Federsupporter: le plusvalenze fittizie costituiscono falso in bilancio

Massimo Rossetti, avvocato dell'associazione di tutela dei tifosi, spiega i criteri che, applicati alla valutazione di calciatori, potrebbero far configurare il reato attraverso l’attribuzione ad essi di valori difformi


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Nelle mie Note “ Sempre più calcio business, sempre meno calcio popolare. Plusvalenze e fair value” del 18 luglio scorso (cfr. http://www.federsupporter.it/) mi ero soffermato sulle plusvalenze, precisando che, in base al principio generale di redazione dei bilanci e dei documenti contabili secondo verità e correttezza, la valutazione, con l’attribuzione del valore di calciatori, suscettibile di una mera valutazione soggettiva, deve essere conforme alle norme civilistiche ed alle regole contabili nazionali ed internazionali.

Norme quali la preferenza ad attribuire il valore più basso per le voci dell’attivo e il valore più alto per le voci del passivo, nonché regole come quella del fair value: vale a dire della stima più attendibile.

Ciò premesso, con riferimento al “caso Chievo” e prendendo spunto da esso ( cfr le mie Note “ Il Calcio Italiano come l’orchestrina del Titanic: ennesimo flop della Giustizia sportiva “, in data 27 corrente), ritengo opportuno ed utile puntualizzare quanto segue.

Con l’art. 9 della Legge n. 69/2015, che ha modificato l’art. 2621 CC “False comunicazioni sociali”, è stata introdotta o, meglio, reintrodotta, con decorrenza dal 14 giugno 2015,la fattispecie di reato di falso in bilancio.

Tale reato consiste in false comunicazioni sociali integrate o dall’esposizione consapevole di fatti materiali rilevanti non corrispondenti al vero o dall’omissione consapevole di fatti rilevanti sulla situazione economica, patrimoniale, finanziaria di una società, idonee ad indurre altri in errore.

Ai fini della perseguibilità del reato è scomparsa, rispetto al passato, qualsiasi soglia ed il reato è perseguibile d’ufficio, ad eccezione delle società non fallibili, perseguibili su querela della società stessa, dei soci, dei creditori e di altri interessati.

La pena prevista è quella della reclusione da uno a cinque anni o da sei mesi a tre anni per i fatti di lieve entità e per le società non fallibili.

Per le società quotate la pena prevista è quella della reclusione da tre a otto anni ed è, inoltre, consentito l’arresto facoltativo in flagranza di reato, la custodia cautelare in carcere o ai domiciliari, l’utilizzazione di intercettazioni telefoniche.

Una volta introdotta o reintrodotta, che dir si voglia, questa normativa, si era verificato un contrasto giurisprudenziale nell’ambito della V Sezione Penale della Cassazione.

Alcune sentenze, infatti, propendevano per l’interpretazione secondo cui, essendo stato eliminato nella nuova normativa, con riferimento ai fatti materiali, l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni” , il reato dovesse limitarsi ai soli fatti materiali non oggetto di valutazione.

Al contrario, altre sentenze della stessa Sezione si erano pronunciate nel senso che la soppressione dell’inciso, avendo quest’ultimo una finalità meramente chiarificatrice, non comportasse l’inapplicabilità del reato ai fatti materiali oggetto di valutazione.

Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione le quali, adite a seguito di ordinanza di remissione n. 9186/2016, hanno sancito che, avendo la Legge n.69/2015 il dichiarato fine di tendere al ripristino della trasparenza societaria, che è preferibile la seconda linea interpretativa esposta.

Cioè a dire che la soppressione dell’inciso “ancorchè oggetto di valutazioni” deve ritenersi irrilevante ai fini del reato.

Pertanto, il reato sussiste, anche relativamente a fatti oggetto di valutazione, quando ci si discosti completamente e senza darne adeguata informazione giustificatrice da criteri di valutazione o normativamente fissati o da criteri tecnici generalmente accettati.

Criteri, quali quelli in precedenza indicati e, in particolare, ai fini che qui interessano, quale quello del fair value.

Criteri che, applicati alla valutazione di calciatori, comportano che sussista il reato di falso in bilancio nell’attribuzione ad essi di valori difformi, oltreché da norme civilistiche e regole contabili, anche da standard e principi contabili generalmente accettati.

E’ evidente, quindi, alla luce di quanto precede, che la FIGC, sulla base di segnalazioni ricevute dalla CoViSoc, ha- avrebbe avuto ed avrebbe- il dovere di denunciare alla Magistratura ordinaria competente l’eventuale rappresentazione nei bilanci e/o nei documenti contabili delle società di calcio plusvalenze manifestamente difformi dalle norme, dalle regole, dagli standard, dalle prassi suindicati.

Quanto meno, in tali casi, la stessa FIGC, sempre su segnalazione della CoViSoc ha,- avrebbe avuto ed avrebbe- il potere-dovere, ai sensi dell’art. 13 (Poteri di denuncia al Tribunale) della Legge n.91/1981 (Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), di denunciare al Tribunale competente l’esposizione di plusvalenze tali da suscitare il fondato sospetto che esse siano rivelatrici di gravi irregolarità gestionali (art. 2409 CC).

Quanto sopra, naturalmente, fatte salve le iniziative di competenza della giustizia sportiva e fatte salve le azioni giudiziarie, in sede penale e civile, eventualmente assunte o da assumere da persone, giuridiche (società di calcio) e fisiche (tifosi), ritenutesi danneggiate da simili comportamenti, alterativi di una corretta competizione sportiva e fonte di danni economici conseguenti.

Avv. Massimo Rossetti – Responsabile dell’Area giuridico-legale di Federsupporter

Riceviamo e pubblichiamo

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