastro fondamentale all’interno del nostro staff assieme ad Alessandro Trucco al suo primo anno rossoblù, Sidio Corradi, Roberto Rossi, Danilo Sciutto e la nostra fisioterapista Erika Dellisanti».