Chiappino: «Il rapporto con i ragazzi è cambiato»

L'ex tecnico si è preso un pausa dopo 33 anni di panchina: «Ho un nuovo ruolo nel Genoa»

Chiappino Genoa
Mister Luca Chiappino (foto di Marcello Toscano)

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Una vita da allenatore, adesso una nuova avventura con un ruolo mediano tra campo e dirigenza. «Ho un nuovo ruolo dopo 33 anni in panchina. Ho la fortuna di lavorare ancora con i giovani per la società in cui ho trascorso più della metà della mia vita, sono facilitato perché conosco l’ambiente. Mi occupo dei ragazzi in prova e delle aree di miglioramento dei nostri profili. È un lavoro complesso, stiamo cercando di migliorare anche come struttura. È il mio primo anno, ci vorrà un po’ di tempo» spiega Luca Chiappino, ospite a”L’Angolo dei Giovani” su IVG. «In particolare, collaboro con Ghisleni: andiamo sul campo a vedere allenamenti e partite, cerchiamo di dare supporto nei momenti di difficoltà facendo passare il nostro punto di vista attraverso l’allenatore senza essere invasivi. Gli allenatori devono essere giusti per le categorie. Chi è bravo deve restare nelle leve basse perché più si sale e più il lavoro diventa di rifinitura».

Il Genoa nel destino di Chiappino: «Sono entrato nel 1993 come tecnico, avevo 26 anni: Ho visto tutti i cambiamenti fatti dal settore giovanile. I primi anni erano complicati perché le risorse economiche e gli investimenti erano pochi, lavoravamo molto con i ragazzi del territorio (fondamentale nell’attività di base perché ci consente di portare gruppi interi in Under 14 dove basta inserire pochi elementi). Andrea Bianchi, con cui ho giocato, è da vent’anni con noi. La continuità fa la differenza. In Liguria le strutture sono fatiscenti, ma se al loro interno mettiamo le persone giuste si costruisce il calciatore. Senza Sbravati sta cambiando tutto perché il calcio si evolve. Bisogna avere la forza di cambiare, anche se credo che la novità sarà tornare indietro. Il calcio è tecnica. Serve pazienza per insegnarla. Ai tecnici abbiamo introdotto la regola del cambio obbligatorio: non possono presentare la stessa formazione due volte consecutive».

Sul suo passato da giovane giocatore: «Alla Levante C eravamo allenati da mister Rocca sul campo del “Pio” che conosco bene. Non voleva vedere palloni volare per aria: ci diceva che dovevamo stopparli tutti. Da solo riusciva a far star bene gruppi interi perché aveva un modo unico di insegnare e comunicare. Con lui si faceva tanta tecnica, in campo riuscivi a esprimerti in maniera compiuta. Una volta gli allenamenti erano basati su riscaldamento, tiri in porta, cross e partita: ciononostante Rocca ci portava sulla pista e per mezz’ora ci faceva provare ogni tipo di tecnica di controllo. L’antesignano dell’odierno “controllo orientato” del giocatore era chiamato controllo lontano dall’avversario».

Chiappino spiega la differenza tra le generazioni che ha visto cambiare sotto i suoi occhi da allenatore di calcio: «Oggi il rapporto con i ragazzi è più complicato. Una volta era un rapporto diretto perché accettavano la correzione facendo tesoro degli errori convertendoli in esperienze. Erano portati a cercare di migliorare l’aspetto negativo. Adesso tanti ragazzi rifiutano il miglioramento delle carenze perché cercano di mettere in evidenze i loro punti forti. Ciò questo dipende anche dal circostante (genitori, procuratori, amici…) che non è d’aiuto. Non c’è più la franchezza di dire a un ragazzo che non può fare il professionista con certe carenze. Non possiamo più dire niente altrimenti rischiamo denunce. Qualche anno fa un nostro ragazzo mi diede del razzista parlando ai dirigenti del Genoa perché gli dissi di tagliarsi i capelli, francamente improponibili: passava più tempo a metterseli a posto che a giocare. Comprendo benissimo le difficoltà odierne dei tecnici».

«Il nostro settore giovanile deve continuare ad avere la presunzione di formare giocatori rispetto ai quali è riconoscibile la nostra impronta. Ciò passa attraverso tanti aspetti: tecnico, caratteriale, appartenenza, condivisione dei momenti. Gli esordi in prima squadra di alcuni ragazzi nati e cresciuti sul territorio raddoppiano la soddisfazione. Cambiaso, ad esempio, è il “tardivo” per eccellenza: nella mia Under 17 del 2016-2017 era un ragazzino di 1.73 per 59 chili, a fine stagione era 1.77 e pesava 67 chili. Ha dovuto compiere un percorso più lungo, ma sapevamo che prima o poi sarebbe arrivato: infatti, non è mai uscito dalla nostra sfera. È più complicato lavorare sui tardivi che sui precoci perché serve maggiore pazienza e avere l’occhio più lungo. Chi pensavo potesse fare il professionista ad alti livelli ma, invece, non ci è riuscito per molti motivi è Massimo Donzella» spiega Chiappino.

Il mister delle giovanili è come una vocazione: «L’ho proprio scelto. Ogni anno sapevo che potevo passare dalla Primavera ai Giovanissimi. Il salto è notevole. Ho una chat con molti ex Primavera, anche del 1981: è ciò che ti lascia più soddisfazione, soprattutto da chi non è riuscito a raggiungere obiettivi importanti nel calcio, per questo esistono le categorie. Si inizia a giocare a calcio per passione, devi sentirti il migliore in una categoria. Nel ’95-’96 il responsabile era Maselli, le segnalazioni dei giocatori arrivavano direttamente a noi tecnici: prendemmo due ragazzi del Savona. Li vidi giocare tre o quattro volte, erano tatticamente adeguatissimi. Decidemmo di portarli negli Allievi regionali, durante l’addestramento tecnico furono un disastro perché abituati a fare prevalentemente tattica. Da allora la situazione è peggiorata perché la tattica è sempre più collettiva e ci sono sempre più lavori fisici che distolgono dalla tecnica. La tattica individuale, invece, diventerà predominante perché migliora la tattica collettiva e di reparto. Andremo incontro a un addestramento a piccoli gruppi» conclude Chiappino.

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