Bentornato Ivan, bentornato Grifo

Un cambiamento radicale da una squadra svogliata e depressa a una pimpante e aggressiva: merito di Juric

Il gol con l'esultanza di tutto il Genoa (@ Marco Rosi / Fotonotizia)

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Cos’è successo da poco più di una settimana a questa parte? Innanzitutto è tornato il maestro, il corsaro, il pirata, il tinkerman, il restauratore, chiamatelo come volete. Osannato a furor di popolo, plaudito da una folla gioiosa e traboccante di visibilio, che si stenta perfino a riconoscere come principale attore sociale del suo esonero, Ivan Juric è tornato in sella a quel toro imbizzarrito che è il Grifo. Imbizzarrito nel senso dispregiativo del termine, ça va sans dire: imbizzarrito potrebbe anche voler dire selvaggio, fiero, grintoso. Nah, niente di tutto questo è oggi il Vecchio Balordo. L’orgoglio, la cattiveria, gli artigli aguzzi e le ali spiegate, mancano da tempo all’appello. C’è addirittura chi parla di una decisione per calmare la piazza (ma sono gli stessi secondo i quali Mandorlini sarebbe stato assunto da Preziosi col preciso fine di andar contro il tifo, pullulo di avversione dei confronti dell’ex tecnico dichiaratamente interista).

Insomma, si potrebbe scrivere un libro da una trama così avvincente. Lo schema potrebbe essere così: la curva ti contesta assumi un tecnico a lei inviso. Il problema è che il Grifo ha cominciato a perder quota fino a rischiare una planata verticale assai sconsigliata. I numeri, in questo caso, parlano meglio di me: 6 partite con Mandorlini, un pari, una vittoria e quattro ko di fila derby in primis. 3 reti fatte, la bellezza di 11 subite. Il 26 febbraio è andata bene, 3-5-2 e pari casalingo contro il Bologna grazie ad una fiammata di Ntcham. Una settimana dopo ancora meglio, 0-2 ad Empoli con ancora il francese in gol (e Hiljemark). Sembrava che il destino si stesse prendendo gioco di Juric: Olivier Ntcham, definito dal croato “un personale fallimento”, stava trascinando il Grifo di Mandorlini. Poi il 10 è deflagrato nel derby, con un assist a Muriel per quel che sarà il gol decisivo ai fini dei tre punti. E da lì, tracollo: sconfitta di misura col Milan, manita rifilataci in casa dall’Atalanta di Gasp e tris inflitto da Del Neri alla Dacia Arena. Due ex allenatori del Genoa hanno passeggiato sopra la brutta copia del Grifo di inizio stagione: se per Gasp però vigeva la sacralità del santone (2 Europa League non si dimenticano), col Gigi friulano ha avuto l’effetto di alzare il livello di rabbia. Tornato a casa, Ivan ha messo subito le regole in chiaro. “In questo momento servono tutti: i giocatori e il pubblico che spero ci dia una mano, perché in questo momento di difficoltà bisogna dimostrare di essere genoani davvero, anche se non lo meritiamo. Voglio che tutti diano qualcosa in più”. Si è presentato così, con la semplicità che lo contraddistingue, con la genoanità che gli divampa in corpo, con il rigore necessario. Poche parole, tanto lavoro: subito l’allenamento.

Contro la Lazio è finita 2-2, ma il Ferraris ha riassaporato un Genoa grintoso. Non sarà la maquina di inizio stagione, ma quantomeno ci basta questo per arrivare alla salvezza. La Lazio ha sofferto moltissimo, Luis Alberto ha pareggiato i conti solo al 92′. Contava dare una risposta, che è puntualmente arrivata. Sin da quando lo speaker ha annunciato le formazioni, la sensazione era chiara: applausi all’indirizzo di Veloso e Rigoni, fischi scroscianti quando saltano fuori i nomi di Burdisso e Gentiletti. Fa tenerezza tornare al 3-4-2-1, Rigoni più arretrato, Simeone punta di diamante e Palladino come ala pura (nel posto che fu di Ocampos). Don Raffaè, in teoria una delle delusioni di gennaio, ha offerto una performance di primissimo piano: sudore, corsa, intensità, qualche colpo di classe (l’elastico). E l’assist per Gio, tornato finalmente al gol. L’ultima esultanza si era vista il 29 gennaio, quando una sua doppietta fu fondamentale nel 3-3 contro la Fiorentina. La Lazio risponde ai colpi, chiede un rigore che sembrerebbe starci, poi ne guadagna uno allo scadere del 45′. Lamanna, anche lui tanto criticato, lo para ma nulla può sulla ribattuta. Sembrava di tornare ai tempi in cui il numero 23 bloccò Tevez dagli undici metri. Grande, Eugenio!

Si riparte, e nemmeno 3′ che Ntcham compie un recupero difensivo prodigioso: il Ferraris si sdruscia le palpebre, tutto vero. Pandev rivela Veloso, si passa al 3-4-3 nella sua accezione più pura. Al 75′ Lombardi si divora il vantaggio, passano tre minuti e Goran va in gol. Lo ripeto, Goran va in gol. Era dal lontano 2014 che non andava in rete in Serie A, allora vestiva la casacca del Napoli. 23 mesi di digiuno, mentre in Coppa Italia talvolta sporadicamente entrava nel tabellino dei marcatori. Ah, Pandev. Quando non è stato fermato dai legni, ci ha pensato la sua imprecisione. Quando non è stato tradito dal suo mirino, ci ha pensato il suo orgoglio ad intimargli di non entrare in campo per pochi istanti dell partita (ricordate contro il Bologna, quando Mandorlini mandò in campo Ntcham e il francese segnò?). Ce l’ha fatta: contro la sua ex squadra, gran colpo di testa e esultanza polemica e maglia levata. “Si sono dette tante bugie” tuonerà in zona mista, dopo aver evidenziato il feeling tra lui e Juric. Si è sbloccato. Ultima precisazione, il cross è stato di Lazovic: tanto elogiato nella prima parte di stagione, in cui aveva tra l’altro deciso il recupero contro la Fiorentina, Darko pareva essersi spento alla distanza. E’ tornato, guarda caso con Ivan on the bench.

C’è ancora tempo per un’uscita miracolosa di Lamanna (che partitone!), una saetta di Luis Alberto a voler dire 2-2, una ghiottissima chance ancora capitata a Pandev. Minuto 97, Strakosha gli dice no poi il macedone conclude a lato. Peccato, ma e già tanto aver segnato una volta. Una doppietta sarebbe stata fin troppo nostalgica. Poteva vincerla la Lazio con Milinkovic, poteva vincerla il Genoa con Pandev. “Abbiamo disputato un’ottima partita” chioserà Ivan. Nessuno dimentichi la contestazione, quella c’è sempre e ogni weekend che passa si fa più forte. Ma la squadra non si tocca, tanto meno ora che sulla panchina siede un genoano. Perchè forse è questo quello di cui c’era bisogno. Una persona che non allenasse solo per soldi, ma per il risultato. Una figura non distaccata dall’ambiente, ma intrisa di passione fino al midollo. “Hanno vinto quelli che mi volevano rispetto a quelli che non volevano il mio ritorno, per me un onore essere nuovamente qui. Vivo qui, sono stato un ex Genoa, per me è bello esser di nuovo qui”. Siate sinceri, come fate a non volergli bene

Matteo Albanese

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