“Ma la tendenza del Genoa e dei genoani ad incarnare questo senso d’appartenenza che va aldilà della vita del singolo, e che porta a sentirsi parte di un collettivo, radicato nella storia con un’impronta indelebile, si può rilevare anche leggendo le storie di vita dei fondatori del club o di alcuni atleti in particolare. Questa raccolta di racconti è essenzialmente una collezione di testimonianze mie personali, dei miei amici, dei miei familiari e dei miei conoscenti. Ma in questo ambito, voglio citare due aneddoti, trovati su internet, che riguardano persone che non ho conosciuto personalmente, anche se fanno ugualmente parte di me. Parlo di Edoardo Pasteur e di Juan Carlos Verdeal […]
[…] E, dopo aver parlato di Pasteur, spostiamoci nel tempo di qualche decennio e leggiamo una seconda intervista, questa volta non si tratta di una testimionanza diretta, in prima persona, di un fuoriclasse che ha portato in alto i nostri colori. Ma di suo figlio, del figlio di un campione del Genoa che parla del padre: Juan Carlos Verdeal, intervistato da Fabrizio Calzia, venerdì 26 dicembre 2008 alle ore 16.35. Qui di seguito riporto il resoconto, fatto da Calzia stesso, di quel dialogo:
Juan Carlos Rosso Verdeal, il figlio che porta lo stesso nome del grande numero 10 rossoblù, è medico cardiologo. La sua voce è pacata e cordiale, forse un po’ stupita per l’interesse ancora vivo nei confronti del padre. Per il popolo genoano suo padre è una leggenda, gli confermiamo. Ma sembra faticare un po’, il figlio, a immaginare come quella persona tranquilla e discreta che lui ha conosciuto possa avere risvegliato, tanti anni or sono, tale straripante entusiasmo’ .
Mio papà aveva un carattere molto riservato, in particolare negli ultimi anni, dopo la morte di mia mamma, Carmen Rosso’
*’Carmen Rosso, la signora Verdeal, era brasiliana, di padre italiano e madre spagnola. Juan Carlos l’aveva conosciuta negli anni Quaranta e quando, a fine carriera, passò da Rio prima di tornare a Buenos Aires, le chiese di sposarlo’.
-‘Credo fosse il 1955. Mio papà aveva più di 35 anni ma giocava ancora in Algeria, però quando scoppiò la rivoluzione ritenne saggio fare i bagagli. Prima ancora, in Francia, aveva indossato la maglia del Valenciennes, squadra di serie B che, con il suo apporto, arrivò a giocare la finale di Coppa nel 1951’.
Verdeal e signora approdano a Buenos Aires ma neppure lì la situazione è tranquilla, per la drammatica caduta di Peròn. Ad ogni buon conto rimangono. Nel 1957 nasce Juan Carlos, e due anni dopo Leandro, oggi affermato musicista’.
Mio papà ci raccontò poco o nulla della sua vita da calciatore. Pensava soprattutto alla nostra educazione, alla scuola’.
Ma non aveva chiuso con il calcio, Verdeal, che a Buenos Aires allenava fior di squadre: nel 1962 sedette sulla panchina dei campioni del Racing (prima di lui occupata dai “genoani” Boyé e Stabile), nel 1966 su quella del Club Atlético Almagro. Senza contare che nel 1963 fu fra i fondatori dell’Associazione Allenatori d’Argentina’
Ricordo appena una sua intervista in tv. Allenava più che altro per passione ma, lo ripeto, cercava di non portare a casa il fùtbol. Con noi figli insisteva soprattutto sullo studio delle lingue. Lui ne parlava quattro (spagnolo, italiano, francese e inglese) e non c’era giorno che non ci desse personalmente lezioni di inglese. Continuò così, fino a quando avevo quindici anni. Papà era questo: rigoroso, con se stesso e con gli altri. Non c’era giorno che non facesse ginnastica in casa, in più era un accanito lettore. E pensi che leggeva sempre in piedi, per non incurvare le spalle. Per non dire di quando, da allenatore, seguiva le partite in tv togliendo l’audio per non farsi influenzare dal cronista: tutti indizi, per noi figli, di una personalità spiccata’.
*’Nel racconto di Juan Carlos junior c’è una data significativa per la vita sua e di tutta la famiglia. Nel 1968 i Verdeal si trasferirono a Rio de Janeiro’.
A soli 50 anni papà chiuse una volta per tutte con il calcio. Non conoscemmo mai il motivo. In Brasile fece per un po’ l’insegnante di lingue straniere, poi il suo carattere riservato prese il sopravvento. Si ritirò ai suoi esercizi fisici, alle sue letture, alla vita nel suo piccolo nucleo familiare. Ci fu un solo strappo alla regola di non occuparsi più di calcio’: Nel 1976 fu invitato a Genova dai suoi tifosi. Quell’invito lo stupì e lo emozionò enormemente. Non avrebbe mai immaginato, dopo tutti quegli anni, tanto entusiasmo e tanto affetto intorno a sé, e il suo cuore faticò a reggere tanta emozione. Al ritorno a casa mi regalò la sua maglia di lana rossoblù con il numero 10. Gli regalarono pure una stupenda cravatta blu, con il Grifone contornato dai nove scudetti. La maglia la conservo ancora tra le mie cose più care. La cravatta no, quella non l’ho più. La porta papà. L’ha voluta lui, per sempre’.
Prima di tutto vorrei ringraziare Fabrizio Calzia, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente, per avere messo in rete questa testimonianza. In secondo luogo mi viene da pensare a Verdeal, infastidito dal commento di un solo cronista argentino, e mi domando cosa avrebbe detto delle telecronache italiane dei giorni nostri, in cui per vederti una partita sei costretto a sorbirti cinque commentatori: due durante l’incontro, altri due due durante la pausa, più uno che è lautamente pagato per mettersi vicino alla panchina e dirti quante volte ha starnutito l’allenatore tra un contropiede e l’altro.
E poi che resta da dire? Tutti i tifosi italiani, genoani compresi, vorrebbero vincere trofei, tornei, campionati e quant’altro. Ed anch’io spero un giorno di potere vedere la stella. Ma queste due ultime testimonianze per me valgono quanto 4 Scudetti, 3 Champion’s League, 2 Coppe Uefa ed una Coppa Italia. Leggo le parole di questi due protagonisti della storia del Grifo e sento di far parte di un clan che non conosce confini di spazio e di tempo. Forse è per questo che noi genoani ci sentiamo un po’ come gli highlanders”
Massimo Prati, “I Racconti del Grifo. Quando parlare del Genoa è come parlare di Genova”, Nuova Editrice Genovese.l
Nelle foto. L’arrivo di Verdeal all’aeroporto Cristoforo Colombo. Il suo giro d’onore al Luigi Ferraris e un momento dei festeggiamenti a fine partita, con Roberto Pruzzo in primo piano.
Massimo Prati