Pedullà : “Franco Scoglio per sempre”

Ripendiamo questo appassionato editoriale di Alfredo Pedullà su Franco Scoglio Quella sera, una delle più brutte della mia vita. Era il 3 ottobre 2005: mi trovavo in diretta ad Avellino, in compagnia di Gianfranco De Laurentiis e di altri amici. Un appuntamento fisso del lunedì, una trasmissione sui tanti temi del calcio, con occhio particolare […]


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Ripendiamo questo appassionato editoriale di Alfredo Pedullà su Franco Scoglio

Quella sera, una delle più brutte della mia vita. Era il 3 ottobre 2005: mi trovavo in diretta ad Avellino, in compagnia di Gianfranco De Laurentiis e di altri amici. Un appuntamento fisso del lunedì, una trasmissione sui tanti temi del calcio, con occhio particolare ai “lupi” irpini. A un certo punto, mentre stavamo scherzando non ricordo su cosa, guardai l’operatore di ripresa di fronte a me che scriveva con un pennarello su un foglio di carta. “E’ morto Franco Scoglio“. Diventai bianco, non capivo, impazzivo, speravo che arrivasse presto la pubblicità. E quando finalmente ci fu una pausa tutto fu chiaro: stroncato durante una trasmissione su una tv genovese. In pieno dibattito lui se n’era andato, all’improvviso.

Una delle sere più brutte della mia vita perché Scoglio per me ha rappresentato tutto. I sogni di ragazzino, le sbornie iniziali per il calcio. Era molto amico di mio papà, che non ho più da quasi vent’anni, e avevo conosciuto il Prof perché andavo spesso allo stadio. E molto spesso mio papà mi portava in trasferta: ricordo come se fosse ieri una notte a Torre del Greco, mi addormentai in una stanza d’albergo mentre loro stavano parlando di calcio, di formazione, di tattica e chissà di cosa.

Lo incrociai qualche anno dopo all’imbarcadero del porto di Reggio. Lui arrivava da Messina, dove allenava, con il classico borsello a tracolla. Mi fermò e mi disse: “Vi ho seguito ieri in diretta, ma voi lo sapete che…“. Il Prof dava del voi a tutti, un classico. Io non avevo ancora 18 anni e conducevo trasmissioni dedicate al basket in una tv privata di Reggio. Scoglio voleva dirmi esattamente che “io il basket lo applico al calcio nel mio Messina: pressing, zona sono tutte situazioni che appartengono alla mia filosofia“. Anche in tv si metteva alla lavagna, tra un “Santa la Madonna” se un concetto non era chiaro e doveva ripeterlo e “vi presento i miei bastardi“, dedicato ai suoi calciatori: li chiamava così per caricarli.

Avevamo diversi amici in comune, uno si chiama Pino Scopelliti, in pratica il suo confidente.

Col tempo ci siamo frequentati per motivi professionali. Scoglio mi voleva bene e mi diceva spesso: “Vostro papà è stato un maestro, ma voi vi siete fatto da solo“. Un giorno mi chiese di raggiungerlo a Tunisi per un’intervista: allenava la Nazionale, era sempre scontento, rompeva le balle a chiunque. Un perfezionista, un uomo d’altri tempi. Quando è andato a Napoli ci sentivamo tutte le settimane e si sfogava. Io lavoravo al Corriere dello Sport, ma il Prof si fidava al cento per cento e mi ripeteva: “Questi non mi seguono proprio, brutta razza quella dei calciatori. Ma se mi giocano contro, nessun problema: io vado avanti per la mia e taglio i rami secchi“. Se si metteva in testa una cosa nessuno riusciva a convincerlo del contrario. Un muro di gomma: gli rimbalzavi addosso e tornavi indietro.

Ciao Prof, oggi sono nove anni da quando non ci sei più. Volerti bene è stato inevitabile.

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